Boeing precipita a Wall Street di Franco Pantarelli

Boeing precipita a Wall Street La crisi asiatica entra nell'economia americana. Il titolo perde il 18 per cento Boeing precipita a Wall Street II colosso taglierà 48 mila posti NEW YORK. La Boeing ha annunciato ieri 20.000 nuovi licenziamenti da effettuare entro due anni. Con i 28.000 già annunciati tempo fa saranno dunque 48.000 (su 238.000) i dipendenti della compagnia che entro la fine del secolo usciranno dalle loro fabbriche per l'ultima volta. E' è il più massiccio esodo di questo periodo e la notizia ha subito avuto le sue brave ripercussioni a Wall Street. A metà giornata, ieri, il titolo Boeing aveva perso il 18 per cento del suo valore, e poiché quel titolo è uno dei principali nella compilazione dell'indice Dow Jones, le sue disavventure si sono immediatamente riverberate sul resto. L'«orso» è subito uscito dalla sua tana e quando mancavano un paio d'ore alla chiusura il Dow Jones era sotto di 150 punti e le prospettive erano di una nuova giornata «nera». Proprio per questo concatenarsi di eventi, la vicenda della Boeing veniva vista un po' come l'ingresso ufficiale della «crisi asiatica» nell'economia americana. La ragione dei licenziamenti decisi che la Boeing ha fornito è infatti che essendo venuti a mancare alcuni dei suoi principali compratori, le compagnie aeree asiatiche, era costretta a ridurre la produzione. I 54 aerei al mese che escono dai suoi impianti di Seattle e da quelli che ha in California, nel Missouri, nel Kansas e in Pennsylvania dovranno essere ridotti entro il Duemila a non più di 35 perché non ci sarà una richiesta sufficiente. Preoccupante per l'occupazione americana? Di sicuro si sa che i «programmi di snellimento» delle grandi aziende sono ormai diventati una conseguenza automatica delle grandi fusioni cui si assiste in questo periodo. A ogni nuovo «gigante» che nasce, migliaia di persone restano senza lavoro, perché lo scopo principale delle fusioni è proprio quello di risparmiare sulle spese. L'ultima grande operazione, la fusione fra Exxon e Mobil perfezionata proprio l'altro ieri, si calcola che comporterà 9000 licenziamenti. Finora la cosa non ha avuto effetti sui grandi numeri (la disoccupazione negli Stati Uniti è ancora al di sotto del 5 per cento, contro il 10-12 dei Paesi europei), perché il mercato del lavoro è stato in grado di «assorbire» quelle per- dite. Ma non è detto che le cose continuino così. Accade infatti che i nuovi posti sono quasi sempre meno qualificati, e quindi peggio pagati, di quelli perduti. Chi viene licenziato, cioè, un nuovo lavoro 10 trova ma con mia paga più bassa. Una condizione frustrante per chi è costretto a compiere 11 «passo indietro», ma anche una situazione suscettibile di avere alla lunga degli effetti. Se chi lavora ha meno soldi compie meno acquisti, e se la cosa riguarda migliaia e migliaia di persone diventa un fenomeno destinato a rattrappire la «domanda», con la conseguente diminuzione di produzione (proprio come è accaduto alla Boeing, ma stavolta riguarderebbe il mercato interno) e il suo inevitabile corollario di licenziamenti. Se questo sia l'inizio di una «spirale» destinata a far finire il boom americano di cui l'amministrazione Clinton si vanta ormai da anni nessuno lo può dire ed anzi nessuno lo dice, ancora. Ma certo il timore che sia proprio questa la realtà che si prospetta c'è ed è innegabile. Franco Pantarelli Harry Stonecipher, presidente Boeing

Persone citate: Clinton, Harry Stonecipher

Luoghi citati: California, Kansas, Missouri, New York, Pennsylvania, Seattle, Stati Uniti