«In Sud America abbiamo sbagliato»

«In Sud America abbiamo sbagliato» Infuria il dibattito sul caso Pinochet, il segretario di Stato si schiera per la trasparenza «In Sud America abbiamo sbagliato» La Albright, una svolta storica WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Molti di noi guardano al passato e si rendono conto che errori gravi furono commessi in America Latina». Parola di Madeleine Albright, primo segretario di Stato Usa a rinnegare pubblicamente gli aspetti meno nobili della politica estera americana verso quello che fino a poco tempo fa veniva chiamato «il cortile dietro casa» degli Stati Uniti. La detenzione di Augusto Pinochet in Gran Bretagna ha scatenato una discussione accesa nell'Amministrazione sull'opportunità di collaborare con la giustizia internazionale e di rendere pubbliche le carte sul ruolo americano nel golpe cileno del 1973 - una decisione che finirebbe inevitabilmente per accelerare un riesame del controverso rapporto tra Washington e i militari sudamericani durante la Guerra fredda. La battaglia si svolge dietro le quinte, ma l'inattesa uscita pubblica della Albright viene interpretata come una netta presa di posizione a favore della trasparenza e del franco confronto con il passato. Il segretario di Stato parlava all'università di Atlanta dove gli studenti gli hanno posto domande su Fort Benning, sede della Scuola delle Americhe, dove si sospetta che militari sudamericani venissero addestrati alle tecniche più repressive. Dall'inizio degli Anni Cinquanta fino agli Anni Settanta la Cia, con il pieno appoggio del governo americano, lavorò per portare al potere regimi militari in funzione anti-comunista in buona parte dell'America Latina. Nel 1973 partecipò attivamente al golpe cileno che rovesciò il governo di Salvador Allende e portò al potere Pinochet. Successivamente il Dipartimento di Stato criticò gli eccessi e la violenza del regime di Pinochet, ma senza mai criticare la politica americana che aveva favorito la sua ascesa. All'inizio di questa settimana il Dipartimento di Stato annunciò a sorpresa che avrebbe aperto gli archivi e pubblicato le carte americane sul caso cileno. La notizia fece parecchio clamore. E venne subito interpretata come una svolta dell'amministrazione - impressa dalla Albright in primis. Ma nel frattempo il suo portavoce, James Rubin, è stato costretto a fare un'imbarazzante marcia indietro: diversi reparti del governo americano - soprattutto l'ufficio latinoamericano del Consiglio per la sicurezza na¬ zionale (Casa Bianca) - si sono spaventati e sono insorti contro il Dipartimento di Stato. Risultato: la posizione del governo americano sulla vicenda Pinochet appare ambigua e irrisolta. All'inizio era sembrato addirittura che se l'estradizione in Spagna fosse fallita il Dipartimento alla Giustizia avrebbe chiesto l'estradizione negli Stati Uniti. Obiettivo: processare l'ex dittatore per l'uccisione di tre cit¬ tadini americani e dell'ex ministro degli Esteri Orlando Letelier, assassinato dai servizi segreti cileni nel cuore di Washington. Ma quell'ipotesi è sfumata non appena la giustizia britannica ha deciso che Pinochet poteva essere estradato in Spagna (una decisione finale spetta al governo Blair). A quel punto l'amministrazione si è trovata - e si trova ancora - a dover decidere se collaborare o meno con la giustizia spagnola. Il dilemma non è di poco conto: le carte in mano agli americani potrebbero avere un impatto decisivo sull'eventuale processo. Ma a prescindere dai sentimenti della Albright, le schermaglie di questa settimana indicano che una parte dell'Amministrazione non è ancora pronta a confrontarsi con i fantasmi del passato. Una parte della Amministrazione non vuole che siano resi pubblici i documenti sui crimini dell'ex dittatore Il segretario di Stato americano Madeleine Albright