NON TI PIACE IL PRESEPIO?

NON TI PIACE IL PRESEPIO? Il simbolo più popolare del Natale in un libro di Roberto De Simone NON TI PIACE IL PRESEPIO? il AVEVA già detto Eduar/ do: il presepe può dividere le generazioni. Luca Cupiello si strugge sul simbolo del suo Natale. Il barattolo della colla sul fornellino, il fantasma fiabesco negli occhi, la cecità nel cervello, domanda: «C'è cosa più bella...?». E non vede, poveretto, proprio non vede come smorzare l'ostilità di Nennillo. Quel suo figlio è una lisca di dispiacere conficcata in gola. A lui 'o presebbio non piace. Pecorelle? Pastorelli? Meglio 'a zuppa 'e latte. Eduardo forse non lo sapeva; per lo meno non lo sapeva in termini antropologici. Ma nella commedia Natale in casa Cupiello aveva toccato una verità: il presepe è una forma di comunicazione. Quando questa scompare, il presepe non ha più significato. Non l'oggetto in sé, non il teatrino della natività comprato bell'e pronto da figurinisti anche rinomati, ma il rito costruttivo a cui concorre tutta la famiglia e permette a ciascuno di estrarre dalla propria anima una favola, una storia, un mito. Ecco perché Roberto De Simone ha smesso di fare il presepe. «Non lo faccio più da quando è morta mia madre, non lo posso più fare». De Simone ha appena pubblicato da Einaudi II presepe popolare napoletano, un libro che non descrive pezzi d'arte, ma insegue i segnali legati alla tradizione natalizia, a una festività molto più antica del Natale cristiano, comune a diversi popoli che celebravano il mito solare di un divino Bambino partorito in una grotta da una Madre vergine. Dice: «La visione edulcorata della nostra tradizione natalizia non c'entra più, entriamo in un percorso simbolico e onirico, ci affacciamo sui culti del solstizio invernale. Questi, rappresentando l'anno che si rinnova, esprimevano un'angoscia di morte». Ed è proprio un patrimonio d'angoscia, un dissidio tra luce e tenebra, tra sole e luna, tra nascita e morte, il cuore ambiguo del presepe napoletano. Che si costruisce non a capriccio, ma secondo una schema preciso. Con la bussola fornitaci da De Simone, proviamo a fare anche noi il tragitto, sapendo che il viaggio non sarà facile, né esente da rischi. Partiamo dalle zone alte, dove sorge il mortifero castello di Erode. Vediamo che lì accanto c'è un pastorello. Si chiama Benino, e dorme. Con tutto quello che sta succedendo, come può dormire? In attesa di risposte, cominciamo a scendere per stradine tortuose. Arriviamo a una fontana, a cui non possiamo dissetarci. E' il luogo degli incontri d'amore, qui la Madonna ha ricevuto l'Annunciazione: lo hanno detto i vangeli apocrifi. Poco più avanti troviamo il fiume scavalcato da un ponte. Attenzione, il fiume è pericoloso, è il confine tra vita e morte. Se concentriamo lo sguardo, vediamo in trasparenza la barca di Caronte. Neppure il ponte è rassicurante. Ci porta verso il nuovo anno, ma è luogo di apparizioni spaventose: il lupo mannaro, la monaca con la testa mozza del l'amante decapitato, la fila dei suicidi e degli impiccati. Ancora avanti. Meno male che c'è il mulino. Le ruote girano Vuol dire che l'anno nuovo si avvicina e il sole tornerà a splen¬ dere. Vediamo di resistere al richiamo dalla taverna. Da qui furono cacciati Giuseppe e Maria; e questo è il luogo del mangiare. Mangiare che cosa? La memoria corre al Bambino che rischiò di essere ucciso o divorato appena nato. E il Bambino giace non a caso su una mangiatoia. Il viaggio sta per terminare. Siamo dinanzi alla grotta. Illuminata dagli astri celesti, separa la luce dalle tenebre, la nascita dal mondo informe che la precede. E i nostri compagni di strada? In questo caso l'umanità è ben assortita. Ci sono i Magi, che sono re e, alludendo al sole, vengono da Est. E ci sono i pastori, le zingare, i casari, i macellai, gli arrotini... Solo comparse? Proprio no, ciascuno di loro custodisce un simbolo. Come Benino che sembra dormire, invece suggerisce «il cammino esoterico verso la grotta». Così riverso, ci dice che «il Natale è comprensibile solo mediante un viaggio onirico effettuato con la guida di un animo visionario». Ecco perché Benino è anche chiamato «il pastore della meraviglia». E' minuzioso e incantato il viaggio offertoci da De Simone. Ricerca erudita? Un poco. Ma soprattutto registrazione di racconti vivi, gustosamente vernacolare che animano presepi grandiosi, costruiti come la più meticolosa delle città, banchetti natalizi, tom- f bole parlate, ninne-nanne. Toma a vivere Elio Polimeno, marittimo di Torre del Greco che prendeva le ferie a Natale per fare il diavolo nella Cantata dei pastori. Era atletico e fiero del ruolo. Strabiliava il pubblico con cadute apoplettiche e con giravolte angeliche. Morì in servizio, per eccesso d'atletismo. «Mi ci sono voluti trent'anni di lavoro per fare questo piccolo libro», rivela De Simone, che cominciò raccogliere materiali fin dai primi Anni Settanta. Girava per la Campania con Annibale Ruccello e con Annabella Rossi, allieva di Ernesto De Martino, -s::i cercando significati su varie cose, ponendo domande come terni al lotto: «Mettete una monaca sul presepe? Ci sentivamo rispondere: "Sì, ci sta". E poco per volta si componeva un quadro». De Simone ha però raccontato un fantasma. Ciò che descrive non esiste quasi più. Avverte: «La tradizione presepiale non è in relazione con la presenza del presepe in una casa, ma con quella del culto dei morti». Dice che «comprare un presepe non ha senso: la tradizione vuole che fosse costruito, come faceva Luca Cupiello, che non a caso è legato al visionarismo del presepe, è vicino a un mondo delirante che andava scomparendo». Non comunicando più nulla, il presepe ha cessato di esistere. Rimane il fatto scenografico, anzi «una guittata teologica», come ebbe a dire Giorgio Manganelli, autore di un elogio del presepe tanto disperato quanto velenoso. Osvaldo Guerrieri Viaggio nelle figure e nelle leggende di una tradizione molto più antica della festa cristiana. E che è soprattutto «una forma di comunicazione» poco. Ma one di racenniosi, più tà, m- f anlio o di rene per Caniò i fin anta. pania llo e , alMartino, -s::i su varie de come ete una Ci sentivai sta". E poponeva un ha però raca. Ciò che quasi più. one preseione con la in una cael culto dei mprare un o: la tradi costruito, piello, che visionariicino a un he andava comunipresepe ha Rimane il anzi «una come ebbe anelli, auel presepe nto veleno Guerrieri lebcemDaIl pastore con la pecora in spalla, una figura tipica del presepe popolare napoletano settecentesco. In alto la grotta con la Madonna, San Giuseppe e il Bambino traFrfrapad'Esinsi Quscpripedicnaagvigpigrfoziodasesompeconiri.viviric% cuneriv16faa ra Il pastore con la pecora in spalla, una figura tipica del presepe popolare napoletano settecentesco. In alto la grotta con la Madonna, San Giuseppe e il Bambino

Luoghi citati: Campania, Torre Del Greco