II duro della banda in lacrime «Non credete a chi mi accusa»

II duro della banda in lacrime «Non credete a chi mi accusa» Il delitto di Frosinone: Fardi Bogdan ha pianto per due ore durante l'interrogatorio II duro della banda in lacrime «Non credete a chi mi accusa» FROSINONE DAL NOSTRO INVIATO «Giudice, fatemi la macchina della verità e vedrete che io non dico bugie. Non credeteci a quell'Erik». Tra un singhiozzo e l'altro. Fardi Bogdan, il secondo dei fratelli zingari in prigione per l'assassinio di Mauro, s'è rivolto al gip che lo interrogava con toni accorati. E quello, il giudice Francesco Galli: «Tu vedi troppi telefilm, ragazzo. Qui siamo in Italia. La macchina della verità non è prevista dalle nostre leggi». Il giudice Galli ha confermato la custodia cautelare per il giovane Bogdan. «Omicidio aggravato e premeditato» in concorso con il branco. Il giudice crede insomma al racconto del supertestimone Erik Albert Schetzerberg. Ma anche il procuratore capo di Cassino, Gianfranco Izzo, è cinvinto: «E' inverosimile e assurdo che Erik abbia fatto tutto da solo. Abbiamo riscontri scientifici e testimoniali sulla partecipazione al delitto degli indagati. Erik ha tirato fuori dall'abisso del suo animo, giorno dopo giorno, tutta la verità con sofferenza e grande tormento. Per noi è completamente credibile». Fardi, dunque, interrogato ieri dal gip, sarebbe il capobranco. Quello che aveva traffici di droga, addirittura con mafiosi siciliani. Quello con i conti in banca. Sarebbe stato lui a decidere a freddo la trappola per Mauro. «Eppure - dice il suo avvocato Gaetano Mastronardi - questo presunto capobranco ha singhiozzato come un bambino per tutto l'interrogatorio. Un pianto dirotto che è durato per duo ore. Se finge, è il più grande attore del mondo». Il giovane Bogdan ha negato tutto. Ad ogni contestazione ha ribattuto che tirano invenzioni. Ma il suo alibi di fatto non esiste. Ha raccontato di aver passato quel pomeriggio tra la roulotte di famiglia e la macchina dove ascoltava lo stereo. «Questa è la mia vita. Io trascorro così i pomeriggi». E perché mai Erik il peruviano dovrebbe accusarti di cose tanto tremende? gli chiede il giudice. «Non so. Forse perché noi Bogdan l'abbiamo sempre tenuto ai margini. E' un bugiardo. Un 'contaballe'. Stava sempre a vantarsi delle sue conquiste, ma non lo vedevamo mai con una donna. Era un tipo pesante. Spiacevole. Voleva fare gruppo con noi. Ma lo tenevamo alla larga». E' un po' poco, ammettono anche gli avvocati difensori dei due fratelli, per immaginare un odio tale da spingere Erik a inventare un'accusa da ergastolo. Tanto più che la procura di Cassino rivendica di aver trovato riscontri oggettivi al racconto del testimone. «Però, a dire il vero, questi famosi riscontri sono tutti su Erik, non sui nostri assistiti - dice l'altro difensore, Antonio Fraioli - e questo fatto mi lascia pensare. Erik dice di aver portato il bambino sul motorino e la procura puntualmente trova i testimoni. Lo stesso per l'acquisto delle buste di plastica. Oppure per la scena del delitto. E perché ora dice di essere arrivato sul posto in motorino e non più in macchina? Perché teme forse che qualcuno l'abbia visto lungo il tragitto?». La strat già difensiva degli avvocati sta prendendo corpo: insinuare il dubbio che Erik racconti la verità a metà. La dinamica - sostengono - probabilmente andò davvero come lui la racconta ai giudici. Consciamente o inconsciamente, però, inserisce nella narrazione persone che non erano sul posto. Perché forse nasconde il vero complice. Il quale sarebbe poi il cosiddetto «sesto uomo» o «uomo del tenore» su cui la procura ha indagato in un certo periodo. ((Arrivati a questo punto - dice l'avvocato Fraioli - ci vuole uno psichiatra di chiara fama. Chiederemo che faccia una perizia su tutti e tre i protagonisti. Su Denis, su Fardi e pure su Erik». I difensori dei due fratelli Bogdan non nascondono che la situazione s'è fatta difficile. I due ragazzi sono chiusi in carcere. In isolamento per evitare contatti con altri detenuti. Ma pos- sono restare segregati per un anno, fino cioè al dibattimento? D'altra parte i legali non faranno istanza al tribunale del riesame prima di avere raccolto un buon numero di elementi per smontare il racconto del superaccusatore. Sarebbe utlissimo quel Daniel, 15 anni, nomade anche lui, cugino dei Bogdan che secondo Erik era uno del branco. Se si provasse che Daniel mercoledì 18 novembre era altrove, sarebbe un bel colpo per la difesa. Però Daniel, nonostante le promesse della comunità zingara, non salta fuori. «Nemmeno Bruno Bogdan - dice Fraioli - sa dov'è. Il padre ha fatto sapere che Daniel non si presenterà. Non vuole che il suo ragazzo vada a finire in carcere». Si sospetta che questo cuginetto dei Bogdan sia nascosto nei campi nomadi di Roma lungo la via Casilina. Altri testimoni della difesa, intanto, stanno finendo nei guai. Le due donne che sostenevano l'abbi di Denis sono indagate per favoreggiamento. I pm di Cassino si dicono «indignati e offesi» per l'accusa di aver esercitato pressioni sui testimoni. Si annunciano querele e controquerele. Francesco Grignetti «Sottoponetemi alla macchina della verità» Gli inquirenti «Abbiamo riscontri scientifici e testimoniali sulla partecipazione all'omicidio di tutti gli indagati» A destra: Mauro lavarone, ucciso a f I anni, per essersi opposto a un tentativo di violenza. Sotto: Erik Schetzerberg, il superteste dell'omicidio. A sinistra: Denis Bogdan, uno dei presunti assassini

Luoghi citati: Cassino, Frosinone, Italia, Roma