Apo applaude: «Risultato giusto»

Apo applaude: «Risultato giusto» Apo applaude: «Risultato giusto» «Ma non sono più tifoso del Galatasaray» y ROMA NA partita di calcio è divenuta un caso politico proprio a causa sua, e ha finito per rivoltare il suo cuore di tifoso. «Io sono stato un sostenitore del Galatasary per trentatre anni - racconta Ocalan -, ma stasera non ho potuto tifare per la mia squadra; i turchi hanno caricato questa sfida di un significato preciso nei miei confronti, e tifare per il Galatasary stasera significherebbe tifare contro di me». Forza Juve allora? «Secondo la gente stasera è la Juve che mi rappresenta però no, non posso dire forza Juve». Insomma, il tifoso che si nasconde dietro il leader della rivoluzione curda non; ce la fa a cambiare bandiera all'improvviso: «Non ho mai visto una partita con la tranquillità di stasera; non tifo per nessuno». E pensare che Ocalan è - era? un tifoso davvero accanito del Galatasary. «Ho cominciato quando ero ancora un ragazzino - racconta «Apo» che oggi ha 49 anni - e alcune volte, negli anni Settanta, sono anche andato a vedere il Galatasary allo stadio». Era talmente tifoso, «Apo», che tre giorni dopo il suo arrivo in Italia, quando era ancora detenuito nell'ospedale di Palestrina, mentre scriveva lettere a D'Alema e al papa, ha visto in tv la Romna che sconfiggeva la Juventus, e si è entusiasmato scoprendo che ad aver vinto era la squadra giallorossa, quella con gli stessi colori della sua. Venti giorni dopo è tutta un'altra musica: non ce la fa a tifare in- sieme a quelle migliaia di turchi che fischiano la Juve pensando a lui e al governo italiano che non lo vuole consegnare al loro governo e ai loro tribunali. «Quando ho deciso di venire a Roma - confessa «Apo» - sapevo che ci sarebbe stata dopo poco la partita con la Juventus, e ho anche pensato che col mio arrivo si sarebbero creati dei problemi, che l'incontro si sarebbe caricato di significati politici. Ma non è che per questo potevo tornare sulla mia decisione». Ocalan guarda la partita tramessa dalla tv curda, e la voce dei cronisti non riesce a coprire i fischi che arrivano dal pubblico ogni volta che uno juventino tocca 5 pallone. Sono fischi contro «Apo», ma lui non commenta. Non vede gli striscioni contro il pkk esposti sulle gradinate, il regista inquadra so¬ lo il campo. Ma durante l'intervallo la tv di Istanbul trasmette un servizio sui motivi del rinvio, e fa vedere le manifestazioni anti-italiane dei giorni scorsi, turchi che incendiano tricolori e danno fuoco a frigoriferi di marca italiana. Ocalan guarda e sorride: «Sono proprio dei fessi». I telecronisti non lo dicono, ma il capo del pkk sa che due ministri del governo italiano hanno accompagnato la Juventus. «Sono andati là per favorire il dialogo con la Turchia - dice -, e quella è la linea giusta». Poche ore prima, alla Camera, D'Alema ha espresso l'augurio che questo incontro di calcio potesse essere un momento di distensione, e «Apo» è d'accordo: «Lo spero anch'io. Penso che quella di D'Alema sia la linea giusta; se si va avanti così credo che si riuscirà a trovare una soluzione». La soluzione del suo caso, in realtà, non sembra tanto vicina, ma adesso il vecchio appassionato di calcio preferisce gustarsi la partita. Nel secondo tempo arriva il gol di Amoruso, «Apo» sorride ma non esulta. Poi i turchi spingono, e quando agguantano il pareggio, nei minuti di recupero, dice: «In fin dei conti il pareggio è giusto». Stavolta è un commento tutto tecnico, non più politico: «E' giusto perché nessuna delle due squadre s'è dimostrata più forte. I giocatori turchi sono molto individuahsti e poco intelligenti; quell'Hakan lì è proprio un incapace, in Turchia lo sanno tutti e quando giocava in Italia, col Torino, lo chiamavano lo scemo d'Italia». E della Juventus, che ne pensa Ocalan? «Che non è più la Juve di una volta», risponde il leader rivoluzionario che negli anni Ottanta, quando già combatteva a capo del- le sue trupope sulle montagne del Kurdistan e poi dai Paesi che l'hanno ospitato, trovava il tempo per seguire le gesta della Vecchia Signora. «Mi ricordo di quando ci giocavano Platini, Cabrini e Paolo Rossi; allora era davvero forte, oggi le mancano calciatori come quelli». Giocava a calcio anche Ocalan, da giovane. «Non ero nemmeno tanto male - dice -; di recente ho visto i filmati di alcune partite a cui ho partecipato, e mi sono paciute. Anzi, secondo me anche adesso potrei giocare bene, e mi piacerbbe fare una partita con voi italiani. Quelli sopra quarant'anni, però...». Juve-Galatasary ormai è finita, e prima ancora dei cronisti Abdullah Ocalan, l'uomo-simbolo della lotta per l'indipendenza curda, si congratula per il pareggio che può aiutare la pace e fa i conti della classifica in Champions league: «La Juve può andare avanti solo se fa mia goleada contro il Rosenborg, e deve sperare che l'Atletico Bilbao batta il Galatasary». Tanto ormai, se i turchi dovesero perdere, «Apo» non se la prenderà più come avrebbe fatto una volta. Giovanni Bianconi li leader del Pkk ha seguito la partita in tv Commenti tecnici e battute politiche: «Il pareggio può aiutare la pace», «Quell'Hakan è un brocco» «La Juve? Non è più quella di una volta Le mancano giocatori come Platini. Da giovane neppure io ero male» La Juve all'arrivo allo stadio A sinistra il leader curdo Ocalan