Venezia, la casa dove Mozart conobbe Don Giovanni

Venezia, la casa dove Mozart conobbe Don Giovanni scoperte. Uno studioso ha identificato il vero palazzo in cui visse il musicista: vi abitava un nobile che ispirò il personaggio Venezia, la casa dove Mozart conobbe Don Giovanni VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Nel Calle dei cuori d'oro la gente, oggi, fa più o meno allegramente la coda per pagare le tasse all'esattoria della cassa di Risparmio, ma a metà del Settecento in quel palazzo, al primo piano, si pagava qualcosa di ben più importante, in un gioco di paura, seduzione, rassegnazione. Era la casa di Don Giovanni, anzi proprio del Don Giovanni reso immortale nell'opera di Mozart (e dai versi di Da Ponte). Un don Giovanni in carne ed ossa, a Venezia: un avventuriero il cui ricordo ispirò il capolavoro del grande compositore, che proprio in quel palazzo abitò nel 1771. Lo ha scoperto, dopo molte ricerche, un professore veneziano, Paolo Cattelan, direttore artistico della Fondazione Malipiero e docente di storia del canto a Cà Foscari, che quando ha cominciato le ricerche aveva un obbiettivo per così dire più limitato. Voleva solo trovare l'indirizzo esatto dell'abitazione di Mozart, rimasta per due secoli un mistero, anche se apparentemente un «piccolo mistero». I giorni in laguna, salvo la commissione di un grande oratorio metastasiano, non erano mai sembrati troppo importanti. Mozart aveva lasciato nelle sue carte l'indirizzo, ma era sbagliato, o almeno suonava come tale. Indicava una «Casa Cavalletti», di cui nessuno aveva mai trovato traccia, presso il ponte dei Barcaroli. Nel '71 venne posta una lapide su un edificio accanto al ponte, e ancor oggi i gondolieri ci fanno una sosta di qualche minuto per consentire ai turisti di leggerla. Siamo a due passi dalla Fenice, nella zona più battuta della città, fra laboratori artigiani, negozi di souvenir, seconde case e qualche veneziano doc che resiste. Mozart non fa una grande impressione, salvo quell'appuntamento fisso con la gondola, ci racconta la signora De Majo, che sta trasferendo il suo laboratorio di sartoria e non ha mai sospettato che la «vera» casa mozartiana fosse al di là della stretta calle della Frezzeria, sotto le sue finestre, e non dove ha sempre dato per scontato che si trovasse. In fondo, la lapide non è troppo lontana dal muro giusto. Ma la differenza è enorme: perchè rintracciando la «vera casa», Paolo Cattelan ha scoperto il vero Don Giovanni, che lì era vissuto, prima di fuggire inseguito da una condanna a morte, lasciando dietro di sé una leggenda nera raccolta da Mozart. I primi risultati della ricerca sono stati comunicati qualche tempo fa al convegno organizzato dalla Fondazione Cini sugli anni di Casanova a Venezia. L'indagine, basata sulla ricostruzione di una serie molto complicata di «false piste», era partita dagli studi (pubblicati nel '56) di Andrea Della Corte e Guglielmo Borblan sui soggiorni mozartiani in Italia. I due musicologi trovarono molto materiale su Milano e Bologna. Per Venezia, la cosa importante era un appunto (ritenuto del padre Leopold, in realtà di Wolfgang), dove si diceva: «Venezia alloggiato rio San Fantin al ponte dei Barcaroli in casa Cavalletti». Verniero sondati i registri parrocchiali, senza risultato. Alla fine si ipotizzò che avesse sbaglia- to nome, che la casa fosse di una famiglia Ceselletti e la faccenda fu archiviata. Una curiosità turistica, con lapide sul canale. Paolo Cattelan ha ricominciato a cercare i Cavalletti, poi ha lavorato sull'ipotesi che bisognasse correggere gli errori «da tedesco» di Mozart. Da Cavalletti andava perciò tolto il prefisso Cà (nel senso di casa) e quel che restava si poteva leggere con la fonetica del tedesco: quindi Falletti e non Valletti. E una Cà Falletti, in quella zona del ponte, nel '700 esisteva eccome. «Ho considerato che il nome non indi¬ casse necessariamente i proprietari ma venisse da un fatto memorabile» ci spiega. Il fatto memorabile c'era, legato al conte (o sedicente tale) Francesco Falletti, piemontese d'origine, condannato in contumacia dalla Serenissima perché libertino. Era un vero boss, nel quartiere dove si mischiavano aristocrazia decaduta, popolani, case da gioco, bordelli. Aveva protezioni molto in alto, era elegante, blasfemo, seducente, forse anche un po' lenone. La sua attività proseguì indisturbata fino a quando non si scontrò cor un anziano nobile, il cavalier Mozenigo «esecutore alla bestemmia», e cioè componente di una magistratura ormai priva di potere, che tuttavia riuscì a rovinarlo per un grave torto ricevuto. Quale? Non si sa, gli inquisitori della Serenissima tacciono. «Ci sono molti elementi del Don Giovanni - ci fa osservare lo studioso - sia nel conte sia nella contrada stessa, ristretta e affollatissima. Proprio come nell'opera. Per la quale Mozart chiese continui ri- tocchi, rispetto alla tradizione letteraria e melodrammatica del Don Giovanni, al libretto che gli preparava Da Ponte». Come se inseguisse i suoi ricordi? «Sappiamo che leggeva pochissimo, ma ascoltava moltissimo. E la storia del conte Falletti doveva essere ben viva nella memoria del quartiere dove abitò nel '71. Vent'anni dopo, l'opera fu per lui un "ritorno a Venezia". Anche attraverso citazioni che riconducono proprio agli Anni Settanta». Ma su questo, il professor Cattelan per ora tace. E ci rinvia a un libro (uscirà da Marsilio nel '99) tutto dedicato al rapporto tra il musicista e la città, ivi compresa la sua fortuna postuma e «segreta». Sottotitolo provvisorio: L'attesa di Penelope M. Sottotitolo enigmatico... «No, Penelope M. era in effetti una prostituta d'alto bordo dell'Ottocento realmente esistita. M. sta per Mozart». Che come un fantasma continuava ad aggirarsi per la città, magari affascinando quel Reynaldo Hahn (l'amico di Proust) tutto teso a riflettere sull'analogia tra la «forma-Venezia» e la «formaMozart». Hahn non poteva sospettare che c'erano riscontri alle sue fantasticherie. Né che proprio il conte Falletti, fuggito a Napoli, quando gli agenti della Serenissima tentavano di spaventarlo gridava nei banchetti (è tutto agli atti, naturalmente) «Il cavalier Mozenigo deve morire, vecchio maligno, vecchio odioso». Pare di vedere in queste invettive il tema del convitato di pietra, il «vecchiaccio» deriso con l'invito al banchetto, che si prenderà la sua esemplare rivincita. Non sappiamo come sia finita per Falletti. Se abbia mai più incontrato il suo senatore. Certo, quel Don Giovanni in carne ed ossa si congeda da noi con un grido becero e furibondo che è davvero in tono col suo personaggio, e sta anch'esso negli atti di polizia, trascritto proprio così, due versi di otto sillabe: «Mi daranno i veneziani delle barbe nel didietro!». Il linguaggio è un po' arcaico, la metafora non s'usa più, ma il senso si capisce benissimo. E la metrica è quella del Dora Giovanni. Mario Baudino Elegante, blasfemo e un po' lenone il sedicente conte fu condannato come libertino E' l'antica Ca ' Falletti che vide nel 700 le gesta d'un avventuriero piemontese Il palazzo in Calle dei cuori d'oro a Venezia identificato come la residenza di Mozart nel suo soggiorno in Laguna