I diritti. E i rovesci

I diritti. E i rovesci Torture, deportazioni, «lingue tagliate»: succede ed è tollerato in molti Paesi delle Nazioni Unite I diritti. E i rovesci Onu, una missione sempre a rischio INQUANT'ANNI fa è stata scritta la pagina più bella del secolo: la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. L'ha scritta quella che avrebbe voluto essere la protagonista della politica internazionale nella seconda metà del '900: l'assemblea delle Nazioni Unite. Lo scarto tra l'affermazione solenne dei principi della Dichiarazione e i limiti fortissimi della loro attuazione deve stare al centro delle riflessioni su questo anniversario. Ogni autocelebrazione da parte dei funzionari e dei rappresentanti politici dell'organizzazione mondiale è fuori luogo. Il modo migliore di ricordare quella data è trarne un franco bilancio critico. Norberto Bobbio lo ha già fatto su questo giornale riproponendo i diritti e i doveri anche degli Stati alla soglia del terzo millennio. Vorrei aggiungere altre considerazioni. Il fatto che la Dichiarazione non sia oggi formalmente ripudiata da nessuno Stato e da nessuna comunità politica e culturale è la sua forza più grande. Ma con il passare degli anni sono emersi almeno tre punti critici. 1) La Dichiarazione è nata ed è stata formulata fondamentalmente come espressione della cultura universalist:';a di impronta occidentale, avendo di mira innanzitutto il totalitarismo politico e le sue matrici culturali che avevano sconvolto la prima metà del secolo (razzismo, nazionalismo, imperialismo, colonialismo). Di fatto la Carta sin dall'inizio coesiste con la pratica di regimi politici che ufficialmente ripudiano quelle patologie culturali, ma di fatto calpestano i diritti dell'uomo sotto altre forme politiche e ideologiche. Spesso sono regimi decisivi nel determinare le grandi risoluzioni dell'Onu (si pensi all'Urss di ieri e alla Cina di oggi o all'influenza di taluni Paesi arabi). 2) La Dichiarazione del 1948 dava credito all'Organizzazione delle Nazioni Unite di poter diventare il nuovo soggetto politico, che doveva dare attuazione pratica, sia pure graduale, ai diritti proclamati. L'Onu ha disatteso questo ruolo. L'incapacità di incidere in modo significativo là dove la sua azione è richiesta o addirittura annunciata, è una delle frustrazioni più grandi rispetto alle aspettative. 3) La Dichiarazione dev'essere continuamente aggiornata, ampliata, precisata nel catalogo dei diritti (sociali, ambientali, di genere) sotto la pressione stessa della logica che ha messo in moto. Il risultato è ambivalente. Da un lato ci sono state Conferenze internazionali importanti (a Rio sull'ambiente, al Cairo sulla popolazione, a Pechino sulla donna). D'altro lato però proprio queste manifestazioni hanno dato luogo e legittimato manipolazioni dei temi trattati per evitare conflitti laceranti fra i Paesi partecipanti. La contrattazione politica e ideologica ha spesso falsificato la chiarezza dei principi. Il fatto che la Dichiarazione sia stata formulata in un linguaggio «universalistico» forgiato nella cultura occidentale non vuol dire che sia etnocentrica o eurocentrica. Non è vero che tramite talune formule si pretenda di imporre una visione occidentalista o che favorisca un determinato sistema socioeconomico o religioso o secolarizzato. Questo sospetto è stato talvolta avanzato, ma è difficilmente sostenibile. Nessuno può contestare in linea di principio che ogni singolo uomo e donna ha diritto all'integrità fisica, morale e culturale, e al- la propria identità e autonoma espressione, qualunque sia la razza, la religione o la nazione d'appartenenza. Certo, è legittimo affermare che «integrità», «autonomia» e «identità» sono concetti da interpretare culturalmente e storicamente. Ma non si venga a dire che mutilare,'imprigionare, sradicare dal territorio, «tagliare le lingue» o semplicemente negare il diritto di parola e di rappresentanza sia una forma culturale «diversa» per garantire l'identità propria e altrui. Invece è proprio questo che viene fatto o tollerato da molte nazioni rappresentate nell'Onu. Di fronte a violazioni meno brutali, ma non meno sottili dei regimi cosiddetti «fondamentaUsti» (oppure ancora comunisti) viene un dubbio: il nostro è un pregiudizio «occidentalista» e «secolarista», che non capisce le chance di autorealizzazione offerte alle donne iraniane o agli studenti cinesi che scendono in piazza? Teheran e Pechino disattendono la Dichiarazione dei diritti dell'uomo, oppure la stesura del 1948 andrebbe rivista alla luce dello «scontro delle civiltà» di fine secolo? In realtà è un falso dilemma: è vera soltanto la prima parte dell'interrogativo. Ovvero, per fare un discorso propositivo, occorre assolutamente tenere fermi i principi-base della Dichiarazione originaria, non recedere dal ricordarla agli inadempienti, anche se probabilmente alcune formulazioni potrebbero essere rivisitate in modo più attento e sofisticato, ma non tale da rinnegarne la sostanza. A ben