Il grido d'allarme dei popolari

Il grido d'allarme dei popolari Il grido d'allarme dei popolari Mattarella: attenti alle «derive pericolose» IL VICE-PREMIER ALLA QUERCIA ROMA EL suo studio all'ultimo piano di Palazzo Chigi Sergio Mattarella parla con la voce bassa, come sempre calibra aggettivi, sostantivi e virgole, ma quando accenna alla legge elettorale, si avverte un leggero cambio di tono: «Io dico che il governo non cadrà sulla riforma elettorale, ma se qualcuno pensa di poter semplificare il quadro politico, dando vita al bipartitismo, beh questa sarebbe un'operazione forzata. Anti-storica. E in questo caso l'alleanza sarebbe messa a forte rischio». Un brevissimo intermezzo e poi la chiosa: «In un Paese nel quale il partito più grande supera a malapena il 20 per cento, pensare al bipartitismo è una cosa - voglio misurare i termini per sobrietà - è una cosa che a me pare piuttosto dissennata». Sergio Mattarella - il «papà» della riforma elettorale che ha avviato la Seconda Repubblica - si guarda dal far nomi, ma non ci vuol molto a capire che allude alle ultime sortite di Cesare Salvi e di colui che è stato il suo predecessore a Palazzo Chigi: Walter Veltroni. A proposito di governo, siamo quasi a metà del mitizzato traguardo dei 100 giorni Potevano andar meglio questi primi 50 giorni? «Nel mito dei cento giorni c'è sempre una luna di miele tra governo e Paese, ma questo esecutivo non ha potuto godere di questo vantaggio. Ci sono state subito prove impegnative: la Finanziaria da fare prestissimo, il caso Ocalan. Ma per me questo è stato un vantaggio: ha consentito di sottoporre il governo a prove di tensione, che è meglio affrontare subito». La nascita del governo D'Alema-Mattarella è coincisa con l'aumento della conflittualità tra Ds e Ppi. Veltroni - a sentire De Mita - dovrebbe smetterla di «visitare cimiteri»: in questi reiterati omaggi a personalità cattoliche, per lei c'è qualcosa di stonato? «Al di là del fatto che ho sempre una certa ritrosia verso atteggiamenti fatti per l'immagine, non può non farmi piacere se i democratici di sinistra manifestano sensibilità verso i valori del centro e della sua storia. Certo, se questi fossero messaggi per dire che si può fare un unico partito del centrosinistra, noi rispondiamo che questa possibilità non esiste». Ma intanto sulla parità scolastica i Ds hanno lanciato la novità con Berlinguer, l'hanno fatta propria con D'Alema, l'hanno stemperata con Veltroni. Il Ppi è restato alla finestra? «Se il problema si risolverà con lealtà, a noi non può che far piacere. Tutto ci appartiene tranne dire: le cose non vanno fatte se non siamo noi a battezzarle. E in ogni caso se i Ds hanno assunto questa posizione, lo si deve anche all'azione dei popolari. Collaborando in Parlamento e al governo la sintonia cresce». Ma la vostra sobrietà non rischia di rendervi «invisibili»? «Sì, questo problema della nostra visibilità esiste, anche se i popolari, ad ogni consultazione amministrativa, sono stabilmente oltre il 10 per cento. Bisogna saper coniugare di più la serietà delle posizioni con la capacità di comunicare. Ma ciò detto, è estraneo alla nostra cultura andare al di là di una sobrietà di comportamenti. E sono convinto che questo pagherà elettoralmente. Il nostro Paese ha bisogno di stabilità e di affidabilità». Sulla riforma elettorale può cadere il governo? «No. Quello lanciato dai popolari è un allarme preventivo. Ma bisogna stare attenti a non prendere derive pericolose. Soprattutto se sfugge un aspetto: non sono le regole che decidono l'aggregazione. Tranne a voler fare un'aggregazione che veda contrapposti due 20 per cento. Ma questo significa indebolire la democrazia». Segni dice che voi, come la De, siete proporzionalisti... «Questo è un metodo gravemente scorretto: attribuire agli altri posizioni "turpi" per polemizzare meglio. Noi siamo per il maggioritario tanto è vero che abbiamo fatto una scelta di alleanza che manteniamo. A differenza di altri...». Ma siete o no contro il referendum che abolisce il recupero