«Una corte internazionale per Ocalan» di Francesco Manacorda

«Una corte internazionale per Ocalan» L'Ue appoggia la soluzione caldeggiata dall'Italia, ma la Turchia si dice subito contraria «Una corte internazionale per Ocalan» La proposta dell'Europa BRUXELLES DAL NOSTRO CORRISPONDENTE I Quindici dicono sì a una soluzione internazionale per il caso Ocalan. Lo ha spiegato ieri, alla fine della riunione dei ministri degli Esteri europei, l'austriaco Wolfgang Schuessel, presidente di turno dell'Ue: per il processo al leader del Pkk serve «una sede internazionale, qualunque essa sia e qualsiasi titolo abbia»; per il resto l'Unione «appoggia l'Italia» che si è comportata «correttamente». Alla fine, insomma, la solidarietà europea alla soluzione ipotizzata dal nostro governo per risolvere la querelle con la Turchia è arrivata, anche se per averla è occorso l'appoggio interessato di un peso massimo comunitario come la Germania. Proprio su iniziativa di Roma e Bonn, infatti, i ministri degli Esteri hanno discusso ieri durante il pranzo - cioè in modo informale - quella che Lamberto Dini definisce «una questione non bilaterale o trilaterale, ma che riguarda l'Europa, il sistema di Schengen». 11 risultato, assai importante per l'Italia, è appunto la dichiarazione di Schuessel. Spianata la strada della diplomazia, da oggi gli ambasciatori presso il Consiglio d'Europa, che ha sede a Strasburgo, si metteranno al lavoro per trovare gli strumenti adatti a consentire il processo ad Ocalan «in una corte intemazionale in ambito europeo», come dice ancora Dini, spiegando che ci sono 22 convenzioni alle quali si potrebbe fare ricoi-so. L'ipotesi che piace di più all'Italia è proprio quella di un tribunale internazionale in seno al Consiglio d'Europa. Ma ci sono almeno due controindicazioni: il tribunale dovrebbe essere istituito con il voto unanime dei quaranta membri del Consiglio di Strasburgo, incluso quello della Turchia che ancora ieri ha ribadito il suo «no» a una corte di internazionale; inoltre la creazione di un tribunale di questo tipo comporterebbe tempi lunghi, che mal si conciliano con la volontà di tutti i Paesi europei di chiudere al più presto l'imbarazzante caso Ocalan. Ecco allora che appare sempre più probabile il ricorso alla seconda ipotesi avanzata dal nostro -governo e anch'essa «benedetta» ieri dai Quindici: «Con i tedeschi - spiega Dini - abbiamo studiato la convenzione del 1972 sul trasferimento dei procedimenti penali». In base a quel trattato, che il nostro Paese non ha mai firmato, si potrebbe istituire il processo al capo del Pkk in uno degli undici Paesi che lo hanno invece ratificato, con un tribunale nazionale. Anzi, la scelta si riduce a dieci visto che la Turchia, anche essa firmataria della Convenzione del '72, non pare naturalmente il Paese più indicato per celebrare il processo. Si è parlato dell'Olanda, che sembra però essersi chiamata fuori, restano aperte le ipotesi di Austria, Spagna o Svezia. Anche in questo caso, comunque, l'assenso di Ankara al processo in un altro Paese sarebbe una condizione importante, sebbene non formalmente necessario. Ne discuteranno probabilmente oggi Dini e il ministro degli Esteri turco Ismail Cen, durante un incontro bilaterale al vertice della Nato. Ma il tempo stringe davvero, fa capire il governo italiano. Dopo aver ottenuto l'appoggio politico dei Quindici, Dini spiega adesso che la «procedura da seguire ed il Paese dove si svolgerà il processo devono essere decisi prima del 22 dicembre», cioè la data in cui scadono i termini per la domanda di estradizione di Ocalan da parte della Germania e quindi l'obbligo per l'Italia di vigilare sull'ingombrante visitatore. Se così non sarà «se non c'è un accordo di nessun tipo, la situazione diventa più difficile - insiste il ministro - e non rimarrebbe che la possibilità dell'espulsione». Una possibilità «non gradita in particolare all'Ue», viste le sue posizioni sul terrorismo. E del resto ancora ieri la presidenza austriaca, assieme alle parole di sostegno all'Italia, ha sentito il bisogno di sottolineare che «l'Ue appoggia la lotta al terrorismo, compreso quello del Pkk». In questa strategia tesa a rende¬ re sempre più «europeo» il caso Ocalan, i Quindici mantengono immutata la loro posizione verso la Turchia, candidata, finora con poche speranze, all'allargamento dell'Unione europea. Ad Ankara, spiega Dini, va rivolto «un richiamo e un incoraggiamento molto forte a fare di più per il rispetto delle regole democratiche e dei diritti umani», ma la posizione italiana «non cambia nè può cambiare» anche se oggi la Turchia «è lontana dall'Europa». Francesco Manacorda