« Sull'Aids è tutto da rifare »

« Sull'Aids è tutto da rifare » «a generarlo sono più fattori, di sicuro una vita molto disordinata mette a rischio il sistema immunitario» « Sull'Aids è tutto da rifare » Ma la scienza non crede al Nobel Mullis KMILANO ARY Mullis, 53 anni, premio Nobel per la Chimica, da 10 anni conduce una battaglia (quasi) solitaria sul'Aids. A differenza della stragrande maggioranza degli scienziati non è affatto convinto che la causa dell'Aids sia il retrovirus Hiv. Dice, dal 1988, che «nessuno esperimento scientifico lo ha mai provato». Dice che «le cause potrebbero essere altre e più complesse». Dice (infine) «che l'Aids è una epidemia meno diffusa della paura che ha generato». Kary Mullis (l'eretico) è venuto a Milano per l'annuale incontro «Dieci Nobel per il futuro» e (come al solito) ha scandalizzato la platea per le sue opinioni non ortodosse sulla ricerca scientifica in generale e sull'Aids in particolare. In questi dieci anni ha diretto i controlli - per la città di Los Angeles - su tutto il sangue donato alle strutture di sanità pubblica. Poi si è occupato di Dna scoprendo la Polymerase Chain Reaction - reazione a catena della polimerase - che consente di «fotocopiare» il Dna, quindi di produrne una gran quantità anche da frazioni piccolissime. La scoperta gli ha fruttato il premio Nobel. Ascoltarlo produce un vago senso di allarme. Anche adesso: poltrone in velluto di grande albergo, mentre beve Campari, mangia noccioline, si stropiccia la faccia che ricorda quella di Jack Nicholson, si gratta la testa e parla. Quindi dottor Mullis, l'Aids è una invenzione? «No, non dico affatto questo. L'infezione e i morti sono reali, anche se assai più limitati di quanto si creda. Ma molte cose dette sull'Aids sono diventate vere a forza di ripeterle». A cominciare dalla concatenazione Hiv-Aids alla quale non crede. «Qui non si tratta di stabilire quello che io o lei o tutto il mondo suppone, desidera, crede. Non stiamo parlando di religione». Coma mai tra migliaia di scienziati lei è l'unico che... «L'unico proprio no... Ma che vuol dire poi? Anche Galileo era piuttosto solo, all'inizio...». Perché secondo lei la ricerca mondiale avrebbe accettato di perseverare nell'errore? Cominciamo dall'inizio. «L'inizio sono i miliardi di fi nanziamento pubblico e priva to per la ricerca... All'inizio de gli Anni 80 il rubinetto stava andando a secco perché il Con gresso americano tirava la cinghia. E centinaia di laboratori, istituzioni governative e priva te, giravano a rilento. Sto parlando dei massimi ambiti di ricerca degli Stati Uniti, non di piccole o medie case farmaceutiche... C'era bisogno di una epidemia e in un certo senso l'epidemia fu trovata». Sta scherzando? «Non sto affatto scherzando, so di cosa parlo. Vede, se lei va a Washington a dire che si occupa di una epidemia che infesta i corsi d'acqua africani, il Congresso due soldi te li dà, solo che dopo un po' ti dice: chissenefrega. Ma se vai da loro con una epidemia che infesta o infesterà le città di New York, Los Angeles, San Francisco, insomma la vita urbana e poi quella rurale della sacra America, quelli salteranno su una sedia e ti apriranno tutte le casseforti». E' questo che è accaduto? «E' accaduto che l'Aids faceva i primi morti tra gli omosessuali e i tossicomani. E' accaduto che non se ne capiva la causa... Che la paranoia aumentava, che la ricerca procedeva sparsa verso tante ipotetiche cause. Ed è accaduto che un giorno il grande Robert Gallo, togliendosi i suoi occhiali da Blues Brothers davanti alle telecamere d'America disse: io so qual è la causa, si chiama Hiv». Lo disse anche Lue Monta- gnier del Pasteur di Parigi. «Più o meno negli stessi giorni di Bob Gallo. E i due si litigarono la scoperta sino a che Reagan e Mitterrand, dopo un incontro a Vienna, dissero loro di piantarla e di lavorare». Cosa che fecero. «Eccome. Sull'Aids sono stati investiti qualcosa come 30 miliardi di dollari dal