Petropavlovsk, dove la Russia muore

Petropavlovsk, dove la Russia muore Petropavlovsk, dove la Russia muore Al buio, senza riscaldamento e senza soldi NELL'ESTREMO PETROPAVLOVSK DAL NOSTRO INVIATO La cosa più difficile è districarsi dalla violenza dei contrasti, uscire dalla trappola degli specchi deformanti di un labirinto apparentemente impercorribile. La straordinaria bellezza della natura, ad esempio, che cozza contro la presenza inquinante di un'umanità malata e ferita. L'impressionante ricchezza offerta a piene mani dal sottosuolo e dal mare e la cupa povertà che letteralmente trasuda dalle case di cemento a blocchi, screpolate e miserabili, dalle sterminate sequele di rottami, abbandonati dovunque, di relitti che spuntano dalla neve e dal fango, di navi arrugginite attraccate a banchine sconnesse, tra carcasse semiaffondate.La storia e tragedia della più lontana delle regioni dell'estremo oriente russo è lunga quanto la scoperta e i primi insediamenti umani, che risalgono alla seconda metà del '700. Ma è inutile tentare di ripercorrerla qui, anche perché non c'è tempo. Ecco un'altra lancinante contraddizione: guardi le vette scintillanti dei vulcani che quasi incombono sulla città, del maestoso Koriakskij, vivo e minaccioso, e provi la sensazione delle ere geologiche, della smisurata lentezza della natura. Poi lo sguardo, tornato orizzontale, mostra grigie formiche impazzite che non riescono nemmeno a scaldarsi. Petropavlovsk è al buio. Neanche i semafori funzionano più. Il riscaldamento, al minimo, c'è in qualche palazzo del centro, ma 45 piccole centrali termiche della Kamciatka, che riscaldano e danno luce ai villaggi, sono senza combustibile. Due centrali più grandi e altre 38 minori, hanno combustibile per altri due o tre giorni. Una nave cisterna, la «Boris Butom», naviga mentre scrivo verso Petropavlovsk con 10 mila tonnellate di gasolio. Dovrebbe arrivare martedì otto, se non ci sono tempeste. Per il capoluogo sarà una tregua di cinque giorni. Quello che succederà dopo non lo sa nessuno. E l'inverno non è ancora cominciato sebbene le temperature siano già sotto i -15. Impossibile descrivere il groviglio delle responsabilità. C'è un solo modo per riassumere ciò che vedo: lo Stato russo è definitivamente, platealmente crollato. Ed ecco un altro assurdo: le macchine circolano, i negozi non sembrano a corto di generi alimentari (anche se i prezzi sono spaventosi), la gente non muore di fame (anche se le facce che incontri per strada indicano un cattivo stato di salute), ma le centrali si spengono, i trasporti si fermano, gli stipendi non arrivano da mesi. Lo Stato svenduto, privatizzato, è diventato un mostro cie- co che brancola nel buio. E' arrivato qui appena prima di me il ministro Shoigu, quello delle situazioni di emergenza. Mentre me ne vado sta arrivando Anatolij Ciubais, che dovrà aggirare i blocchi stradali di protesta. Atterrano aerei speciali, pieni dei rappresentanti dei ministeri centrali, finanze, trasporti, energia, difesa. Discutono fino a notte inoltrata (ma non potevano farlo a Mosca, già che c'erano?) Si firma un protocollo congiunto in base al quale ii ministro delle Finanze promette che manderà un po'di denaro all'esercito e un altro po' per pagare le pensioni e per qualche dotazione alle poche fabbriche e sovkhoz non ancora crollati. Il ministro dei Trasporti giura che troverà navi cisterna più grandi della «Butom» per portare olio e nafta alle centrali. Il ministero della Difesa promette in prestito altre diecimila tonnellate di gasolio, come anticipo, estratto dalle riserve strategiche di quello che era un avamposto sul Pacifico a difesa dell'URSS e ora è un moncone mezzo smantellato che non difende neanche più se stesso, ma continua a costare miliardi. Il ministero dell'Energia cercherà di convincere i privati, còme la Sidanko, la Slavneft a anticipare il combustibile. Forse lo compreranno in Corea. Nel frattempo il governatore è a Mosca, a implorare gli stessi ministeri, e i deputati della Duma locale, impotenti, inviano appelli al governo centrale e alla Duma di Mosca. In attesa della «Butom» oltre 300 mila persone stanno al buio. Ai pensionati più poveri l'amministrazione distribuisce gratis bombolette coreane di gas (al mercato costano 20 rubli). Chi può se le compra. Chi non può si arrangi, punto e basta. All'ospedale regionale, cadente come tutto il resto, una stamberga