L'evaso che nessuno catturò

L'evaso che nessuno catturò Lo cercavano centinaia di guardie ma il suo cadavere era a un chilometro dal carcere L'evaso che nessuno catturò Fuggito dal braccio della morte, è annegato REPORTAGE LA GRANDE CACCIA HUNTSVILLE DAL NOSTRO INVIATO Scocca, alle 5 e 45, l'ora dei destini incrociati. La Morte accetta ini inatteso baratto e si porta via l'uomo che doveva esserle scappato, lasciandosi invece alle spalle quello che doveva prendere di lì a 15 minuti. Nessun problema, ripasserà fra 30 giorni. Non si sfugge, né a lei né al sistema penitenziario del Texas: hanno la stessa missione. «Sono molto felice di annunciare che la saga dell'evaso è finita. Martin Gurule è stato ritrovato. Morto», annuncia, davanti alla prigione di Ellis Unit, il portavoce del dipartimento di Giustizia, Larry Fitzgerald. «Sono molto spiacente di comunicare che l'esecuzione del condannato Andrew Cantu è rinviata per intervento della Corte Suprema», dice, nello stesso momento, davanti alla camera della morte, il suo collega Larry Todd. Poi si va tutti a cena insieme in un ristorante messicano e i due Larry alzano i boccali di birra brindando alla fine dell'umiliazione: «Speedy» Gurule, che scappò una settimana fa, era, in fondo, soltanto un «dead man running», un uomo morto che correva e non è andato neppure lontano, appena un chilometro e mezzo dal carcere, poi, scorticato dal filo spinato, ha perso le forze ed è annegato. Intingendo i nachos nella salsa, Larry Uno ricorda con piacere che: «Il suo corpo era così gonfio che ha faticato a entrare nella sacca per cadaveri». E Larry Due annuisce: «Ha fatto la giusta fine. Per quell'altro, basterà aspettare un mese, non ci scappa, non scappa più nessuno». E' una giornata di fantasmi, leggende nate morte, zombie che tornano da dove sono venuti e uomini senza sorriso che vincono la partita e si portano via il piatto. «Speedy» Gurule era solo un bluff. Andrew Cantu un giocatore malmesso che prende tempo. E pensare che, quando l'alba era spuntata, tutto sembrava andare nella direzione opposta. Andrew Cantu si era svegliato presto, aveva rifiutato la colazione e chiesto alla guardia: «Novità?». Risposta: «Per te, nessuna». E questo lo sapeva. Aveva ammazzato, otto anni fa, tre persone, su commissione, pagato diecimila dollari da un parente delle vittime, stranamente non condannato a morte, forse perché bianco. Cantu, ispanico e violento, aveva avuto la pena capitale. Si era difeso da sé, anche dopo, proponendo appelli, spesso fuori tempo massimo. Gliene restava uno pendente, ma non ci contava. Il suo compleanno cadeva due giorni dopo l'esecuzione. La festa, gliel'avrebbero fatta prima. Ripetè alla guardia: «Novità? Sul fuggitivo, volevo dire». Nessuna risposta. Buon segno. «Speedy» Gurule stava ancora correndo. Larry Fitzgerald, per questo, era di malumore, ma non lo dava a vedere. Il governatore Bush or¬ dinava inchieste e pretendeva risultati. Al ritorno da Israele l'aveva fulminato una scoperta: «Io credo in Dio, ma non sono Dio e non decido chi va in paradiso». Ma chi va all'inferno, sì. E voleva l'evaso tra i dannati, vivo o morto. Fitzgerald ostentava sicurezza: «Tornerà in tempo per mangiare gli avanzi del giorno del ringraziamento. Abbiamo ripreso nove evasi su dieci, la durata media di una fuga è quarantacinque minuti. Questo qui ha già fatto il record, è tempo che si riposi». In realtà, era preoccupato. Perché tre mute di cani avevano seguito la stessa pista e si erano fermati ai bordi della statale 980, annusando il nulla, come se un'auto avesse fatto sparire, da lì, le tracce del fuggitivo. E perché si diceva ormai apertamente che Gurule aveva rapporti con la mafia messicana, che detta legge nelle carceri di Huntsville e che questa avesse organizzato la sua fuga per poi impiegarlo in qualche missione omicida. Nella sua casa di Corpus Christi, la nonna di Gurule, Amalia, pregava per lui. Ai giornali aveva detto: «Macché mafioso, mio nipote è scappato perché era triste, perché era novembre, il mese