solo governo americano. Altrettanti dai privati, più quelli dei governi europei e delle grandi multinazionali. Una montagna di denaro». Tutto indirizzato sull'Hiv. «Che è solo uno dei miliardi di retrovirus che stanno tranquillamente nel nostro organismo. Da allora in poi e per sempre si stabilì che se c'era una certa quota di Hiv nel sangue, il paziente era positivo al test e quindi aveva l'Aids. Poi magari moriva di polmonite, di tubercolosi, ma veniva classificato come Aids e quindi vittima di Hiv. A Los Angeles ogni unità sanitaria che segnala un nuovo caso di Aids riceve 2500 dollari di finanziamento federale». Mi dice da dove arriva l'Aids, secondo lei, e da cosa è generato? «La mia opinione è che ci siano moltissime cause a generarlo. Riguardano l'insieme del sistema immunitario, e lo stile di vi- ta a cui viene sottoposto l'organismo. C'è stata una parte della generazione adulta negli Anni 60 e 70, americani bianchi e neri, non solo omosessuali, ma di grande promiscuità sessuale, che per la prima volta ha praticato una vita molto disordinata per periodi davvero lunghi». In che senso disordinata? «Significa bere molto alcol, dormire pochissimo, usare droghe, eroina, coca, o le sintetiche, da quelle per rilassarsi, alle anfetamine per stare svegli, mangiare male, ammalarsi spesso, usare continuamente antibiotici. E avere, come hanno rilevato le prime inchieste sulla popolazione colpita, da 100 a 300 rapporti sessuali in un anno, con partner sempre differenti». Sta parlando, più o meno, di giovani alternativi, dropout, gay... «Guardi che non c'è nessun giudizio moralistico, io sono lontanissimo da queste cose... Dico che mai prima di allora moltissimi organismi si sono esposti a questo bombardamento quotidiano... Il sistema immunitario funziona come un cammello nel deserto quando è sovraccarico: regge, va avanti, poi crolla di colpo». Ma non si disse che il virus era nato in Africa? «Questa è un'altra leggenda... In Africa non c'è un solo dato scientifico che lo provi. In Occidente, in presenza di Hiv nel sangue, vengono definite Aids 29 differenti patologie. In Africa ne bastano tre: perdita di peso, diarrea, e sfinimento. Se ricorda si disse che in Africa sarebbero scomparse una o forse due intere generazioni. Non è accaduto. Si disse che il 70 per cento delle prostitute senegalesi sarebbero morte nei successivi 5 anni: ne sono passati 10 e gran parte di loro sta benissimo». Scusi, ma allora tutte le campagne sull'uso del preservativo... «E' una questione interessante. Come è noto l'Aids non è progredito ai livelli esponenziali che ci avevano pronosticato. La sua diffusione è molto diminuita. Ci dicono che questo è accaduto grazie alla prevenzione e all'uso diffuso del preservativo. Benissimo. Ma allora come mai tutte le infezioni veneree continuano a crescere? La verità è che in America si usa il preservativo più o meno come prima e probabilmente meno». Se ha ragione, perché sarebbe stato «inventato» l'Hiv? «Perché era un modo semplice di risolvere un problema complesso. Perché metteva tutti d'accordo: il fondamentalismo religioso e il puritanesimo. La lobby della ricerca e la voracità dei media. Era tutto spettacolare: molti soldi e molta gloria e molta autopunizione per tutti. Se ricorda non si è parlato d'altro per anni. Come si fece per il Vietnam...». In che senso? «Che anche quella guerra, come questa, fu fatta per tante ragione, comprese alcune molto stupide. E su una ipotesi probabilmente sbagliata. Come da 15 anni sull'Aids». Pino Corrias UNA VOCE CONTRO Non dico certo che l'infezione sia un'invenzione ma il numero dei morti per esempio è più limitato di quanto si pensi p fi£ Non sono l'unico a non credere alla concatenazione Aids-Hiv e comunque anche Galileo all'inizio fu solo p p Si è perserverato nell'errore in nome dei finanziamenti Solo il governo Usa ha investito trenta miliardi di dollari p ip Kary Mullis, 53 anni, premio Nobel per la Chimica [FOTO GRAZIA NERI]