LA LEPRE O LA TARTARUGA: CHI E' LA PIÙ CREATIVA?

LA LEPRE O LA TARTARUGA: CHI E' LA PIÙ CREATIVA? LA LEPRE O LA TARTARUGA: CHI E' LA PIÙ CREATIVA? I racconta che Nietzsche, aggirandosi ormai folle per Torino, si rivolgeva ai passanti dichiarando: «Sono Dio e ho fatto questa caricatura». Nel dire «questa», indicava se stesso, Vero o falso che sia, l'episodio riassume con forza il tema di II cervello lepre e la mente tartaruga, di Guy Claxton, psicologo e pedagogista inglese. L'uomo contempora suoi voleri: controlla lo spazio e il neo sembra aver piegato il mondo ai suoi voleri: controlla lo spazio e il tempo, trasmette dati a distanze siderali in un batter di ciglio e produce perfette quanto infinitesime architetture, ha allungato la propria vita e sconfitto malanni un tempo senza rimedio. Ma ha anche progressivamente e perversamente indebolito le doti intellettuali che gli hanno consentito di arrivare a tanto. «Ci siamo involontariamente intrappolati - dice Claxton - in un'unica modalità mentale caratterizzata da raccolta di informazioni, elaborazione razionale e impazienza, una modalità che ci impone di zftl , bapessere espliciti, eloquenti, decisi». Secondo questa modalità «intenzionale», conta solo quel che può essere verbalizzato e pianificato con chiarezza e «vince» chi riesce a farlo un attimo prima degli altri, sotto la costante pressione di impegni sempre più urgenti. E' un atteggiamento autodistruttivo, perché la fretta incoraggia il conformismo e la retorica è efficace soprattutto quando si appella a ciò che è famibare, ma la familiarità è in genere quel che ha causato i problemi e non potrà certo risolverli. E' errato pensare che «più in fretta mutano le circostanze, più rapido e intenso debba essere il pensiero». E' vero il contrario: la creatività dipende da «una modalità di conoscenza paziente, giocosa e misteriosa», da un'attenzione ampia e diffusa, pronta a cogliere il significato di ogni aspetto marginale, da uno stato d'animo di attesa indefinita, di ricezione passiva, di ascolto. Di devozione, verrebbe quasi da dire (e Claxton spesso lo dice): nelTergersi a divinità, l'uomo ha finito per non poter più trarre forza da quanto gli è estraneo, da quanto sapeva spesso donargli una soluzione, e per ridursi così a un miles gloriosus di ovvia comicità. Quel che è strano è che «occorre essere molto sicuri di se stessi» per lasciarsi andare a una riflessione senza scopo, un'esplorazione senza meta, un pensiero senza contenuto immediato. E' strano perché ci si aspetterebbe forse che chi è al passo con i tempi, in totale sintonia con la premura alla moda, debba derivarne grande sicurezza. E invece no: è proprio la mancanza di fiducia che costringe a mettersi al passo con i tempi e impedisce di fare quel che funziona davvero, che ha sempre funzionato. Citando Hòlderlin, Heidegger affermava che «poeticamente vive l'uomo su questa terra». «Poeta», ci ricordava, deriva dalla parola greca che significa «fare» e in origine non voleva dire solo fare dei versi ma saper ascoltare e attendere, e proprie per questo saper assistere alla nascita di qualcosa di nuovo. Cla¬ xton è d'accordo: «La sensibilità poetica può averla chiunque. Non è riservata esclusivamente ai Poeti con la p maiuscola, alle persone che creano deliberatamente quelle composizioni chiamate poesie». Si potrebbe andare più a fondo: interrogarsi sul «se stessi» di cui dovremmo avere sicurezza, chiedersi se la sua individualità e intenzionalità non siano una finzione sociale, destinata ad attribuire a ciascuno responsabilità e colpe specifiche, così da assolverne tutti gli altri. Si potrebbe speculare su quanto la sicurezza necessaria per trastullarsi e giocare dipenda proprio dal dimenticare il sé, il concetto del sé, e ritornare a un rapporto più inclusivo e solidale con i nostri simili e il nostro ambiente. Ma ne verrebbe fuori un altro libro. I libro di Claxton merita di essere letto e apprezzato per quel che è: un'utile raccolta di recenti risultati delle scienze cognitive, ricca di esempi, problemi e aneddoti gustosi, tesa a dimostrare che spesso pensiamo troppo per capire, ci concentriamo troppo per vedere e corriamo troppo per arrivare a destinazione. Con una morale ancora una volta assurdamente autoreferenziale, riconosciuta dallo stesso autore: procedendo in questo modo, le scienze cognitive non hanno fatto che riscoprire insegnamenti ripetuti e praticati per millenni da poeti, artisti e filosofi, ma oggi «le voci della filosofia e della poesia sono piuttosto deboli in un mondo per il quale solo la scienza e la ragione sono autorevoli. Perciò, paradossalmente, è soltanto la scienza a poter fornire dati credibili sui metodi non scientifici di conoscenza». Ermanno Bencivenga IL CERVELLO LEPRE E LA MENTE TARTARUGA Guy Claxton Mondadori pp. 267 L 32.000

Persone citate: Claxton, Ermanno Bencivenga, Heidegger, Nietzsche, Vero

Luoghi citati: Torino