dalle scale maleodoranti, cinque piani senza ascensore, per adesso la luce c'è ancora. Viktor Ivanovic, uno dei capi reparto, legge la circolare d'emergenza: prepararsi al peggio. Mostra il suo rasoio elettri¬ co: «Vengo qui a farmi la barba - mi dice con un sorriso mesto - per apparire decente ai malati». Le infermiere hanno anche loro l'asciugacapelli negli armadietti. Si lavano qui perché c'è l'acqua calda. Qui si fanno la messa in piega. Mi sbalordiscono i loro camici immacolati che sfiorano la sporcizia dei muri scrostati. Il pavimento di linoleum è bucato in più punti. I malati inciampano; ieri uno è caduto e si è rotto un braccio. L'aspettativa media di vita alla nascita si è ridotta di un altro anno. Ora in Kamciatka è di 57 anni per l'uomo, 60 per le donne. Il numero dei medici è crollato di un terzo dal 1991 : se ne vanno quelli che possono sperare di meglio sul continente. Viktor Ivanovic prende (quando li prende, gli ultimi sono arrivati ad aprile) 1600 rubli al mese (150 mila lire), mentre Stalina, Natasha e Galina, che dovrebbero guadagnare 400 rubli al mese, non li vedono da sette mesi. «Non c'è speranza, non c'è via d'uscita - dice Stalina - l'unica cosa è scavarsi una nicchia per resistere». Andarsene? E dove? Sul continente le cose non vanno meglio. E qui andarsene significa la Siberia orientale. La Russia europea è all'altro capo del mondo. E cosa c'è di meglio a Magadan? Dieci gradi di temperatura più sotto. Vladivostok è peggio di Petropavlovsk. Khabarovsk è già piena di cinesi. La Siberia intera è in piena crisi energetica, come e peggio di Petropavlovsk. Allora si rimane, ripiegati su se stessi, come fuscelli che attendono una tempesta ancora peggiore. Eppure ci sarebbe il gas naturale per scaldarsi, ma non ci sono i denari per costruire il gasdotto. Ci sarebbero le acque termali, che sgorgano in tutta la Kamciatka, ma i progetti sono rimasti nei cassetti. C'è la potenza dei soffioni, che permetterebbe di costruire una centrale ca- pace di scaldare e illuminare tutta Petropavlovsk. Insipienza locale e moscovita dei tempi socialisti. Adesso non c'è più un governo capace neppure di pensare a questi piani. Ai tempi sovietici gli scienziati avevano progettato una centrale elettrica capace di sfruttare l'onda di marea più alta del mondo: 12 metri, nel Nord del mare di Okhotsk. Avrebbe illuminato tutto l'estremo oriente russo. «Erano i tempi in cui si invertiva il corso dei fiumi - dice Foot Galimzanov, vicecapo del distretto di Ust-Bolsheretskoe, 250 km a Ovest di Petropavlovsk, sulla costa del mare di Okhotsk -. Allora si pensava in grande, c'era un'idea di Stato, c'era un punto di riferimento...» Non è difficile cogliere il tono di rimpianto nella voce di questo ex agronomo comunista, divenuto amministratore post-comunista a 3600 rubli al mese (ultimo stipendio lo scorso luglio) giusto in tempo per contare i 400 disoccupati ufficialmente registrati del suo distretto; per constatare la impressionante diminuzione della popolazione, scesa in cinque anni da 15 a 11 mila persone; per misurare il fiume di alcol che sparisce, inghiottito da gole attraverso cui non passa quasi nient'altro, per impedire ai cervelli di pensare ad altro. Torno in albergo costeggiando il porto e l'immensa baia deserta di navi. S'incrociano gipponi giapponesi da 70 mila dollari, guida a destra. A guardare le macchine che circolano sembrerebbe che qui nuotino nella ricchezza. E i nuovi ricchi non mancano. Sono quelli che trafficano caviale e licenze di pesca. Per loro il problema del riscaldamento e della luce non c'è; hanno i generatori privati. E saranno tra i pochi a poter festeggiare due volte il capodanno. E' di moda ormai, per quelli che hanno trovato l'America in Kamciatka: brindare a Petropavlovsk e poi, di corsa, all'aeroporto, dove un charter li porterà ad Anchorage, Alaska, in quattro ore. Gliene resteranno venti per brindare un'altra volta in terra d'America, perché il mondo è rotondo e il tempo comincia a contarsi proprio da qui, dove «gli altri», quelli che in America non possono andare, muoiono di freddo. Giuliette Chiesa Gli stipendi non arrivano da 7 mesi «Non c'è speranza proviamo a resistere» Ma nelle strade passano le jeep giapponesi dei nuovi ricchi Una' immagine del freddo che sta attanagliando la Russia

Persone citate: Anatolij Ciubais, Boris Butom, Foot Galimzanov, Giuliette Chiesa, Shoigu, Viktor Ivanovic