in cui morì sua madre. E' andato via perché non ce la faceva più e voleva uscirne, a qualunque costo. A Dio chiedo che non me l'abbia fatto morire». Nella loro barchetta sulle acque del fiume Trinity, Doug Smith e Mark Humphrey, dipendenti delle prigioni/ addetti al trasporto detenuti, in giornate di riposo, pescavano trote. Poche, per la verità. Per questo Doug disse: «Stiamo fuori fino a che fa buio, non possiamo tornare a mani vuote». E al calar della sera Andrew Cantu, dopo aver mangiato tacchino, patate fritte, torta di zucca e latte al cioccolato e aver parlato con il prete, era stato caricato sul furgone, condotto nella camera della morte e preparato per l'iniezione letale. Di là dal vetro, Rita e Sharon, nipoti delle sue vittime, aspettavano il momento della vendetta. Mancavano, soltanto, trenta minuti. A quel punto, Larry Fitzgerald scomparve e tutti capirono che era successo qualcosa, perché non si perde mai un'esecuzione. Invece, via di corsa, verso Ellis Unit. Era accaduto che la barca dei due pescatori si era incagliata contro qualcosa, accanto alla riva. «Cos'è, un manichino?» chie¬ se Doug. «No, ha le unghie», rispose Mark. E, anche, le scarpe da tennis, la biancheria dipinta di nero con il pennarello, un cartone intorno al torace per non tagliarsi superando il filo spinato. Invano: il cartone era inzuppato, oltreché d'acqua, di sangue. «Speedy» Gurule aveva corso oltre l'ostacolo, più veloce dei sei compagni di fuga e delle pallottole delle guardie, ma l'ostacolo aveva corso dentro di lui, ferendolo e mandandolo, comunque, a morire. Doug l'aveva rigirato per vederlo in viso e l'aveva trovato sfigurato: «Sembra una maschera di Halloween», disse. «Sembra l'evaso», disse Mark e chiamò il 911 con il cellulare. Mezz'ora dopo erano sulla sponda del fiume Trinity, località Harmon Creek, a farsi fotografare con la preda più ambita del Texas e un assegno da cinquemila dollari di ricompensa. «Ma non chiamateci eroi», dissero. Nessuno ci stava pensando. Nella sua casa a Corpus Christi, nonna Amelia ricevette la notizia da un giornalista. Tra le lacrime disse: «Voleva una via d'uscita e l'ha trovata». Nella camera della morte, Andrew Cantu si chiese perché aspettassero tanto. La guardia gli disse: «Ho per te due notizie, una buona e una cattiva. La cattiva è che hanno trovato il tuo amico Gurule, morto, come un topo, nel fiume. La buona è che per stasera te ne vai da qui, ma stai tranquillo: ci rivediamo fra trenta giorni. Noi vi veniamo sempre a riprendere». Nella conferenza stampa davanti a Ellis Unit, alla domanda: «Come si sente, personalmente?», Larry Fitzgerald rispose: «Magnificamente». Nella conferenza stampa di fianco alla camera della morto, alla domanda: «Come vi sentite ora?», Rita e Sharon, parenti delle vittime di Cantu, risposero: «Distrutte da rabbia e dolore». Il furgone nero caricò il cadavere di «Speedy» Gurule e si avviò verso la sala delle onoranze funebri. Risalì la statale 980 sfilando tra due ali di guardie che erano state appostate per giorni e notti e ora potevano finalmente spegnere i falò sotto la luna piena e tornare a casa dalle loro famiglie, annunciando ai bambini festosi la lieta novella. Prima dell'ultima curva incrociò il furgone chiaro che ritrasportava Andrew Cantu, miracolato a 15 minuti dalla fine. Il condannato lo guardò come si guarda il futuro quando ti viene incontro, ma anche con il rispetto dovuto a chi ha provato, correndo, a negarne l'ineluttabilità. Si ritroveranno presto, Gurule e Cantu. Non erano amici. Disse Tristan Montoya, condannato ispanico, giustiziato l'anno scorso a Huntsville: «Qui non ti fai amici, perché te li ammazzano». Buon viaggio, «Speedy»: non ò stata una lunga corsa, ma eri un uomo morto e, almeno, hai deciso tu quando. Il portavoce del dipartimento di Giustizia del Texas: «Sono felice di annunciare che la saga si è finalmente conclusa» Martin Gurule, il detenuto evaso e trovato morto in Texas. L'hanno cercato agenti, cani ed elicotteri

Luoghi citati: Corpus Christi, Israele, Texas