Il viaggio di un'utopia di Aldo Rizzo

Il viaggio di un'utopia Dopo i Terrori, è stato il primo atto «internazionale» della storia Il viaggio di un'utopia DOVE, dopo tutto, hanno inizio i Diritti dell'Uomo? Nei luoghi più piccoli, vicino casa, luoghi così piccoli e vicini da non essere menzionati nelle carte geografiche. Tuttavia questi luoghi rappresentano il mondo del singolo individuo: il quartiere in cui vive, la scuola che frequenta, la fabbrica o l'ufficio dove lavora. Questi sono i luoghi dove ogni uomo, donna e bambino cerca eguale giustizia, eguale opportunità, eguale dignità. Se questi diritti non avranno valore in quei luoghi, ne avranno poco anche altrove». E dunque spetta in primo luogo agli stessi cittadini rivendicare la propria eguaglianza, altrimenti «continueremo invano a tentare di progredire su scala mondiale». Con queste parole, con questo programma, Eleanor Roosevelt, la vedova del grande Presidente, assunse nel 1946, neh'Onu nata l'anno prima, la guida della Commissione dei Diritti Umani. La Commissione incaricò un comitato di otto membri (Australia, Cile, Cina, Francia, Libano, Urss, Gran Bretagna e Stati Uniti) di redigere, sull'argomento, una Dichiarazione Universale, qualcosa che riguardasse tutti, che arrivasse a tutti e non fosse soltanto una petizione di principio, generica e vaga. Dopo due anni di discussioni e di votazioni, la Dichiarazione fu varata e il 10 dicembre 1948 fu approvata dall'Assemblea generale, riunita per quella sessione a Parigi (dove, nel 1789, l'Assemblea Costituente di Francia aveva votato la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, sintesi del pensiero illuminista, che però la stessa Francia avrebbe tradito poco dopo, quando la Rivoluzione diventò il Terrore). La Dichiarazione dell'Onu del 1948 era un atto «internazionale» ed era il primo nella storia. Seguiva un altro e più grande Terrore, quello della seconda guerra mondiale, soprattutto nel suo aspetto nazista, ma non solo, e voleva rappresentare una svolta effettiva, sia nel senso dell'estensione dei diritti (la parità dei sessi, la condanna esplicita di ogni forma di schiavitù, curetta o indiretta, le eque condizioni di lavoro), sia nel senso di rendere progressivamente vincolante per tutti, sul piano giuridico, l'impegno per le libertà fondamentali («una Magna Charta per l'umanità»). La Dichiarazione in sé non era un Trattato, ma sarebbero venuti col tempo accordi di attuazione, sui diritti civili e politici e su quelli economico-sociali. Eppure il modo in cui in Occidente e in Europa fu accolto il Eleanor R voto dell'Assemblea generale al Palais de Chaillot non fu incoraggiante, anzi esprimeva una diffidenza profonda. Valga l'esempio del nostro stesso giornale. L'11 dicembre 1948, la Stampa pubblicò nella pagina delle «ultime notizie» una corrispondenza da Parigi siglata «d. b.». Si parlava di «decisioni solenni», che «vorrebbero essere storiche», ma erano destinate a essere dimenticate «il giorno dopo». Il giorno dopo, appunto, cioè il 12 dicembre, il corrispondente riassumeva così il suo giudizio: «Un'Assemblea verbosa e inconcludente, un meccanismo complesso costruito mani per la pace, ma di fatto incapace di stabilirla e difenderla». L'Onu veniva ancora indicata come Uno, o meglio U.N.O. (nella sigla inglese di «United Nations Organisation»). «d. b.» stava per Domenico Bartoli, un grande giornalista ancora molto giovane, che comunque rifletteva nei suoi articoli lo scetticismo e l'apprensione di quelli che venivano definiti, nel linguaggio dell'epoca, i «circoli occidentali». E già, perché eravamo pur sempre nel 1948, l'anno cruciale della spaccatura Est-Ovest, l'anno del colpo di Praga e del blocco di Berlino, che ancora durava. I timori di una terza guerra mondiale, per l'aggressività ideologica e strategica della Russia di Stalin, erano o sembravano molto più concreti, per le democrazie liberali, degli appelli «ecumenici» ai diritti individuali (sulla Dichiarazione, comunque, il blocco sovietico si era astenuto, mancò anche il sì di Arabia Saudita e Sud Africa). La stessa Onu era guardata con sospetto, perché tendeva a mettere sullo stesso piano (cercando un necessario consenso) chi aveva ragio¬ ne e chi aveva torto. Cinquantanni fa. Cinquantanni dopo, l'Assemblea generale (185 membri rispetto ai 58 del 1948) torna a riunirsi a Parigi per celebrare il mezzo secolo della Dichiarazione. Lo scontro ideologico è finito, l'Occidente ha vinto, ma i suoi valori non sono certo diventati universali. Le stragi in Ruanda, la «pulizia etnica» in Bosnia sono gli esempi macroscopici di una violenza tuttora non sradicata (per ragioni, certo, molto complesse), e ci sono tanti altri casi, meno clamorosi. Però prende corpo l'«utopia» di cinquant'anni fa. Proprio per il Ruanda e la ex Jugoslavia sono sorti, nell'ambito dell'Onu, tribunali «ad hoc». Ma soprattutto è nato, nel luglio scorso a Roma, il Tribunale internazionale permanente, per i crimini contro l'umanità, una novità assoluta per la storia (anche se ancora embrionale). A questo va aggiunto il monitoraggio costante delle violazioni dei diritti umani, anche «minori», da parte di un'organizzazione come «Amnesty International». La Dichiarazione resta «la visione di come il mondo dovrebbe essere», quindi da rapportare alle realtà politiche (vedi i casi Pinochet e Ocalan), ma da conservare come indicazione di marcia. L'indicazione, nel 1998, sembra più netta che nel 1948. 0 almeno voghamo crederlo. Aldo Rizzo 10 dicembre '48: nella diffidenza di tutti, a Parigi sifirmava il documento Ma i valori dell'Occidente, dopo lo scontro ideologico, non sono universali Eleanor Roosevelt guidò la Commissione dei diritti umani

Persone citate: Domenico Bartoli, Eleanor Roosevelt, Ocalan, Pinochet, Stalin