«Noi, generazione fregata» di Ferdinando Camon

«Noi, generazione fregata» «Noi, generazione fregata» «Vogliono avere tutto e subito come se morissero domani» UNQUE, un giovane su due odia i vecchi. Poiché penso di rientrare tra i vecchi, e dirò subito perché, un giovane su due mi odia. Poiché in ogni ora di ogni giorno che ho vissuto non ho fatto altro che lavorare per i giovani (insegnando, scrivendo, visitando scuole, esaminando alla maturità, rilasciando diplomi, facendo conferenze), ho dato (in positivo) il massimo che potevo, ricevo (in negativo) il massimo che possono darmi. Valeva la pena? Non è una situazione personale, è la situazione di tutta la. mia generazione. Siamo la «generazione fregata». La prima conclusione è: abbiamo dato troppo, non meritavano nulla. I giovani sono i figli. I vecchi non sono i padri, ma i padri dei padri. Tra i quali, da due mesi, rientro. Perché i giovani odiano i vecchi? Perché i vecchi gl'ingombrano 0 mondo. Sul quale i giovani vorrebbero dilagare. Tutti, dai nullafacenti ai carrieristi, vorrebbero occupare la casa (con la coppia), la città (con il gruppo), il mondo (con la generazione). Non sanno che, senza i vecchi, non ci sarebbero né il mondo (e pazienza), né la città (e sarebbe un guaio), né la casa (e sarebbe un disastro). A quel punto desidererebbero avere i vecchi: quelli privati, con cui hanno a che fare in casa, e quelli generazionali, con cui hanno a che fare a scuola, in ufficio, all'università. I giovani sono «i nostri posteri»: i primi posteri, quelli che facciamo in tempo a guardare in faccia. Da bravi posteri, ci vogliono morti. Al primo impiego, entrano in un ufficio e dico¬ no che è tutto sbagliato. Vincono un concorso per ricercatori, e nel primo librino denunciano le tare del maestro che li ha portati in cattedra. Scrivono il primo libro, finiscono finalisti allo Strega, e subito fondano una collana di scoperte e impiantano una scuola di scrittura: per la prima, Vittorini e Calvino aspettarono una vita, e la seconda non hanno mai osato. I lamenti giovanili sono vizi di arrivismo. Questi non sono giovani, che hanno tutto il futuro davanti, sono giovani-vecchi, vogliono tutto subito, come se morissero domani. Non capiscono (e se non capiscono questo, non capiscono Tabe della vita) che il paragone non è tra quel che ha il settantenne di oggi e il ventenne di oggi, ma tra il ventenne di oggi e il ventenne di ieri: oggi, troppo per essere contenti; ieri, troppo poco per lamentarsi. Ieri si spendeva una vita a scrivere, e si sperava nel dopo-morte. Oggi scrivono un librino a vent'anni e vogliono l'immortalità. Se non l'ottengono se la prendono con i vecchi. Non capiscono che non devono fare i conti con i vecchi di oggi, ma con i giovani di domani. E chissà che i giovani di domani non riscoprano i vecchi di oggi: a volte, i conti tornano. Ferdinando Camon

Persone citate: Calvino, Vittorini