I banchieri han capito che si può cambiar idea di Alfredo Recanatesi

I banchieri han capito che si può cambiar idea F OLTRE LA LIRA =1 I banchieri han capito che si può cambiar idea mercati hanno provveduto a ridimensionare l'enfasi con la quale in un primo momento, lo spazio appena di qualche ora, la manovra concertata delle banche centrali europee era stata salutata come un inatteso ricostituente somministrato dalle arcigne autorità monetarie ai debilitati sistemi economici del nostro continente. La realtà è piuttosto opposta, e come tale i mercati l'hanno percepita. La realtà è che la pur spettacolare mossa delle banche centrale ha finito per esprimere la resa, forse tardiva, ad uno stato di cose che troppo pervicacemente avevano negato e che alla fine hanno dovuto ammettere solo per le pressioni alle quali erano state sottoposte. Troppo a lungo, infatti, i banchieri del nocciolo duro dell'Euro, i Tietmeyer e i Duisenberg, si sono ostinati nel sostenere che l'economia europea era tanto solida da non poter essere seriamente contagiata dalle crisi che si andavano propagando nel mondo; che l'Euro «forte» era la chiave di volta del futuro economico dell'Europa; che la disoccupazione e la debolezza degli investimenti avevano origini strutturali contro le quali la politica monetaria sarebbe stata impotente; che, come conseguenza di tutto ciò, il primo dovere dell'autorità preposta alla moneta unica fosse quello di dare prova di fermezza evitando di apparire sensibile, e men che meno cedevole, di fronte ai timori ed alle preoccupazioni che salivano dalle istituzioni sociali, politiche e persino finanziarie. La politica monetaria, si sa, è tanto più efficace quanto più opera in anticipo, quanto più determina le aspettative anziché tentare di correggerle quando si sono già consolidate. Può essere addirittura controproducente quando opera, in ritardo ammettendo implicitamente un difetto nella capacità di analisi e una resa di fronte a posizioni che non riesce più a tenere. E quest'ultimo è proprio il caso della decisione concertata, giovedì scorso la quale, tra le righe della rutilante coreografia, è stata letta come l'ammissione dell'errore commesso nelle precedenti valutazioni, dunque come la conferma della criticità della situazione, dunque ancora come la probabile insufficienza dell'azione esperita per contrastarla efficacemente. Detto questo sui banchieri d'Europa, la riduzione dei tassi un merito comunque ce l'ha, ed è quello di diradare l'equivoco sul ruolo che a questo punto la politica monetaria può svolgere ai fini della crescita delle econo mie europee. Realizzata per tempo, la riduzione dei tassi avrebbe dato maggiori prospet tive alle imprese di poter compensare con una riduzione degli oneri finanziari la minore redditività dell'attività industriale, ed agb investitori di poter rapportare a rendimenti di mercato più bassi un più contenuto ren I dimento del capitale investito I nelle aziende (questo è il motivo per cui negli Stati Uniti la bicicletta della fiducia è rimasta in equilibrio e la Borsa di New York è tornata sui massimi). In Europa, invece, si è aspettato che la bicicletta si fermasse e la fiducia cadesse a terra frenando investimenti, scorte e gran parte dei consumi, col rischio, ora, dell'avvitamento di una spirale lungo la quale una ulteriore caduta degli investimenti e dei consumi nei Paesi sviluppati deprime ancor più i prezzi dei Paesi esportatori di materie prime ed energia, facendo cadere la loro domanda di prodotti evoluti e, quindi, accentuando le difficoltà anche dei sistemi più forti come il nordamericano e l'europeo. Ma, poiché tutto questo è storia passata, nel senso che negli Stati Uniti il pragmatismo di Greenspan quella spirale l'ha spezzata per tempo mentre in Europa è ormai innescata, il punto ora è di interromperla nell'unico modo che realisticamente si offre per poter conseguire il risultato in tempi brevi, ossia riaprendo qualche misurato e controllato spazio agli investimenti pubblici. C'è in Europa, e soprattutto in Italia, un eccesso di risorse finanziarie che l'economia non è in grado di utilizzare. Le opinioni sui motivi sono le più varie spaziando dall'eccesso di fiscalità e di rigidità, alla incapacità dell'imprenditoria europea di avviare nuove iniziative in settori evoluti meno sensibili ai prezzi (e allindi ai costi). Ip ogni caso, soqo motivi la cui rimozione richiede riforme strutturali, evoluzioni culturali, maturazioni politiche, tempi ihcommensurabilmente lunghi rispetto alla esigenza di ridare slancio alla crescita. Le ragioni per le quali lo Stato (o gli Stati) non deve sottrarre risorse finanziarie all'economia sono sacrosante fino a quando l'economia mette a profitto le risorse che lo Stato rinuncia a fiscalizzare. Ma se questo non avviene, se l'economia non trova (o non può trovare) il modo per impiegare produttivamente quelle risorse, ci si deve chiedere: è preferibile che vadano sprecate, o a beneficio di altri sistemi economici, o che vengano impiegate in programmi di investimento pubblici, magari vagliati e controllati da Bruxelles? I Tietmeyer e i Duisenberg hanno dimostrato di aver capito che il miglior banchiere centrale non è quello che non cambia mai opinione. Se, dal canto loro, lo capiranno anche i signori di Bruxelles, forse il futuro dell'economia europea potrà essere meno cupo di come ora si prospetta. Alfredo Recanatesi BS^J

Persone citate: Duisenberg, Greenspan, Tietmeyer