Rientra il bottino di Tangentopoli di Paolo Colonnello

Rientra il bottino di Tangentopoli Rientra il bottino di Tangentopoli -2QÙ-miliardi daipatteggiamentidegli imputati IL TESORO DI MANI PULITE Lm MILANO m ULTIMO ad aver staccato un assegno intestandolo alla procura della Repubblica di Milano, è stato l'ex presidente della Saipem, Pio Pigorini. Si è messo prima in contatto con la sua banca di Nassau dalla quale ha ottenuto un bonifico di 3 milioni e 928 mila marchi tedeschi. Poi ha chiesto la restituzione di 400 azioni della ex Karfinco (la banca di Francesco Pacini Battaglia), per un totale di 1 milione e 200 mila franchi svizzeri. Infine ha depositato il tutto, un totale di 4 miliardi di lire, sul conto che lo stesso pm Francesco Greco aveva indicato al suo legale. Un conto aperto presso la filiale interna di palazzo di Giustizia della Bnl che da 7 anni si occupa di custodire il cosiddetto «bottino di Tangentopoli», arrivato ormai a quota 200 miliardi. Con questo versamento Pigorini, inquisito per i fondi neri dell'Eni, spera di poter accedere al patteggiamento nell'udienza preliminare che si svolgerà davanti al gip Maurizio Grigo nelle prossime settimane. E come lui si stanno affannando a restituire quattrini altri 18 imputati dello stesso procedimento, tutti «patteggiando). Eppure, nonostante la buona volontà, di fronte all'imponenza delle cifre distratte o nascoste dai bilanci del colosso energetico italiano (circa 600 miliardi) i 30-40 miliardi che verranno raccolti tra i 19 indagati prima dell'udienza preliminare, saranno solo una piccola parte dei soldi che la stessa Eni si aspettava di ricevere come risarcimento dagli ex manager infedeli inquisiti da Mani Pulite. Basti pensare che il conto per le sole spese legali contestate agli indagati dai legali di parte civile dell'Eni per sostenere il giudizio, ammonta a 2 miliardi e 128 milioni. Gli stessi soldi degli imputati Eni, rappresentano poi una goccia nel mare se confrontati con le decine e decine di miliardi scomparsi attraverso il sistema delle tangenti scoperto, dal '92 ad oggi, dalla procura della Repubblica milanese. Quadri, lingotti, yatch, aerei. E valuta straniera di tutti i tipi: dai dollari agli ecu, dai marchi ai franchi svizzeri, agli yen. E' immenso e variegato il tesoro di Tangentopoli. «Diciamo pure incalcolabile», precisa il giudice Maurizio Grigo, che ha seguito come gip la maggior parte delle indagini del pool. Dall'inchiesta partita da Mario Chiesa, in 7 anni di processi e indagini la procura di Milano ha scoperto, tra fondi neri e tangenti, una cifra intorno ai 1500 miliardi. Solo per l'Eni sono stati accertati 550 miliardi di fondi neri; per Montedison 350; per Enimont la tangente è stata di 200 miliardi; per Eni-Sai di 17; nell'inchiesta Gdf le mazzette hanno superato i 10 miliardi. Quindi vanno calcolati i procedimenti minori (al solo Mario Chiesa vennero contestate tangenti per 18 miliardi, di cui solo 7 recuperati) e quelli ancora in corso. Di questo immenso patrimonio, concretamente, la Procura ha recuperato a malapena 200 miliardi che serviranno in gran parte per pagare le costituzioni di parti civili: dagli enti daimeggiati all'erario, rappresentato dal ministero delle Finanze. I magistrati non si fanno illusioni: sarà impossibile per lo Stato ottenere il resto del malloppo, soprattutto quello finito nelle casse dei partiti o dei personaggi politici di spicco. Di questi solo pochissimi hanno restituito i soidi ricevuti come tangenti: l'ex ministro De Lorenzo, così annunciò l'ex pm Antonio Di Pietro durante il processo Cusani, versò nel '94; sul solito conto Bnl, 4 miliardi relativi al¬ l'inchiesta sulle mazzette per la Sanità. Mentre l'ex tesoriere della Lega, Alessandro Patelli, attraverso la famosa colletta della «damigiana» fece riavere i 200 milioni ottenuti da Carlo Sama. L'ex ministro Paolo Cirino Pomicino, la cui posizione dev'essere però ancora definita, versò altri 3 miliardi. E gli altri? Buio totale. A Bettino Craxi i magistrati, oltre a un certo numero di lingotti d'oro pari a 250 milioni custoditi in un caveau svizzero, hanno sequestrato, grazie alle indicazioni del suo prestanome Maurizio Raggio, un jet privato che ancora si trova in un hangar di Zurigo in attesa di essere venduto. Altri 3 o 4 miliardi sono stati consegnati sempre da Raggio (il resto sostiene di averlo speso durante la latitanza). Mentre non hanno avuto esito le rogatorie inoltrate a Hong Kong dove i pm, su indicazione di altri due prestanome, Troielli e Ruju, speravano di recuperare buona parte del «tesoro» dell'ex leader socialista: le richieste sono state rispedite al mittente senza troppi compli¬ menti. SeveTTOo^itari8li,'"8*«tesoriere» della De, non ha mai restituito una lira: i soldi, si è sempre difeso, li prendeva per il partito. E il partito, come si sa, non esiste più. Diverso il discorso per i vari intermediari, faccendieri e manager, solitamente più solleciti e sensibili al problema dei risarcimenti, viatici per accedere ai patteggiamenti o comunque alle riduzioni di pena. Recordman della restituzione è certamente l'imprenditore romano Domenico Bonifaci (l'uomo che permise la creazione dei fondi per la maxi-tangente Enimont): per chiudere senza troppi danni la sua partita con la giustizia, nel 1996 ha versato sull'unghia ben 56 miliardi. Venti miliardi, più alcuni quadri d'autore, li ha versati Sergio Cusani, mentre somme consistenti sono arrivate dal «collettore» socialista Sergio Radaelli per le tangenti Atm (9 miliardi), dal commercialista Pompeo Locatelli (oltre 7 miliardi) e dall'avvocato Vincenzo Palladino (6 miliardi circa). Diciotto miliardi vennero invece riportati dalla Svizzera da Bruna Di Lucca, vedova dell'ex presidente dell'Eni Gabriele Cagliari. Ciò nonostante, il costo che la gigantesca macchina da guerra utilizzata dalla procura per affrontare e portare a termine le incheiste di Mani Pulite, rischia di ricadere solo sulle casse dello Stato. La legge stabilisce infatti che se un processo si chiude con un patteggiamento della pena, l'imputato non paga le spese processuali che in alcuni casi sono nell'ordine di miliardi. Per questo il gip Grigo sta pensando, su richiesta del pm Greco, di emettere un decreto di sequestro conservativo sui miliardi depositati alla Bnl del palazzo, in modo che i soldi siano da subito a disposizione dell'autorità giudiziaria finché la conclusione dei dibattimenti non disporrà a chi debbano andare. I legali più ottimisti confidano nella prescrizione. Ma rischia di essere soltanto un'illusione: secondo i calcoli dei giudici, i principali reati contestati, come il falso in bilancio aggravato o la ricettazione, si potranno prescrivere soltanto nel 2009. Ancora 10 anni per alimentare le casse mai sazie della giustizia. Paolo Colonnello Paolo Cirino ■ Pomicino A sinistra il banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia Somma scarsa rispetto agli assegni incassati dai partiti: il denaro raccolto servirà per pagare spese processuali

Luoghi citati: Hong Kong, Milano, Svizzera, Zurigo