proporzionale? «I popolari non vanno in eccitazione davanti alla parola magica del referendum. Il Ppi è contro questo referendum perché indebolirebbe il maggioritario, assegnando la quota proporzionale anche a chi non si collega a schieramenti». Una nuova legge elettorale dopo il referendum imporrebbe nuove elezioni? «Certo è difficile immaginare che il Parlamento non sia indebolito se si cambiano fortemente le regole elettorali. Il Capo dello Stato, pur riferendosi al '93, non indicava un automatismo, ma diceva una cosa ovvia. Così come se cambiamo le regole per l'elezione del Capo dello Stato, è evidente che si impone una nuova elezione». Qualcuno ipotizza che potrebbe essere la volta buona per le riforme istituzionali: il solito effetto ottico? «No. L'impressione è che dietro le dichiarazioni bellicose, le possibilità di trovare un accordo siano notevolmente più alte di quanto emerge. Sia sul federalismo, sia sull'elezione diretta del Capo dello Stato». Le risulta che privatamente Berlusconi sia più riflessivo? «Non lo so. Ma il dividendo elettorale negativo di Forza Italia sulla posizione del muro contro muro, presumo che li faccia riflettere». Prodi lo avete perso definitivamente? «Prodi può diventare il riferimento dell'aggregazione di centro dell'Ulivo. Ma anche lui deve decidere. E sollecitamente. Scegliendo, come fa un leader, ciò che unisce e non ciò che divide». Nei contatti informali con gli altri governi, la candidatura Prodi alla Commissione Europea sta andando avanti? «Io credo che ci siano forti possibilità». Fabio Martini IL DIZIONARIO DELLA LEOGE ELETTORALE REFERENDUM Vuole abolire il voto di lista ai partiti per la quota proporzionale (25% dei seggi), che sarebbe sostituita dal ripescaggio dei più votati fra i candidati battuti nei collegi uninominali. Si instaurerebbe così un sistema uninominale maggioritario a turno unico, anche se fra i promotori del referendum ci sono molti sostenitori del doppio turno. DOPPIO TURNO DI COLLEGIO Per essere eletti nei collegi uninominali, i candidati 1 dovrebbero avere la maggioranza assoluta, sodando al ballottaggio in caso contrario. La proposta (Sartori) prevede che al ballottaggio vadano i candidati che superano una certa soglia «(6-7%), mairteÌMivanlfel picSHi partiti a rinunciare per poter partecipare in cambio alla ripartizione di una limitata quota proporzionale (10-15%). LE POSIZIONI DEI PARTITI LE POSIZIONI DEI PARTITI Per il doppio turno di collegio sono schierati i Ds, Rinnovamento italiano, Prodi, Cossiga; disponibile la I Lega, sostenitrice in prima battuta della proporzionale.! DOPPIO TURNO DI COALIZIONE Rispetto al sistema attuale, conserva una quota di eletti nei collegi uninominali (che scende dal 75 al 55%) e la quota proporzionale (25%); il restante 20% è il premio in palio nel ballottaggio fra le coalizioni più votate al primo turno. Ppi, Verdi e Pdci sostengono questo meccanismo e non nascondono la contrarietà al referendum; una posizione che coincide a metà con quella del Polo, che tiene fermo il doppio turno di coalizione come punto di partenza ma si è pronunciato per il referendum in caso di mancato accordo. MODELLO TEDESCO E PREMIO DI MAGGIORANZA Fra le proposte ventilate in alternativa alle principali, ci sono il «modello tedesco» (proporzionale con sbarramento al 5%), ed il «premio di maggioranza» che potrebbe essere garantito alla coalizione più votata in un unico turno di votazione come avviene per le regioni e che potrebbe essere ricavato dalla quota proporzionale, attraverso una semplice correzione del sistema attuale. fi fi Nessuno si illuda di poter semplificare il quadro politico Questa sarebbe un 'operazione forzata e antistorica Volere l'aggregazione che veda contrapposti due 20 per cento significa indebolire la democrazia pap ti Ipopolari non vanno in eccitazione davanti alla parola "referendum" Siamo contrari perché indebolirebbe il maggioritario assegnando la quota proporzionale anche a chi non si collega a schieramenti^^ _

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