KEMAL: UN CURDO OBBLIGATO A SCRIVERE IN TURCO di Gabriella Bosco

KEMAL: UN CURDO OBBLIGATO A SCRIVERE IN TURCO KEMAL: UN CURDO OBBLIGATO A SCRIVERE IN TURCO L PARIGI A questione curda ha un aspetto culturale di grande complessità. Salih Akin, professore di linguistica generale, maitre de conference all'Université de Rouen, curdo, ce ne parla. A partire dalle radici storiche del problema: «Il popolo curdo ha un territorio, una storia, un passato. Dal 700 didt di Mdi dll'ti pesistono tracce di una civiltà curda, discendente dai Medi dell'antichità. Ma quel che va detto è che i curdi non hanno potuto conquistare un'identità nazionale nel periodo tra la Rivoluzione francese e la Prima guerra mondiale, perché erano organizzati in principati autonomi all'interno dell'impero ottomano, che erano indipendenti negli affari interni, culturali e sociali, ma nei contatti con l'esterno dipendevano dall'impero. Nel XVI secolo, con il trattato di Tchaldiran, il Kurdistan venne diviso in due parti, tra l'impero ottomano e l'impero persiano. Parti che divennero quattro dopo la Prima guerra mondiale: Turchia, Iran, Iraq, Siria. Il trattato di Sèvres del 1918, stipulato tra l'impero ottomano e gli Alleati, prevedeva la creazione di uno Stato curdo indipendente. Ma quel trattato non fu mai né applicato né abrogato. Il trattato dì Losanna del 1923 consacrò la creazione dello Stato turco, e ai curdi venne negato il diritto di esistere culturalmente». Perché? «Vennero sacrificati per ragioni geopolitiche. Decine di rivolte armate vennero fatte per ottenere di diritto di esistere, senza risutati». Oggi i curdi dove vivono? «La maggioranza di loro, circa quin¬ dici milioni, in Turchia. Dove non possono parlare la lingua curda, né cantare in curdo, né danzare le danze curde. L'ideologia ufficiale turca nega l'esistenza stessa dei curdi. Linguisticamente, il termine non c'è. Si parla di turchi di montagna, di gente dell'Est. Il Kurdistan viene chiamato Anatolia dell'Est. La repressione è feroce nei confronti di chi afferma che esiste un'identità curda, intellettuali, giornalisti. C'è un gran numero di deputati curdi in prigione, perché lo Stato turco non ammette che la lotta venga condotta sul piano legale. La guerra nel Kurdistan turco ha portato alla morte di 5000 intellettuali curdi, 4000 villaggi su 10.000 sono stati evacuati, distrutti, 5 milioni di persone costrette a emigrare verso l'Ovest turco in condizioni umane disastrose, e sottomesse a una politica di assimilazione forzata. In questi giorni in città come Adana, Izmir, Nersin, vengono compiuti atti di linciaggio nei confronti dei curdi, c'è un'ondata di arresti. «In Iraq vivono 5 milioni di curdi. E' xml zona di libertà, dove i curdi gestiscono i loro affari sotto la protezione degli alleati della guerra del Golfo. Nel 1992 è stato eletto un Parlamento. Purtroppo per problemi interni ci sono state lotte fratricide, determinate anche dalla reticenza delle potenze straniere a riconoscere uno statuto a questa enclave. Ma da due anni è in atto una normalizzazione. E' stato firmato recentemente a New York un accordo patrocinato dalla signora Albright per nuove elezioni. Ma quello che conta è che qui c'è un'Università, ci sono scuole, giornali curdi. E' uno Stato autonomo, sia pure senza relazioni con l'esterno. Mentre in Iran la repressione è permanente, i curdi sono considerati persiani e non hanno alcun diritto culturale. E in Siria, dove vive un milione circa di curdi, è ancora peggio. 300 mila di loro, in seguito a un censimento, sono stati cancellati. A intere città e villaggi non è riconosciuta la stessa esistenza, gli abitanti non hanno diritti civili, carta d'identità, assistenza sanitaria, istruzione. In Europa vivono 700 mila curdi, 400 mila in Germania, 100 mila in Francia, ci sono comunità nei Paesi scandinavi, in Belgio, Italia... La popolazione curda è quattro volte superiore numericamente a quella di palestinesi e israeliani messi insieme». Ha senso paragonare storicamente e culturalmente curdi e palestinesi? «Nessun senso. I palestinesi sono stati spostati dalla loro terra. I curdi hanno sempre vissuto sul loro territorio, e anche adesso. E' un Paese con caratteristiche comuni nelle quattro parti, terra di montagna. Ma non sono riconosciuti. Inoltre i palestinesi sono sostenuti dai Paesi arabi e in certi casi europei. I curdi non hanno nessun sostegno. L'Italia fa adesso un grosso sforzo». La letteratura curda vive? «Le condizioni politiche e sociali fanno sì che nei territori curdi non si può scrivere in curdo. Un autore come Yashar Kemal deve scrivere in turco. La letteratura curda ha una tradizione molto ricca, esiste in forma scritta dal XII secolo. Oggi deve esprimersi in altre lingue. Però ci sono gli esuli curdi in Europa. Loro scrivono in curdo. Ad esempio nei Paesi scandinavi. Dal 1980 è in atto un rinnovamento, tra romanzi, saggi, racconti, più di 1000 libri sono stati pubblicati in curdo, perché la lingua esista. E' una lingua indoeuropea, con molte somiglianze con le altre lingue dello stesso ceppo come il francese o l'italiano. Lei stessa è oggetto della politica repressiva. Uccidendo la lingua si pensa di ottenere l'assimilazione culturale dei curdi. In Turchia è proibito scrivere in curdo persino le lettere personali. Lì la lingua tende all'estinzione. Per fortuna la sua sopravvivenza è assicurata dalla produzione letteraria che negli ultimi anni è fiorita in Europa. «Per molti curdi la questione non è la creazione di uno Stato indipendente, ma la fine della guerra e la libertà di usare la loro lingua e di praticare la loro cultura». Gabriella Bosco Yashar Kemal: l'esempio più eclatante di un autore curdo costretto a scrivere in turco

Persone citate: Albright, Salih Akin, Yashar Kemal