«Non sono stata l'amante del Fùhrer»

«Non sono stata l'amante del Fùhrer» L'INTERVISTA. La Germania per la prima volta rende omaggio alla regista «maledetta» «Non sono stata l'amante del Fùhrer» Leni Riefenstahl: «Pago 50 anni di invidie e bugie» BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Sembra incredibile, visto che le cose sono andate diversamente in tutto il mondo. Sembra incredibile che la Germania abbia dovuto aspettare che compissi 96 anni, per dedicare una mostra alla mia vita e al mio lavoro. Il fatto è che in Germania c'è ancora chi non vuole riconoscere che nel dopoguerra sono nate tante leggende su di me, tante bugie, tante invidie». Al telefono dalla sua casa fra i boschi bavaresi, Leni Riefensthal si entusiasma e si inquieta, parlando della mostra appena inaugurata al Filmmuseum di Potsdam, documenti originali, fotografie, spezzoni: la voce ancora segnata dalla polmonite che la costringe a letto, il pensiero rivolto all'operazione che l'aspetta domattina. Adesso che «conosciamo la fine della storia e possiamo giudicare senza fatica», la regista che affascinò il Fùhrer sceglie di attaccare, anche se nega di aver rifiutato di partecipare all'inaugurazione per protesta contro uno dei titoli proposti, Bellezza e colpa: «Il bando era il mio destino per essere stata una regista di successo e per avere amato il mio lavoro negli anni del nazismo. Ne ho sofferto, certamente, perché la Germania è la mia patria. Ma ho pensato che il mondo è grande, e mi ha dato la forza di continuare». Qual è stato il suo rapporto con la Germania in questi anni di «esilio in patria»? «Soprattutto di infelicità. Perché da quando è finita la guerra non ho più potuto fare film, anche se c'erano produttori disposti a lavorare con me. Per oltre mezzo secolo hanno punito me e la mia creatività. Anche per questo mi sono dedicata alla fotografia, ma i film che ho scritto e che avrebbero lasciato un'altra traccia di me non ho potuto realizzarli. Neanche quello che avevo preparato con Zavattini, I diavoli rossi, la storia di Pentesilea trasformata in un'amazzone delle nevi. Il progetto è naufragato perchè i giornali di Vienna gridarono allo scandalo: "Non possiamo sperperare i soldi dei contribuenti finanziando i film dell'amante di Hitler", scrissero. I produttori austriaci si convinsero. Fra l'altro, non sono mai stata l'amante di Hitler». Ma la sua regista prediletta sì. «Ho fatto un solo film per Hitler, Il trionfo della volontà, un documentario sul congresso nazista di Norimberga del '34 che ha avuto riconoscimenti in tutto il mondo. Due anni prima dello scoppio della guerra, i francesi lo premiarono con una medaglia d'oro: non lo avrebbero mai fatto, per una pellicola di propaganda nazista. Il Trionfo non era propaganda e non era neppure un film nazionalista: era un'interpretazione della realtà in forma artistica. Lo stesso vale per Olympia, (il documentario sui giochi di Berlino del '36): non aveva niente a che fare con il nazismo. Basta pensare che la star è un atleta di colore, Jessie Owens, che smentisce la superiorità dei muscoli di razza ariana». Molti hanno visto significati politici, in quei suoi film «Non lo so, ma di certo sono sempre stata un'artista non politica. Se lo fossi stata lo sarei stata totalmente, perché ho sempre fatto le cose fino in fondo, e se avessi scelto la politica non avrei fatto film: non credevo fosse il modo di farla». Un modo indiretto forse. Non pensa mai di avere qualcosa da farsi perdonare? «Non è questa la parola. Continuo ad essere mortificata, continuo a tormentarmi per tutto quello che è successo in Germania. E come molti altri tedeschi, certo, anch'io mi sento colpevole: ma qui mi fermo, che altro c'è da dire? Che molti tedeschi si sono scoperti dopo la guerra combattenti per la libertà, e che gente del partito ha avuto posti importanti, dopo, mentre io che non sono mai stata nazista non ho avuto niente?» Proprio in questi giorni si discute molto in Germania sul passato, sulla responsabilità e la colpa, la necessità di ricordare e il desiderio di dimenticare. «Penso spesso ai tedeschi che non avevano idea di quel che stava accadendo, a quanti come me sono rimasti sconvolti, increduli, quando hanno saputo: per forza dobbiamo sentirci colpevoli, perché lo abbiamo eletto noi Hitler. Anche se io personalmente non ho votato per lui, ne sono rimasta colpita fin dall'inizio: quando è arrivato ha spaz¬ zato via la disoccupazione e la miseria, la disperazione della gente. Ma c'è voluta l'altra metà del secolo, per eliminare le conseguenze dell'eredità di Hitler. Ho creduto che le sue idee antisemite fossero un mezzo di propaganda: quando ho capito che era tutto vero, ho odiato Hitler». Alla Scala, la prima del «Crepuscolo degli Dei» è stata preceduta da molte mquietudini, rilanciate dalle accuse di antisemitismo. Che effetto le fa la musica di Wagner? «So quel che si è detto e non credo che sia giusto, perché la musica di Wagner è musica ed è grande. Ma capisco il pregiudizio: in Germania sono successe cose tremende». La Germania di oggi si chiede se un monumento all'Olocausto sia opportuno. Crede anche lei che bisognerebbe rinunciare? «Non credo che ci voglia un grande monumento. Dappertutto, in ogni città e in ogni Paese, ci deve essere piuttosto un segno: perché la gente ricordi in ogni momento quella cosa mostruosa. Ma adesso basta, non ho più la forza di parlare». Emanuele Novazio «Anche se non ho votato per Hitler, ne sono rimasta colpita: quando è arrivato ha spazzato via la disoccupazione e la miseria, la disperazione della gente. Ma c'è voluta l'altra metà del secolo per eliminare le conseguenze della sua eredità» Leni Riefenstahl ha oggi 96 anni. A sinistra e in alto due immagini della regista al lavoro nell'epoca del nazismo. La Germania le ha dedicato la prima mostra