Legge elettorale, la ribellione del Ppi

Legge elettorale, la ribellione del Ppi Nella maggioranza cresce il malumore contro i Ds: «Il tono di Salvi comincia a essere insopportabile» Legge elettorale, la ribellione del Ppi Ma lo scontro sulla riforma è rinviato al dopo-ballottaggi ROMA. Stridono i freni di popolari e verdi. Dopo essersi lanciati a testa bassa (contro i Ds) sino a minacciare ia caduta del governo sulla riforma elettorale, ora smorzano i toni, avendo probabilmente capito che l'argomento crisi non è di quelli che rendono simpatici e portano voti. Per i popolari si incarica di fare il pompiere il presidente Gerardo Bianco, che spiega come sulla legge elettorale il Ppi non cambia idea, «ma ciò non vuol dire che voglia mettere a rischio il governo». E stempera, così, le precedenti dichiarazioni del segretario Marini. Per i Verdi interviene il coordinatore Luigi Manconi, anche lui a gettare acqua: «Nessun governo è mai caduto su una legge elettorale. E non saremo noi verdi, né penso altri partiti della coalizione di maggioranza, a provocare questo». Sembrano dichiarazioni concordate. Utili anche in vista delle votazioni di ballottaggio di domenica prossima in tanti comuni e alla provincia di Roma. Il presidente del Consiglio, Massimo D'alema, da Lecce, ha dato il suo contributo a disinnescare la polemica sulla crisi spiegando che il compito di fare la riforma spetta ai partiti e il governo non c'entra nulla. Al massimo, potrà fare una «sintesi». La sintesi si sarebbe dovuta cominciare a fare nella riunione dei capigruppo della maggioranza sollecitata dal diessino Cesare Salvi. Il ministro per i Rapporti col Parlamento, Folloni, ieri prevedeva che la riunione chiarificatrice si sarebbe potuta tenere la prossima settimana. Ma, evidentemente, le posizioni sono ancora troppo distanti per andare a cercare una sintesi. Così i diessini hanno chiesto un rinvio a data da destinarsi. Cosa che non deve essere dispiaciuta affatto al presidente del Consiglio, D'Alema, preoccupato di mantenere buone relazioni con i popolari. «Il confronto deve proseguire ed è meglio che la riunione slitti - ha detto Pietro Folena - Un vertice in questi giorni non farebbe altro che formalizzare una grave spaccatura sulla legge elettorale. E non conviene né al governo, né alla maggioranza». Che non convenga a nessuno dei due lo ha dimostrato il «confronto» tra diessini e popolari, che anche ieri ha provocato scintille. Quel che fa salire di giri il partito di Marini, in particolare, è il modo spiccio col quale il presidente dei senatori diessini, Cesare Salvi, sta conducendo le trattative per arrivare ad un nuova legge elettorale. «Il tono usato da Cesare Salvi comincia ad essere insopportabile», dice il capogruppo del Ppi alla Camera, Antonello Soro. Che non gradisce che il referendum «sia brandito come terapia chirurgica contro tutti i presunti capricci» e che vengano «esasperati gli alleati». Risponde Salvi con toni che faranno ulteriormente infuriare i popolari, perché, visto che si avvicina il Natale li esorta «alla cristiana virtù della mansuetudine». «La riunione della maggioranza, prima o poi ci sarà. Spero ci si giunga prima delle vacanze» conclude Salvi, che lascia capire come il rinvio annunciato (e probabilmente sollecitato da Marini al presidente del Consiglio) non gli è piaciuto affatto. Perché Salvi (e il partito di Veltroni) considerano questo il momento propizio per concludere sulla legge elettorale, ci stiano o no i popolari. Se non c'è accordo, dice infatti Salvi, «si voterà in Parlamento e la solu- zione che avrà più voti passerà». I voti dovrebbero portarli la Lega e Forza Italia. La prima continua a ripetere che le va bene il doppio turno di collegio, ma col ballottaggio solo tra i due primi candidati. Il partito di Berlusconi pare ogni giorno di più ansioso di trovare l'accordo che permetta di evitare il referendum. «Almeno sulla legge elettorale speriamo che il Parlamento non si rassegni ad attendere il referendum succube di giochi di partiti e delle liti all'interno della maggioranza» sospira Enrico La Loggia, presidente dei senatori di Fi. Gianfranco Fini che, invece, il referendum lo vuole, cerca di frenare Forza Italia e dice che «non se ne può più di tutte queste chiacchiere. Il referendum è l'unica via». Cossutta, intanto, ripete che la «maggioranza è a rischio» e Mastella (Udr) avvisa che la maggioranza rischia «di non mangiare il panettone di Natale», [a. rap.l Qui sopra il capogruppo dei senatori diessini Cesare Salvi A destra il vicepresidente del Consiglio Sergio Mattarella

Luoghi citati: Lecce, Roma