ITALIANI, QUANTO E' BELLO GIRAR IL MONDO di Oreste Del BuonoGiorgio Boatti
ITALIANI, QUANTO E' BELLO GIRAR IL MONDO ITALIANI, QUANTO E' BELLO GIRAR IL MONDO Con Enrico Besana, gentiluomo stile Chatwin MAI ' TALIAN1 tutti casa c famiglia? Forse, ma con le dovute e numerose eccezioni: emigranti per bisogno e viaggiatori per necessità se ne presentano a frotte per ogni generazione che si succede in questo nostro Bel Paese. Ad essi bisogna aggiungere le crescenti schiere di turisti per caso e le più ridotte ma assai più interessanti pattuglie dei giramondo per vocazione esistenziale e insopprimibile curiosità. Appartiene certamente a queste ultime pattuglie Enrico Besa patriota coinvolto in tutte le più pgna, figura di gentiluomo milanese e patriota coinvolto in tutte le più avventurose pagine risorgimentali. Sfide alle quali, tuttavia intervalla - con bella allegria e lucida intelligenza - un incessante dipanarsi di viaggi inanellati per tutto il pianeta. Besana - tra un complotto antiaustriaco e una missione speciale per Garibaldi - se ne va con placida vitalità dalla Cina al Perù, dalla California all'Australia, dal Giappone alle Hawaii. Roba, visto che siamo alla metà del secolo scorso e i lunghi viaggi oceanici si fanno ancora a vela, da far sembrare il Chatwin viaggiatore - non tanto quello che emerge dai suoi libri ma dai più realistici dai suoi libri ma dai più realistici ritratti biografici, ad esempio quello recentemente pubblicato da Susannah Clapp - come un ciabattone da poltrona. Certo, Chatwin è - prima di ogni cosa - un grande scrittore che viaggia: e tuttavia anche il buon Besana, fatte le debite proporzioni, non è che sia una penna da buttare via. E alcune sue relazioni di viaggio - pubblicate dal quotidiano milanese «La Perseranza» nonché dal «Giornale popolare di Viaggi» e dall'«Esploratore» diretto da Manfredo Camperio - sono tutt'altro che noiose. Anche se certamente le sue pagine migliori - asciutte e drammatiche, dense di notazioni concrete, di atmosfere tragiche rese in poche battute - rimangono quelle nel suo diario dell'assedio e della Comune di Parigi: evento che non poteva certo sfuggire ad un inquieto come il Besana che, colto dalle notizie mentre sta all'Avana, decide subito di precipitarsi nella capitale francese circondata dai prussiani. E vi arriva infatti con l'ultimo treno del 14 settembre 1870, appena prima che tutti i collegamenti tra la città e il mondo vengano interrotti (anche se saltuariamente attraverso le mongolfiere sono possibili «esfiltrazioni» di sporadici viaggiatori). Un personaggio capace di cogliere così tempestivamente gli eventi che sono nell'aria, in modo d'essere al posto giusto nel momento giusto, non è certo banale e, del resto, tutt'altro che monotona o scontata è la sua vita. Nato nel 1814, e cresciuto assieme a cinque fratelli e quattro sorelle nel palazzo di famiglia al Carrobbio, Enrico è figlio di Felice Maria e di Giulia Ciani. In pratica i due genitori sono legati per parentele o assidue frequentazioni ad un incrocio di famiglie - i Battaglia, i Camperio, i Plezza, i Prenetti, i Simonetta, gli Adamoli che sono tra le più eminenti della buona società lombarda e tra le più impegnate nell'affiancare l'opera di unificazione nazionale. Gli zii Ciani, in particolare Giacomo, sono sospettati dalla poli- zia durante la restaurazione austriaca - così lucidamente ricostruita da Marino Berengo nel suo volume sugli intellettuali e gli editori della Milano post-napoleonica - di essere «il punto centrico che lega i cospiratori interni con quelli dell'estero». Legame che sarebbe facilitato dal fatto che i Ciani hanno grosse proprietà proprio nel Comasco, a ridosso del confine svizzero, e infatti più tardi - ereditando dagli zii - Enrico Besana diventerà uno dei proprietari della splendida Villa d'Este di Cemobbio. Uno dei luoghi dove, tra un viaggio e l'altro, raccoglie le idee e ritempra le forze. Che il ragazzo abbia un temperamento combattivo è dimostrato da una lunga sfilza di duelli che l'oppongono, quando è ancora un giovanotto - per la verità più coinvolto nei giochi amorosi dei salotti bene milanesi che nel rigoroso impegno politico contro la dominazione austriaca - a ufficiali dell'imperial-regio esercito di Vienna. E che dai duelli, spesso all'ultimo sangue, esca vittorioso è scontato: perché altrimenti non s'avrebbe modo di raccontare seppure in poche battute questa sua lunga vita. Finiti gli studi, per il giovane milanese ci sono battaglie e cospi¬ razioni a gogò. E, appena la situazione in patria si fa tranquilla, lunghissimi viaggi: raccoglie semi che manda alle società botaniche, invia relazioni di viaggio, visita impianti e coltivazioni cercando idee da realizzare in patria. Quello che colpisce, nelle sue relazioni di viaggio, è il costante buon umore. Sembra che ovunque vada tutto si plachi, si rassereni. Besana transita sul tempestoso stretto di Magellano, temutissimo dai velieri? Ecco cosa scrive: «Il giorno 19 giugno 1870 il vapore inglese "Patagonia" su cui ero imbarcato si presentava alle 3,35 del pomeriggio all'insenatura dello stretto di Magellano, terrore dei naviganti di questa parte dell'Atlantico, col mare calmo e il più bel sereno del mondo... il sole lasciava dietro di sé il suo purpureo manto che, disteso sulla vicina regione, ne giustifica assai bene il nome di Terra del Fuoco, dal lato opposto del tramonto risplendeva la luna in tutta la sua pienezza...». Bastano una manciata di settimane perché attorno a Besana che nel frattempo è risalito fino a Cuba - tutto cambi. A settembre dello stesso anno lo troviamo a Parigi dove, giorno per giorno, annota le vicende dell'assedio. Il 18 novembre nota come, dopo durissime restrizioni e razionamenti, i «restaurants dei boulevards sfoggiano menus come a mala pena si troverebbero presso i Nabab del Bengala in giorni di festa. Si mangiano cervi e daini, non solo, ma dell'orso, dell'onagro, dell'yack del Tibet, del canguro, del lama e dell'alpaca del Perù. La ragione è che il giardino zoologico fu costretto a vendere la propria collezione trasportata, al principio dell'assedio, al Jardin des Plantes». Ma la tragedia si consuma presto, tra bombardamenti e fucilazioni e centinaia di morti al giorno. Enrico Besana, cronista attento e partecipe, scrive tutto nel suo diario e sopravvive alla tragedia. Torna in patria sano e salvo. Il 30 gennaio 1877 - dopo aver amato, combattuto, cospirato, e soprattutto, viaggiato - Enrico Besana, sempre di ottimo umore e in splendida salute, muore all'improvviso per una sincope cardiaca mentre se ne sta a Genova. Era al porto e stava guardando le navi e i passeggeri. Prossimo, anche lui, ad una nuova partenza. Oreste Del Buono Giorgio Boatti Da leggere: Giuseppe Castelli Enrico Besana: li suo diario sull'assedio di Parigi Ceschina, Milano 1949. Susannah Clapp With Chatwin. Portrait of a wrlter Jonathan Cape London, 1987 Marino Berengo Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione Einaudi Paperbacks, Torino 1980
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