Diritti umani, ma anche doveri

Diritti umani, ma anche doveri La solenne dichiarazione il 10 dicembre 1948 a New York, ma nel sistema internazionale mancano le condizioni per farla applicare Diritti umani, ma anche doveri — TORICAMENTE, il riconoscimento pubblico dei diritti dell'uomo è avvenuto alla fine del '700. C'è I chi ha scritto: «E' indubbio che i diritti dell'uomo sono una delle più grandi invenzioni della nostra civiltà». Perché «invenzione», anche se io preferirei la parola «innovazione»? Mi spiego. Affermare che l'uomo ha dei diritti precostituiti all'istituzione dello Stato significa rovesciare completamente il punto di vista dal quale sono stati considerati per secoli dai grandi scrittori politici del passato i rapporti tra governanti e governati. Questi rapporti possono essere considerati, come ho detto più volte, ex parte principis o ex parte civium. Tradizionalmente sono stati considerati ben più dal primo che non dal secondo punto di vista, voglio dire più dal punto di vista dei diritti dei governanti, di cui il più alto è la sovranità o jus imperli, che non dal punto di vista dei governati, cui sono stati attribuiti prevalentemente dei doveri, tra i quali preminente il dovere di ubbidire alle leggi dello Stato. Con le dichiarazioni dei diritti il rapporto è stato rovesciato. Il diritto e il dovere sono due concetti che si richiamano l'uno con l'altro. Non c'è diritto senza un corrispondente dovere. Nel case in cui a un diritto non corrisponde un dovere, i giuristi parlano di jus imperfectum, come è imperfetto il diritto del mendicante, per fare un esempio di scuola, di ricevere l'elemosina. Diritto perfetto si ha solo quando al diritto dell'uno, come ad esempio il diritto di possedere un bene qualsiasi, corrisponde il dovere di tutti gli altri (erga omnes) di rispettarlo. Quando si afferma che le dichiarazioni storiche dei diritti rappresentano una vera e propria «rivoluzione copernicana», nel tradizionale modo di trattare i rapporti tra governanti e governati, si vuole mettere l'accento sul fatto che d'ora innanzi l'attenzione si è spostata dal diritto del sovrano di obbligare i suoi sudditi al diritto del cittadino nei riguardi del sovrano di rispettare i diritti fondamentali, la cui esistenza non dipende da una concessione dall'alto e perciò sono stati chiamati diritti «naturali» o addirittura «innati». Quando si legge nell'art. 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo che «gli uomini sono nati liberi ed eguali», il che significa che hanno 2 diritto fondamentale di non essere oppressi e di essere trattati senza discriminazioni, ci si rende subito conto che questa affermazione implica alcuni doveri di chi detiene il potere, tra cui quello, ad esempio, di non impedire la libera espressione del pensiero o quello di far rispettare il principio che «la legge è uguale per tutti». E' un fatto però, di cui abbiamo esperienza ogni giorno, che la maggior parte degli Stati (si potrebbe anche dire tutti, chi più, chi meno) non rispetta questi doveri, anzi li viola sistematicamente. Che cosa succede in que- sto caso? La risposta a questa domanda è il grande problema del nostro tempo, potremmo dire è il primo e grande problema che si affaccia immediatamente agli uomini del terzo millennio. Proprio perché i diritti fondamentali non sono per lo più rispettati dai singoli Stati, spesso si ascolta l'accusa che la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo è stata puramente e semplicemente una illusoria formulazione di «pii desideri». Nel sistema internazionale, qual è attualmente, mancano le condizioni necessarie e sufficienti perché possa avvenire la trasformazione dei diritti in senso debole in diritti in senso forte, o con un'espressione inglese, intraducibile in italiano, la trasformazione dei «Moral rights» in «legai rights». Queste condizioni sono principalmente due: 1. affinché il riconoscimento e la protezione di pretese o richieste contenute nelle varie dichiarazioni di diritti, che si sono succedute in questi anni, prove¬ nienti da organi del sistema internazionale siano riconosciuti dovrebbero essere considerati condizione irrinunciabile per l'appartenenza di uno Stato alla comunità internazionale; 2. la mancanza, o meglio l'insufficienza, nel sistema internazionale, di un potere comune tanto forte ed acconsentito da prevenire o reprimere le violazioni dei diritti dichiarati nelle carte costituzionali di quasi tutti i Paesi, anche di quelli che sono di fatto governati dispoticamente. Non è un caso però che in una conferenza svoltasi recentemente a Valencia, intitolata Programma per il Terzo Millennio sia stato elaborato un progetto, ancora in fase di discussione, di Dichiarazione sui doveri e sulle responsabilità, che si rivolge principalmente, se non esclusivamente agli Stati. Anche questo è un «segno dei tempi». Peraltro anche per questi doveri si pone la stessa domanda relativa ai diritti: chi è in grado di farli rispettare? Anche rispetto a questi doveri si può per ora rilevare la stessa distinzione tra «moral duties» e «legai duties». Che alle carte dei diritti degli individui si venga contrapponendo una carta dei doveri degli Stati, è logicamente corretto e storicamente di grande attualità. Che oggi ci sia una tendenza degli organi internazionali a trasformare diritti e doveri potenziali in diritti e doveri attuali, è innegabile. So bene, e l'ho detto più volte, che la storia umana è ambigua. Quale sia la sua direzione, verso il meglio o verso il peggio, è imprevedibile. Che vada verso il meglio, però, non è soltanto un auspicio o una speranza. E' anche un impegno. Un impegno degli «uomini di buona volontà». Uomini di buona volontà da additare ad esempio siete voi che avete istituito, per la prima volta nel nostro Paese, una scuola superiore dei diritti umani, così come gli alunni che l'hanno prescelta col proposito di dare il loro contributo alla soluzione di quello che ho chiamato il problema dei problemi del terzo millennio. C'è molto da fare, alcuni anni fa ho scritto, e non ho ragione, nonostante il tempo trascorso, di cambiare idea. A chiunque si proponga di fare un esame spregiudicato dello sviluppo dei diritti dell'uomo dopo la seconda guerra mondiale, consiglierei questo salutare esercizio: leggere la Dichiarazione universale, e tutte quelle che sono seguite nei singoli Stati e nell'ordinamento internazionale. Sarà costretto a riconoscere che, nonostante le anticipazioni illuminate dei filosofi, le ardite formulazioni dei giuristi, i nobili e coraggiosi sforzi degli uomini di buona volontà, il cammino da percorrere è ancora lungo. Tanto lungo da essere indotti a ritenere che la storia umana, per quanto vecchia di millenni, paragonata agli enormi compiti che spettano soprattutto ai giovani che si affacciano al secolo venturo, sia appena cominciata. Norberto Bobbio

Persone citate: Moral, Norberto Bobbio, Valencia

Luoghi citati: New York