vedere, uno dei passaggi cruciali è il rapporto tra individuo e comunità di appartenenza. Probabilmente questo punto non è stato adeguatamente sviluppato nel 1948 perché allora l'impegno più urgente era quello di difendere l'individuo dalla prepotenza di una struttura statale totalizzante di matrice razzista. Limitandosi a affermare contemporaneamente il diritto di tutti i popoli-nazioni (due concetti interscambiabili e non meglio specificati) a avere il loro Stato, la Dichiarazione del 1948 poneva un'importante premessa alla decolonizzazione. Ma di fatto riconfermava il modello dello Statonazione tradizionale, nel momento stesso in cui ingenuamente assicurava che tale modello stava declinando a favore di organismi sovra- La birmana posizione nazionali. Decolonizzazione, autonomia dei popoli, democratizzazione, declino dello Stato-nazione tradizionale erano dati come processi irreversibili e tra loro collegati. Non era mai successo che una utopia politica fosse falsificata nel momento stesso in cui veniva enunciata: proprio con la fine del 1948 il mondo intero si barricava nell'ostilità della guerra fredda e l'Onu entrava in una fase di decisioni altamente controverse (dalla creazione dello Stato di Israele all'intervento militare nella guerra di Corea). Dalla prospettiva lunga dei cinquant'anni, è difficile dire se allo scioglimento di alcuni di questi nodi (guerra fredda, crisi arabo-israeliana) abbia contribuito anche l'azione dell'Onu, con il riferimento alla Carta dei diritti. Il discorso ritoma così alla capacità di intervento delle Nazioni Unite dalle quali ci si è atteso troppo. Rispetto ad altre esperienze storiche precedenti (ultima la Società delle Nazioni) le sue prestazioni sono straordinariamente positive. E' impossibile pensare il mondo contemporaneo senza l'Onu, quanto meno come luogo «pubblico mondiale», in cui si possono ricordare ad alta voce i diritti dell'uomo. E' vero che il linguaggio dei principi si mescola con il linguaggio ipocrita delle diplomazie, ma le orecchie attente e oneste sanno distinguere. E' vero che le risoluzioni sono spesso documenti contorti, velleitari, elusivi, ma sono l'unico lasciapassare che consente di usare non soltanto la parola ma anche la forza contro i casi più gravi di delitti contro l'uomo. Certo: la strada da percorrere è lunghissima sia sul piano della difesa attiva dei diruti sia sul piano della loro ridefmizione e estensione. Questo probleira non va sottovalutato, perche anche laddove non ci sono manifeste falsificazioni ideologiche (come succede nella formulazione dei diritti specifici della donna e del bambino) non si tratta mai di semplici «aggiunte» di diritti ma di ridefinizioni che possono complicare e modificare quello che in precedenza sembrava semplice e acquisito. Insomma la questione dei diritti è tutt'altro che chiusa anche nei suoi termini definitori. Gian Enrico Rusconi i & l #™™|! !• |2 Esecuzioni extragiudiziali Li! In 55 Paesi sono state accertate o sono possibili esecuzioni extragiudiziali m —•— Sparizioni. MN In 31 Paesi sono «scomparse» o non IL MONDO DEI SOPRUSI m v.v.Sv.-.v •.,,>5,J sono state ritrovate persone «scomparse» in anni precedenti la mancanza di cure mediche o le condizioni di prigione crudeli, disumane o degradanti hanno causato o si sospetta abbiano causato la morte di persone arrestate. Tortura e maltrattamenti. In 117 Paesi sono stati denunciati atti jhW di tortura o maltrattamenti da parte ■ delle forze di sicurezza, della Polizia db o di altre autorità dello stato. hjj In 41 Paesi le torture e i maltrattamenti, db Prigionieri per motivi di opinione. In 87 Paesi sono stati detenuti, probabili o accertati, prigionieri per motivi di opinione Processi non equi. In 34 Paesi sono stati incarcerati prigionieri politici in seguito a pmcessi non equi Detenzione senza accusa né processo. In 53 Paesi ci sono stati arresti ed incarcerazioni arbitrari, o incarcerazioni senza accusa né processo il numero totale delle esecuzioni dalla fine della moratoria per la pena di morte è così arrivato, nel 1997, a 432. Pena di morte. In 40 Paesi ci sono state esecuzioni. In almeno 70 Paesi ci sono ancora prigionieri condannati a morte. Solo negli Stati Uniti ci sono state 74 esecuzioni, la cifra più alta dal 1955: Violazione dei diritti umani da parte di gruppi di opposizione armata. In 31 Paesi gruppi di opposizione armala hanno com?nesso gravi violazioni dei diritti umani, come uccisioni arbitrarie e deliberate di civili, tortura, cattura di ostaggi. Un campo di concentramento serbo rs|nn|OT % • n • irrmn 'nr seti Princìpi subito rinnegati: poco dopo cominciò la guerra fredda E orai contenuti della Carta vanno estesi e ridefiniti La birmana Aung San Suu Kui, Nobel per la pace nel '91, costretta agli arresti domiciliari dal regime del suo Paese dopo aver vinto le elezioni alla testa dell'opposizione

Persone citate: Gian Enrico Rusconi, Norberto Bobbio

Luoghi citati: Cairo, Cina, Corea, Israele, Pechino, Rio, Stati Uniti, Teheran, Urss