Il rebus del grande accusatore di Fra. Gri.

Il rebus del grande accusatore Il rebus del grande accusatore Erik continua a cambiare versione FROSINONE DAL NOSTRO INVIATO «Qui ci vogliono gli psicologi, non gli investigatori». Con un soffio di voce, l'avvocato Antonio Chianta, legale di Erik il peruviano, commenta l'ennesimo colpo di scena di quest'inchiesta. Lui conosce bene la vicenda perché è da undici giorni - da venerdì 20 novembre, addirittura prima della scoperta del cadavere di Mauro - che assiste il ragazzo. E si è abituato alle continue piroette, giravolte, contraddizioni che Erik sta imponendo al lavoro degli inquirenti. Ieri all'alba Erik è stato portato in carcere. La sua posizione di «prezioso testimone», per stare alle parole del procuratore capo Gianfranco Izzo, s'è aggravata drammaticamente. Ha confessato di aver partecipato attivamente all'omicidio del bambino. Ammette di essere sceso anche lui dall'auto che li aveva portati tutti al boschetto della morte. Anche lui si è inoltrato nella boscaglia. Anche lui, forse, ha colpito l'amichetto alla testa. Ha persino disegnato su un foglio bianco che il procuratore gli porgeva, l'arma del delitto: una mazzetta da muratore, 5 kg di ferro e un corto manico. Il caso dovrebbe essere chiuso, a questo punto. Invece no. Perché in undici giorni Erick ha raccontato infinite versioni agli investigatori. Una volta erano in sei, poi cinque, poi quattro, poi di nuovo sei. Una volta ci sono i giostrai, un'altra volta no. Una volta partecipa al summit dove si decise l'esecuzione, un'altra volta glielo comunicano in piazza. «Dice che c'è un mandante. Ma quando gli chiediamo i particolari va in tilt», rivela il magistrato. Una sola cosa torna sempre: la pre¬ senza di Claudio e Denis, i suoi amici di rione, i soli che in questi 5 anni - da quando la madre ha lasciato il Perù ed è venuta a Piedimonte - gli hanno dato spago. «Era un solitario», ricordano all'istituto tecnico industriale di Cassino, dove Erik frequentava la quinta, specializzazione in meccanica. «Uno che si vantava un po' troppo delle sue conquiste femminili», dice Danilo, suo compagno di classe. E un altro: «Qui non ha mai avuto una fidanzata». Anche Erik vive in un complesso di case popolari. Frequentava la piazzetta del rione Gescal. Studiava e lavorava. Saltuariamente dava una mano in una pizzeria di Cassino. Racconta il titolare, Paolo: «Venerdì mattina, intendo il 20 novembre, lo incontrai in strada. Mi chiese un passaggio fino ai carabinieri. "Per via di quel bambino che è scomparso", mi disse. "Ho già testimoniato ieri. Ma ho detto di aver passato il pomeriggio con certe persone. Poi ho incontrato uno di quelli che avevo nominato. Lui ha detto cose diverse. Vado in caserma a cambiare la mia testimonianza". Lo guardai come fosse un marziano. Come sarebbe a dire che cambi la testimonianza? E' una cosa seria. Ma lui non si rendeva conto. Continuava a dirmi: "Sto cinque minuti e poi me ne vado"». Quel venerdì, e il corpo di Mauro ancora non era stato trovato, Erik uscì dalla caserma all'una di notte. Furono quindici ore di interrogatorio. A un certo punto chiamarono l'avvocato Chianta perché stava rivelando che il bambino era morto. Cominciò quella volta la serie delle sue innumerevoli versioni. E i carabinieri si convinsero che c'entravano anche Denis e Claudio. La sera dopo, i telegiornali informano l'Italia che il corpo è stato ritrovato. Si soffermano sul particolare che il bambino era seminudo. «Dissi - ricorda Umberto, l'altro titolare della pizzeria - che sicuramente c'era di mezzo un maniaco. Erik era vicino a me e rispose: "No, qui il maniaco non c'entra". Mi colpì la sua sicurezza». [fra. gri.]

Persone citate: Antonio Chianta, Gianfranco Izzo, Piedimonte

Luoghi citati: Cassino, Frosinone, Italia, Perù