«Nessuna riserva per bimbi»
«Nessuna riserva per bimbi» Dallo psicologo all'antropologo tutti contrari a istituire zone libere dai più piccoli «Nessuna riserva per bimbi» Un coro di no all'idea dell'Economist UNA BARRIERA CONTRO GIAftlBURRASCA ALLA Me Donald's, ovviamente, ridono. L'idea di istituire zone «libere» dai bambini - la proposta è dell'Economist - fa a cazzotti con la filosofia di una catena che da sempre si propone come «il ristorante della famiglia», bambini e adolescenti compresi. E che organizza circa 800 feste di compleanno al giorno (nei 200 ristoranti aperti in Italia) con una media di venti bambini a festa. Fatti due conti (e tralasciando i conti di cassa), sono 16 mila bambini che cantano, ballano, mangiano e si divertono, con l'inevitabile rumore che ne consegue. Disturbano gli altri clienti? «Cerchiamo di conciliare le loro esigenze con quelle di chi è solo», rispondono alla Me Donald's. «Comunque, sia chiaro che da noi i bambini sono i benvenuti». «Benvenuti» si fa per dire. Perché alcuni ritengono invece che i bambini vivano già in un recinto, e che non ci sia proprio bisogno di creare altre «child-free zones», su modello delle aree vietate ai fumatori, ai cani, o a chi abusa del proprio telefono cellulare e della pazienza altrui. Uno di questi è Ernesto Caffo, fondatore di Telefono Azzurro e psicoterapeuta infantile: «I bambini sono di fatto già isolati in una "riserva indiana"». Facciamo un esempio. «Gli asili nido, le scuole materne. Così viene a mancare la consuetudine al rapporto con i figli piccoli, ed è il motivo per cui molti adulti non riescono a diventare genitori. Purtroppo oggi i bambini sono affidati alle mani degli "specialisti", non a quelle dei genitori». Per Ernesto Caffo questo è un «pericolo grave». Chiudere un ragazzino in un'area delimitata è un rischio «enorme», perché «la società che non investe sui bambini è destinata a morire». Inoltre il bambino «ha diritto ad essere pensato e considerato. Invece crescono in una realtà anonima, con sempre meno relazioni affettive. E questo è il problema che sta alla base di tutta la serie di violenze ed abusi che conosciamo, come insegna l'esperienza di Telefono Azzurro». Ma i bambini, ogni tanto, possono anche disturbare il prossimo. «Lo sa bene chi deve sopportarne uno che si agita durante un volo di 12 ore», scrive l'Economist. «Ma il problema esiste quando i bambini sono costretti dentro le regole della società adulta», risponde Mario Lodi, scrittore di libri per bambini (ma lui preferisce definirsi scrittore di libri «fatti con i bambini»), «Ci sarebbe da preoccuparsi se un bambino non cominciasse a stufarsi anche solo dopo sei ore di volo. Sta a noi non metterli in situazioni in cui non è più sopportabile la logica degli adulti». E poi, aggiunge, «il bambino non è un piccolo adulto, ma una persona che ha un diverso modo di pensare e vivere. Lui ha delle regole speciali. E noi grandi dovremmo imparare da loro tutte le cose che abbiamo dimenticato crescendo». Perché «loro» sono un'altra cosa: «Non sono ipocriti, non fanno le cose per denaro, e se litigano poi fanno la pace. Quella vera. Insomma, noi non li sopportiamo proprio perché sono così diversi da noi». Alla base di tutto, spiega Alberto Antoniotto, docente di Antropologia culturale all'università di Torino, c'è «la nostra società, che è falsamente tollerante. Noi ripetiamo di tollerare il diverso, ma lo discriminiamo. Diciamo di tollerare il bambino, invece lo discriminiamo. Ad esempio, quando lo isoliamo dal mondo degli adulti mettendolo davanti alla televisione, perché così non "rompe"». E lei come se la spiega una proposta come le aree vietate ai ragazzini? «La nostra società ci porta a vivere sempre più in spazi sociali e geografici diversi. Qui noi incontriamo l'"altro", qui scattano le nostre reazioni di intolleranza». Ormai, commenta desolato l'antropologo, «siamo sempre più pronti a tirare su le barriere di autodifesa. Anche con i bambini». Brunella Giovara Caffo: dall'asilo alla scuola sono già fin troppo isolati dal mondo degli adulti - liteEco no mist w; tt**c -X * Clini TKHf** •* annitnn piwpwft «un in •w<*W*'**'v* Un ristorante della catena Me Donald's A fianco l'articolo pubblicato dal settimanale «The Economist»
Persone citate: Alberto Antoniotto, Brunella Giovara Caffo, Clini, Ernesto Caffo, Mario Lodi
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