La rivoluzione di «Avvenire »

La rivoluzione di «Avvenire » 130 ANNI DELIA VOCE DEI VESCOVI La rivoluzione di «Avvenire » Boffo: così ho cambiato il giornalismo cattolico AROMA NNIVERSARIO quasi trionfale per l'Avvenire, cne na appéna compiuto trentanni. Gratitudine dal mondo cattolico, riconoscimenti tutt'altro che scontati dai laici. E forse anche un po' d'inconfessabile invidia, perché il quotidiano della Cei fa notizia, fa discutere, si mette di traverso, scarta di lato, a sorpresa, e quindi bisogna non solo sfogliarlo, ma arrivare fino alla fine. La «fine» sarebbe la cultura, rinominata Agorà, autentico laboratorio di provocazioni intellettuali, e l'ultima pagina, anch'essa piuttosto movimentata, che raccoglie le lettere dei lettori. Ogni giorno il direttore, Dino Boffo, un trevigiano di 46 anni, ne seleziona una e si mette al computer pensando a quel che potrebbe rispondere la catechista di quando era bambino, Palmira si chiamava. Boffo è un vero personaggio, l'aspetto del tutto normale nasconde un'intensità carismatica che si coglie solo mentre parla, leggermente piegato, con gli occhi chiusi, concentratissimo. Dell'«uomo di comunicazione» ha tutte le virtù e le nevrosi. Quel che lo rende originale da tanti altri suoi simili è la Fede: ci crede al punto da risultare modesto, dubbioso, disinteressato rispetto ai quattrini. Viene da zone particolari del cattolicesimo italiano, la marca trevigiana di Papa Sarto, Pio X, e dei tre fratelli Scotton, campioni dell'intransigentismo anti-liberale. E' stato una specie di ragazzo prodigio dell'Azione cattolica, a 22 anni dirigente centrale, si opponeva ai «mediatori» morotei alla Rosy Bindi, in qualche modo è stato precursore del wqjtylismo italiano. E' una persona delicata, tagliente, pupillo del cardinal Ruini. Non ha famiglia, avendo sposato il girnalismo. Si capisce che è un grande organizzatore, un capo-branco di giovani giornalisti che lavorano anche divertendosi, un talent scout. Con la stessa serena determinazione, nel giro di un'ora e mezzo, e aprendo di tanto in tanto gli occhi per rispecchiarli nella calcolata meraviglia del suo interlocutore, Boffo racconta i suoi rapporti con la Cei, propone il laico Amato al Quirinale, spiega la scelta di far recensire un libro di testimonianze di cattolici omosessuali e ricorda il senso degli insegnamenti della Palmira: «Vale la pena di vivere la fede sentendo e lasciando che la brezza ci penetri nelle ossa». Come tutti i direttori che ce l'hanno fatta, Boffo ha il privilegio di dirigere un giornale che gli assomiglia. Anche per questo è lieto dei complimenti dei «dirimpettai» laici: «Ho vissuto con sof- ferenza - premette - il grande gelo dell'incomunicabilità: forse la fine della de e delle ideologie ha liberato il campo da pregiudizi e vischiosità. Più che il riconoscimento dei laici mi incoraggia la possibilità di far interrogare gli altri». Di tutti i complimenti, il più prezioso resta per lui quello di Giampaolo Pansa: «Mi fate incazzare tutti i giorni, ma leggervi mi fa un gran bene!». Il punto di arrivo è l'originalità vitale e controllata di Avvenire, prodotto che oltretutto si espone e si vende nelle chiese. Il segreto, probabilmente, sta nei tempi, «nel non aver vissuto, come generazione, gli anni dell'onnipotenza de, ma semmai il senso della sconfitta dei cattolici. Il mio problema è sempre stato quello di vi¬ vere e tenere insieme la fede e il mondo moderno. Cerco di restare fisso nella mia identità religiosa per poter meglio mischiarmi nel mondo». I fini sono quelli di sempre; i mezzi quelli che offre lo sviluppo delle tecniche, l'evoluzione del messaggio. Basta smontare i moduli espressivi del giornale per accorgersene. Boffo ha buttato nella pattumiera la polverosa, soporifera e moderatissima banalità del giornalismo cattolico, saccheggiando senza ritegno le suggestioni del nostro tempo. Titolazione a effetto, colori, foto drammatiche e spettacolari (bambini, soprattutto), occhio ai simboli, alle icone, alle analogie e alle assonanze, anche forzate, gusto di spiazzare, dissacrare, semplificare, collegare, svelare e nascóndere. C'è un misterioso giornalista, Rosso Malpelo, che pedina e coglie in fallo le firme altrui; c'è la ricerca costante dell'Intoccabile da toccare; c'è la scoperta che Guareschi ha ispirato la Fallaci; c'è il dibattito sugli animali che vanno o no in paradiso e, dopo i ripetuti deragliamenti, ci sono pure consigli «tecnici» su quale santo votarsi. Si raccolgono in volume le polemiche culturali e si fa scrivere la prefazione a Ernesto Galli della Loggia; si attacca la Bonino quando tutti ne parlano bene e si prendono le distanze dal soldato Ryan. Una volta, a proposito di pedofilia, c'è scappato perfino un «Ma che Caffo scrivete?». «Alzare le antenne, stupire, spiazzare - insiste Boffo - la cultura cattolica ha sedimentato inutili tabù e luoghi comuni ovattati. Niente più tabù, occorre farsi trovare là dove non ci aspettano». Proteste? «Mi rendo conto dei tiraggi a cui sottopongo i lettori