D'Alema rassicura gli studenti «Non daremo soldi ai privati»

D'Alema rassicura gli studenti «Non daremo soldi ai privati» LA RETROMARCIA DI PALAZZO CHIGI D'Alema rassicura gli studenti «Non daremo soldi ai privati» LECCE DAL NOSTRO INVIATO «Presidente, la scuola scuffia». Lo striscione che accoglie Massimo D'Alema è accattivante, niente affatto polemico, e l'incontro del premier con gli studenti a Lecce non ha nulla a che vedere con i fischi di Catania e quel che annunciavano i quotidiani locali, «La Pantera contro il Presidente del Consiglio». E del resto lui, il premier che viene messo sotto accusa da una platea di un centinaio di liceali, lo dice subito chiaro e tondo, «non ho nessuna intenzione di trasferire fondi pubblici alla scuola privata». Siccome gli studenti sono per solito una categoria poco reverenziale, e che difficilmente si accontenta di una rispostina, il premier li abbatte a colpi di dati: «In Italia vanno a scuola 8.828.177 ragazzi, diciamo dalla materna alle superiori, e di questi 7.708.624 frequentano la scuola pubblica: è la stragrande maggioranza del sistema scolastico italiano. Le private pesano soprattutto per quanto riguarda le materne: 670.000 bambini su 1.100.000 circa. Vedete bene che si tratta, tra elementari e medie, di un 3 per cento scarso di frequentatori di scuole private, che non sono nemmeno tutte cattoliche, perché ci sono anche le Montessori. Quello che faremo è garantire il diritto allo studio a tutti, anche alle famiglie meno facoltose, diciamo, che desiderano mandare i figli alle private. E questo perché la Costituzione sancisce il diritto all'uguaglianza. Dunque, voi vi accalorate tanto per un problema che è minimo». Ma loro, i liceali leccesi, linguaggio compiuto e domande che non vanno più in là della parità scolastica, come se il mondo cominciasse e finisse al massimo attorno alla riforma Berlinguer, come se i banchi del liceo fossero le colonne d'Ercole del futuro, sanno bene che lì sul palco del teatrino al Rettorato non c'è solo il deus ex machina della stanza dei bottoni di Palazzo Chigi. C'è, soprattutto, un ex studente come loro, e che come e più di loro contestava, magari non per una scuola, ma addirittura per una società migliore. E infatti Francesca Santoro del ginnasio Palmieri, si alza dalla platea e subito gli fa omaggio di un volantino. E' un pezzo d'annata, che D'Alema si rigira con inevitabile ed inequivoco compiacimento tra le mani. E', soprattutto, un pezzo di passato che ritorna: «Martedì 23 marzo 1976 nell'aula magna dell'Università di Lecce parleranno alle ore 16,30 Massimo D'Alema, segretario nazionale della Fgci; Lucia Annunziata, segretario nazionale scuola del pdup; e Claudio Signorile del psi». Ma i sentieri della memoria spandono il sorriso sotto i baffi di D'Alema solo per un momento. Si toglie gli occhiali nuovi, con montatura nera à la page, e accompagnando le parole con ampi gesti, ricorda che sì, lui i cortei li ha fatti, ma nel '68, e che del resto «molti dell'attuale classe dirigen¬ te del Paese, se andate a vedere, hanno fatto le proteste studentesche di quegli anni perché, diciamo, chi se ne sta a casa sua difficilmente riesce a combinare qualcosa nella vita». Guai, insomma, a ricordargli come ha fatto il liceale Guido «lei oggi sta qui a difendere la parità scolastica, mentre allora era nelle piazze come facciamo noi oggi». E non solo perché, comunque, ai tempi D'Alema era già un alleato della de: «Devo anche dirvi che le proteste non hanno mai cambiato la scuola», che «il limite dei movimenti studenteschi era di essere contro le riforme». E, per carità, «era un limite anche nostro, anche io scesi in piazza contro la riforma Gui, ma oggi penso che di certo quella riforma non avrebbe peggiorato la scuola». Ma una sorpresina all'inquilino di Palazzo Chigi gli studenti l'hanno riservata: «Caro Presidente, Cofferati dice che il grado di maturità di un Paese si misura anche dalla qualità dell'istruzione, ma la verità è che della scuola ci si ricorda solo in autunno. Noi siamo giovani, e rivendichiamo il diritto al successo». D'Alema non ha neanche ipotizzato che fosse una citazione impropria della Costituzione americana e del suo «diritto alla felicità». No, li ha presi sul serio, anche perché questo diritto al successo alla fine ricorreva in molti interventi. E a un certo punto è sbottato, «se non studiate, diciamo, quello che vi garantite per il futuro è il diritto all'insuccesso». [a. rara,]

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