D'Alema e i giornali, lite sulla pubblicità di Aldo CazzulloGiuliano Ferrara

D'Alema e i giornali, lite sulla pubblicità QUOTIDIANI SOTTO ACCUSA D'Alema e i giornali, lite sulla pubblicità 7/premier critica una inserzione anti-Pkk ROMA. «Ripigliatevi i vostri soldi; io non accetto l'elemosina da chi insulta il mio Paese». I direttori italiani avrebbero dovuto l'are come il «piccolo patriotta padovano» di De Amicis? «Ho provato una certa amarezza nel vedere le pagine di alcuni grandi giornali vendute al governo turco per insultare l'Italia», dice Massimo D'Alema, ieri mattina, ai microfoni di «Radio Anch'io». «Non capisco: in quell'annuncio ci sono dati, non insulti - replica Ezio Mauro, direttore di "Repubblica", uno dei giornali che hanno pubblicato la pagina pubblicitaria di Ankara -. D'Alema si è probabilmente sbagliato. La Turchia non è una tribù di fuorilegge; ha diritto di esprimere le sue posizioni. Quel che pensiamo dei suoi errori nel caso Ocalan l'abbiamo scritto. E abbiamo rifiutato due annunci con addebiti offensivi verso persone (non italiane) indicate per nome; respingere anche questo sarebbe stata censura». «Come altri giornali - spiega Marcello Sorgi - La Stampa ha operato una scelta: pubblicando un annuncio che, pur con¬ tenendo un messaggio di parte, è trasparente e lascia intendere chiaramente a quali interessi risponde. Un annuncio del genere non c'era ragione di rifiutarlo. Altri, che potevano risultare offensivi, sono stati respinti». Il direttore del «Foglio» Giuliano Ferrara va oltre: «Ai giornali non si può chiedere di essere patriottici». E Vittorio Feltri («Il Borghese»): «Sento eco di Ventennio e di campagna contro i disfattisti». Ma Alessandro Curzi di «Liberazione» difende D'Alema e invita i colleghi a prendere esempio dalla Rai: «Mi risulta che abbia respinto quella pubblicità; una decisione del genere può averla presa solo Pierluigi Celli» (ma all'entourage del direttore generale della Rai «non risulta nulla del genere»). Ancora Curzi: «Mi addolora che un giornale progressista come "Repubblica" abbia pubblicato lo stesso giorno quel l'annuncio e un'intera pagina su un dossier turco contro i curdi, dando l'impressione di cadere nella campagna di disinformazione di Ankara cui grandi giornali stranieri si sono sottratti». «Povero Curzi, abituato forse dalla scuola di radio Praga a non distinguere tra notizie e disinformazione - risponde Mauro -. Quel dossier era il documento che il governo turco ha presentato a quello italiano: anticipandolo abbiamo i atto il nostro mestiere». Una siringa o, in un'altra versione, itn proiettile puntati contro il volto di mi bambino. Accuse al Pkk, «un'organizzazione terroristica», riconosciuta tale «da Usa, Francia, Germania e Inghilterra», responsabile della morte di «5302 civili» e del traffico di tonnellate di eroina. Firmato: Camere di Commercio di Ankara. «Ho visto quella pubblicità. L'ho soppesata. E mi è parso giusto stamparla - racconta Ernesto Auci, direttore del "Sole 24 ore" -. La reazione di D'Alema mi ha sorpreso. Ho trovato l'iniziativa di Ankara corretta». «Non mi sarei mai aspettato questo insopportabile provincialismo da un brillante normalista - incalza Ferrara -. I giornali non hanno patria, da sem¬ pre si distinguono da Stati e governi. Il "New York Times" non pubblicava forse gli annunci a pagamento di Ho Chi Minh? Un leader che si presenta come vicepresidente dell'Internazionale socialista non può dire sciocchezze. D'Alema 10 preferisco in tv: alla radio pareva il "Capo del governo" di passata memoria». «Capisco i miei colleghi, ma io quell'annuncio l'avrei rifiutato. Potevano corredarlo con una scritta che prendesse le distanze - replica 11 direttore dell'Unità Paolo Gambescia -. Il caso Ocalan è tanto delicato che anche un'inserzione può complicarlo. E i giornali devono tener conto degli interessi della collettività». «Non patriottici - chiosa Curzi -, ma neppure antinazionali». «D'Alema talvolta si dimentica di essere intelligente - attacca invece Feltri -. Pubblichiamo menzogne per indurre i lettori a comprare prodotti dimagranti, e dovremmo censurare dati che tutti conoscono?». Aldo Cazzullo Giuliano Ferrara direttore del «Foglio» a sinistra e Alessandro Curzi direttore di «Liberazione»