classici. Ma noi cattolici vinciamo solo se riusciamo a esprimere con linguaggio moderno quello che abbiamo dentro». Così, la Cei ha affidato a lui e ai giornalisti dell'avvenire anche i notiziari della tv satellitare Sat2000 e della radio, Blusat2000: «Un'avventura sperimentale a costi abbordabili: anche qui si tratta di combinare una forte identità cattolica con nuovi linguaggi e chiavi di lettura». Forte è la tentazione, a questo punto, di ricostruire il personaggio sullo schema di un inedito integralismo elettronico. E tuttavia Boffo sfugge alle più immediate classificazioni, sembra riflettere in sé contraddizioni altrimenti ri¬ solvibili sul piano culturale ed esistenziale: obbedienza alle gerarchie e movimento; condizione di assedio e spirito d'attacco; anticonformismo e affidabilità. Non deve essere facile rispondere all'editore Cei. Boffo sostiene con i vescovi: «Paga sempre la smeerità: prima capisci che non cercano cortigiani e meglio è». E Ruini: non dà ordini? «No, ci si sente, ci si ascolta, anche se ovviamente lui ha tante altre cose fa fare, visite pastorali, confessioni. Il punto è che uno lo sa da solo quel che deve o non deve fare. Mi si può chiedere, piuttosto, come faccio a "sapere" e come mai non vengo sconfessato». E già: «Perché cerco di indoviTiare la mens del mio retroterra di cristiano: quel che pensa la comunità, i vescovi. Mi è facile, ho il vocabolario, i punti di riferimento, ho conosciuto monsignor Benelli, la Curia romana, so quanto considerava la politica, l'Italia democristiana come il laboratorio preferito chenon si doveva perdere...». E s'è persa, invece. «Per poi ritrovarsi. Percorre ora il viottolo della modernità e della secolarizzazione, là il Dio che visita la storia non ha schifo di questo nostro tempo. Anche la Chiesa s'è purificata, ha perduto il lardo, l'opulenza, s'è fatta più agile, più scaltra». Di questa agile scaltrezza (anche) Boffo è in qualche modo l'incarnazione. «Chi l'ha detto che il prossimo Presidente della Repubblica deve essere un cattolico? Perché non Amato? Ho letto molto di quel che ha scritto, ne ho sottolineato diverse parti: ha il gusto dell'anticonformismo, vedi sull'aborto...». E' inevitabile parlare di politica con il dùettore di quell'Avvenire che per oltre due anni ha bombardato Prodi. «Se e così mi dispiace, perché lo conosco personalmente. Ma della sua stagione mi ha dato noia l'illusione che il Pds potesse concedere il suo patrimonio ai cattolici. I comunisti hanno sempre cercato di dividere i cattolici portandosene una parte con loro. Quella di Prodi era una condizione abnorme e infatti non ha retto. A un certo punto D'Alema ha presentato il conto. E' gente seria, quella, ha alle spalle una scuola. Non a caso si parlava di due chiese...». Ma proprio per questo, come del resto insegna la storia, non sarà più facile accordarsi con D'Alema che con Prodi? «Non c'è fretta di arrivare alla nota spese. Ma certo sul piano del pragmatismo, una volta segnate le distanze, si individuano i punti d'incontro. Loro hanno un sistema di valori che non coincide con i miei, negoziare non sarà una passeggiata. Ma piuttosto che un interlocutore muto e marmellatoso preferisco sapere chi ho davanti». Si passano rapidamente in rassegna gli altri protagonisti. Notare il modo quasi spiccio. Scalfaro: «Alcune cose mi convincono, altre meno. Ha salvato il processo democratico in momenti turbinosi, ma l'avrei voluto più indipendente. Ho avuto l'impressione che fosse più attento alle esigenze di una parte che dell'altra». La polemica di Marini con i vescovi: «Inspiegabile e rovmosa». Cossiga: «Sta giocando. Del suo tentativo politico è il padre nobile e l'immagine vendibile. Ma l'uomo forte è Mastella, per cui è meglio calibrare analisi, giudizi e prospettive. Cossiga si diverte. E' un retore fantastico, capace di difendere le ragioni che prima proprio lui ha attaccato». Si passa al Polo e quindi a Berlusconi: «Ha avuto l'intuito di capire il momento giusto, ma anche se non è carino dirlo è oggi una presenza a tratti imbarazzante. Dovrebbe fare un passo per contribuire alla normalizzazione. Si critica lui, ma molti dei moduli che ha introdotto - da una certa personalizzazione a un certo populismo - si stanno affermando». Per ultimo Fini: «Un uomo abile, certo non l'ultimo dei bottegai italiani. Ma il contorno mi piace molto meno. La cultura non mi pare che stia molto da quelle parti». Molti i chiamati, pochi gli eletti nel giudizio dellAwenire di Dino Boffo. Filippo Ceccarelli fi fi Anche per noi la fine della De e delle ideologie ha liberato il campo da certe vischiosità I riconoscimenti dei laici mi fanno piacere ma mi incoraggia di più la possibilità di far interrogare gli altri ■■ Nell'era Prodi mi dava fastidio l'illusione che ilPds potesse concedere il suo patrimonio ai cattolici DAlema? Negoziare non sarà facile Avrei preferito Scalfarounpo' più indipendente Cossiga?"Giocaiji] Il direttore di Avvenire Dino Boffo

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