MEMORIA DELL'ORRORE di Barbara Spinelli

MEMORIA DELL'ORRORE MEMORIA DELL'ORRORE sembra» Ignatz bubis, presidente del Consiglio centrale ebraico in Germania, accusa Walser di antisemitismo latente. Tenie il successo, che sta avendo. Tenie la legittimazione, che lo scrittore dà a discorsi di estrema destra. Attacca con violenza chi difende 10 scrittore, come Kiaus von Dohnanyi ex sindaco socialdemocratico di Amburgo, e critica intellettuali neo-nazionali come Botho Strauss o Hans Magnus Enzensberger. Ma l'autodifesa ebraica non è convincente, perché il pericolo indicato da Walser esiste - il pericolo delle commemorazioni vuote, ostentate - e non si può affrontarlo con grida di sdegno. Quel che colpisce nello scrittore non è peraltro 11 suo «guardar via» dalla Shoah, ma il suo «guardar via» da tutti i crimini, passati presenti o futuri. Per sopravvivere e scrivere non si può guardare il male, ininterrottamente: l'aspirazione è alla bellezza, all'armonia, dice il poeta a conclusione del discorso. Già comunista nel dopoguerra, Wal- ser lascia il secolo con passo leggero, libero di tutti i passati: pronto a vivere come se nulla fosse in una asettica, planetaria Normalità. L'escamotage fa impressione, e il successo di pubblico è assicurato. L'escamotage è reso possibile non solo dalla privatizzazione, ma dalla nazionalizzazione della memoria e della coscienza. Nella misura in cui si riduce a fenomeno solo tedesco, il genocidio hitleriano diventa esperienza non più condivisibile con altri, oltre che incomparabile. Auschwitz non insegna alcunché di universale, sulla natura dell'essere umano e sull'orrore che può sempre riprodursi. Lo scrittore israeliano Friedlànder osserva stupefatto che «lo stesso pubblico che ieri ha applaudito Goldhagen , applaude oggi Walser». Ma l'oblio invocato da Walser è perfettamente coerente con il fenomeno Goldhagen. Goldhagen costruisce tutto il suo libro sull'idea di un millenaria pulsione sterminatrice degli ebrei, nel popolo tedesco. E' precisamente per questa via che la memoria si nazionalizza, poi evapora del tutto. Il popolo tedesco torna con Goldhagen a essere collettivamente colpevole, e non moralmente responsabile come nei testi postbellici di Jaspers. Il pas¬ saggio dalla colpa collettiva all'innocenza collettiva avviene senza intralci, in Walser. E' quel che aveva previsto il filosofo Glucksmann, a proposito di Goldhagen: «La Germania così diabolizzata resta chiusa nella sua eccezione, nel suo famoso Sonderweg. Diventa incomparabile: la sua malattia è troppo congenita per esser contagiosa, e non concerne dunque il mondo esterno. D'un sol colpo, la tragedia tedesca non insegna più nulla a nessuno» (André Glucksmann, Le Bien et le Mal, Laffont 97). Non è casuale che Walser abbia parlato due settimane dopo la vittoria di Schròder. Lo scrittore ha intuito che il clima cambiava, e che era giunto il momento di affossare cinquant'anni di politica della memoria. Schròder non nasconde che questa è la sua idea della normalità ritrovata, e molti suoi pensieri sono affini a quelli di Walser. Anche il suo ministro della Cultura, Naumann, condivide le tesi dello scrittore sulla privatizzazione della coscienza. I tedeschi sono adesso adulti - ripete il Cancelliere sin da quando cominciò la sua campagna contro l'Euro - e non devono più provare di esser democratici, in casa propria o in Europa. Per questo Schròder ha disertato le commemorazioni francesi sulla fine delia guerra '14-'18, mostrando indifferenza per l'immagine di Mitterrand e Kohl che si tengono per mano davanti ai sepolcri di Verdun. Per questo osteggia il monumento all'Olocausto, che secondo Kohl dovrebbe esser costruito a Berlino in memoria delle vergogne nazionali. Per Walser il monumento è «un incubo». Per Schròder è accettabile, «solo se sarà cosa gradevole andarvi». Questa nazionalizzazione del passato tedesco complicherà il dialogo tra europei, già assai esile. Inciterà le nazioni a rinchiudersi e a privatizzare le varie esperienze del male, piuttosto che a pensare assieme una politica della memoria, e di analisi critica delle passate guerre o dei passati crimini. Il dibattito tedesco ci riguarda direttamente, giacché anche noi dovremo decidere: che posto lasciare al passato nel futuro che si sta preparando, e come ricordare gli orrori per scongiurarli. E quale rapporto con il passato potranno avere i cittadini di Stati-nazioni che tendono a sciogliersi nell'Unione. Il rischio è quello di un'amnesia generale, cui verrà dato il nome eufemistico - di Normalità . E' strano come in questo la Germania sia speculare al pensiero ebraico contemporaneo. Anche per Israele lo sterminio hitleriano è un evento intimo, un fatto ebraico-tedesco che ha poche valenze universali. Per l'ebreo il genocidio è il destino di un popolo eletto nell'innocenza, e non a caso porta un nome ebraico che non si vuol tradurre: il nome di Shoah, sterminio. Sicché non sorprende la reazione, spesso esagerata, di Bubis. La disputa tedesca è feroce, e interroga anche gli ebrei, sul passato in Germania ed Europa. Difendendo Walser, Dohnanyi si chiede ad esempio «quale sarebbe stato il coraggio degli ebrei, se Hitler avesse liquidato "solo" gli zingari, i malati mentali, gli handicappati». E' una questione posta già nell'86 da Jakob Taubes, filosofo ebreo: «Noi ebrei tedeschi non siamo stati messi alla prova. Non avevamo scelta, e chi non ha scelta possiede capacità di giudizio limitate, sul dittatore e sul fascino che esercitò». Gli europei hanno oggi questa libertà di scelta, e possono dunque giudicare il secolo e le sue storture. L'Europa è condannata a svanire come potenza, se segue l'invito estetizzante di Walser e volta la testa dall'altra parte, immemore, quando di fronte gli si accampa il male. Barbara Spinelli