Le strade piene di soldati come nei giorni del golpe di Mimmo Candito

Le strade piene di soldati come nei giorni del golpe Le strade piene di soldati come nei giorni del golpe NELLA CITTA' BLINDATA AISTANBUL LLAH sia lodato comunque», gridò Aleattin dentro la pioggia, e si reinfilò il cappuccio in testa. Era quasi mezzanotte, faceva un gelo che neanche i cani, e lui pensava che però l'occhio dell'Onnipotente dovevano proprio averlo oscurato tutti quei nuvoloni che giravano per il cielo; «Allah sia lodato comunque», disse ancora. La giustizia, alla fine è vero che non è una cosa di questa terra, si raccontava lui, per consolarsi. Fuori dallo stadio, nella notte buia, Costantinopoli mostrava contro il cielo i minareti di Solimano. Già il caffè del mattino, per Aleattin Salman, che vende zafferano e menta e pistacchi al Gran Bazar, era stato di quelli forti, senza zucchero. Il telegiornale d'apertura, alle 8, l'aveva visto con il cuore che gli andava in gola: il notiziario aveva parlato quasi per intero della storia di questa gara e l'avevano raccontata proprio bene, che pareva una bellissima telenovela, coni buoni che si capiva subito chi erano e anche i cattivi. I buoni avevano i baffoni neri, e parlavano di cose che capiva perfettamente, mentre gli altri, i cattivi, parevano proprio dei signorini senz'anima (e senza fegato). Aleattin ieri non sarebbe andato, nella botteguccia del Buyuk Carsi, ci aveva mandato Hasan, il figlio. Lui è un ultra del Galatasaray, da sempre, e ieri gli toccava d'obbligo dedicarsi per intero ai ragazzi del suo cuore: da un mese aspettava questo santo giorno, figuriamoci se lo mancava. Uscì bardato per il suo D-Day, con la sciarpa giallorossa, i guanti bicolori, il piumino rosso abbottonato fino al collo e la bandiera turca che gli spuntava dal taschino. «Oggi vinceremo», si disse. «Allah lo vuole». Prima di andare allo stadio Ali Sami Yen, si fermò a far quattro chiacchiere con il suo edicolante, che sta all'angolo di Bage Sokak ed è un bravo figliolo. I giornali avevano titoli a tutta pagina, come si deve per un avvenimento nazionale. «La prova più grande», titolava a tutta pagina Hurriyet, e sotto: «Il mondo ci guarda». Ad Aleattin, gli si gonfiò il petto d'orgoglio, la Turchia è una grande nazione pensò, e in fondo una partita è anche una sfida tra paesi. Lo Yeni Yuzil aveva invece un titolo che gli suonò strano: «Battiamoli sul campo ma non perdiamo fuori». Lo lesse e lo rilesse, poi pensò che son cose di politica, e lasciò perdere, mentre prese subito in mano il Sabah, quello sì fatto bene: tutta la prima pagina squillava di rosso che pareva proprio la bandiera turca, e i titoli erano scritti in giallo e Aleattin decise che quel giornale oggi lo avrebbe comprato, insieme alla sua solita copia quoti- diana del Fanatik. «La Turchia è fiera di voi», diceva il Sabah. Aleattin era contento di questo titolo, non c'era solo lui a pensare che con gli italiani si sta combattendo una guerra e fanno bene i giornali a ricordarlo alla gente. Soltanto quelYEvrensel, che ha sempre un occhio di riguardo per i curdi mostrava un distacco imbecille: il suo «Il Galatasary vicino ai quarti di finale» sembrò perfino un po' sfottente, ad Aleattm. Arrivò allo stadio che erano le 10,30, e già tutti i suoi amici erano lì ad aspettarlo, con le bandiere, i tamburi, le trombe, e gli striscioni. Uno era anche scritto in inglese, che lo capisse tutto il mondo: «Juventus, benvenuta all'inferno». La polizia pareva come quando c'era stato il colpo di stato del generale Evren, che le strade di Istanbul erano piene di soldati e di carri armati; questa volta i tank non c'erano, ma quei 22.031 agenti di cui aveva parlato il tg dovevano proprio essere tutti lì, con i cani, i grandi scudi di plastica, i bastoni, e la faccia brutta che te la fai addosso se ti prendono. Per arrivare allo stadio, lui aveva dovuto fare un giro incredibile, e prendere due autobus invece del suo solito: c'erano un sacco di strade ch'erano state chiuse al traffico, per farci passare quei fifoni d'italiani, e a lui anche questa pareva un'esagerazione. Non erano Clinton, alla fine. In aria comunque girava un elicottero, e gli agenti ti perquisivano fin dentro le scarpe già 200 metri prima dello stadio: ti toglievano di dosso ogni oggetto di metallo, perfino la pernia del Galatasaray. E l'accendino. Esagerati. Lo stadio, quando alle 2 finalmente aprirono i cancelli, era già pieno di poliziotti: s'erano presi le prime tre file che pareva la festa invernale dell'accademia di polizia, e in più lungo i bordi del terreno di gioco c'erano tutti gli altri con i cani, l'elmetto bianco, e anche la mantella nera addosso perché ormai stava quasi per piovere. Era davvero la guerra, pensò Aleattm. Entrare era stata già un'impresa: bisognava passare uno alla volta, toccati e palpati dentro un vero corridoio umano di poliziotti, e, in ultimo, c'era anche una porta metal-detector che suonava anche solo per l'orologio che uno aveva al polso. E comunque per tutto il pomeriggio, e anche quando era calata la notte, gli elicotteri - che erano diventati due giravano sulla testa che parevano due uccellacci neri. Quando gli italiani erano entrati in campo, che la gente pareva impazzita, lui e i compagni avevano allora cantato a tutta voce quella frase divertente che due turisti italiani avevano insegnato ad Aleattm un giorno al Bazar, e che ora tutti avevano imparato da due settimane, quella che diceva «fankulu» e tutti ridevano. Se la ripeteva a bassa voce, ora, mentre usciva lentamente dall'Ah Sami Yen. E non sapeva se ridere ancora. Mimmo Candito Tante vie chiuse al traffico, elicotteri in volo sullo stadio E Je prime tre file occupate dagli agenti

Persone citate: Ali Sami Yen, Clinton, Evren, Sami Yen, Solimano

Luoghi citati: Aleattm, Citta' Blindata Aistanbul, Costantinopoli, Istanbul, Turchia