D'Alema: per me il caso è chiuso di Augusto Minzolini

D'Alema: per me il caso è chiuso STRATEGÌE DEL PREMIER D'Alema: per me il caso è chiuso «Blair solidale, ma abbiamo parlato d'altro» LONDRA DAL NOSTRO INVIATO Basta aspettare Massimo D'Alema fuori dal portone numero 10 di Downing Street, dopo l'incontro con Tony Blair, per scoprire che la missione di Lamberto Dini in Russia è servita a poco, che lì nessuno ha intenzione di riprendersi Ocalan. La risposta seccata che il premier italiano riserva a chi gli chiede motizie da Mosca, è più che esauriente: «Spero che Dini si sia occupato di cose ben più importanti di Ocalan». ' Così il primo tentativo di mollare la patata bollente curda ad un Paese terzo, è finito male. E a sentir le voci che giungono a Londra da Palazzo Chigi e dalla Farnesina altre iniziative simili sono abortite ancor, prima di. cominciare. Si era parlato della Norvegia, dell'Estonia, della Lituania, cioè di tutti i Paesi dove la presenza turca o curda è limitata. Ma invano, a quanto pare. E allora, si ricomincia da capo. Il governo italiano avrà fatto sicuramente una figura migliore di quello tedesco. Oggi dopo l'apprezzamento di Jospin, Aznar, Schròder, D'Alema ha avuto anche la «solidarietà» e il «riconoscimento» di Blair. Detto questo, non è riuscito a scrollarsi di dosso il fardello di Ocalan. Nessuno, al di là delle parole, ci aiuta. Per cui, in queste condizioni, a D'Alema non rimane che sdrammatizzare, sminuire l'intero caso, confidare nel tempo. Non per nulla il nostro premier esclude categoricamente di aver chiesto aiuto a Blair, o mediazioni da chicchessia. «La situazione - ha spiegato il presidente del Consiglio - è assolutamente tranquilla, non c'è un'emergenza drammatica. Con Blair non ne abbiamo neppure parlato, gli ho solo spiegato come stanno le cose ricevendo solidarietà. Stiamo tentando con la Germania di fare in modo che Ocalan sia sottoposto ad un processo equo. Soluzione inconsueta perché la via normale sarebbe stata l'estradizione alla Germania che non viene richiesta per ragioni note. Alla Turchia non si può concedere perché in quel Paese c'è la pena di morte. Se sarà possibile trovare una terza soluzione, bene. Altrimenti, quando sarà il momento, si deciderà tra l'asilo e l'espulsione». Addirittura il presidente del Consiglio va ancora più in là, arriva a dire che per il governo non esiste più un problema Ocalan. «Dal mio punto di vista il caso è risolto secondo i binari che sono stati individuati e il rispetto delle leggi. Capisco che in Italia questa idea di rispettare le leggi sia impopolare presso alcuni settori dell'opinione pubblica, ma io ad essa intendo attenermi rigorosamente». D'accordo niente drammi, caso risolto, ma malgrado D'Alema tratti la questione con tanta sufficienza, ancora non è in grado di dare una risposta all'interrogativo principale: quale sarà l'epilogo di questa storia. Sull'ipotesi di formare un tribunale internazionale, infatti, sia il governo italiano, sia quello tedesco continuano a brancolare nel buio. In un primo tempo si era lavorato sull'idea di crearlo all'interno del Consiglio d'Europa. Poi, si è tornati indietro, pensando che la Turchia, essendo presente in questo organismo, avrebbe potuto porre un veto. Problema, invece, che non c'è. C'è, però, chi è del parere che utilizzare l'Unione Europea sul caso potrebbe avere risultati più efficaci: in questo mo- do, infatti, oltre a creare le condizioni per un processo ad Ocalan, i Paesi della comunità potrebbero sviluppare un'iniziativa diplomatica più convincente sull'intera crisi curda. Siamo, però, ancora alle disquisizioni, alle dichiarazioni di intenti. E più si va avanti e più si ha l'intenzione che l'idea della Corte Internazionale sia un escamotage per guadagnare il tempo necessario per individuare il Paese che po¬ trebbe farsi carico di Ocalan. Inutile due che anche su questo punto, però, alla Farnesina non sanno che pesci prendere. Di fatto i giorni passano senza novità. Intanto la Turchia sta per inviare la documentazione che accompagna la richiesta di estradizione e alla fine potrebbe anche chiedere che Ocalan sia processato in Italia. Se non ci saranno colpi di ingegno o un po' di fantasia, insomma, si sta prospettando la so¬ luzione peggiore: rischiamo di tenerci a vita il fardello Ocalan. Questa impotenza dell'Europa nella soluzione di un caso simile, stride con le parole altisonanti che si sono sprecate anche ieri nell'incontro D'Alema-Blair sul futuro dell'unione: dopo aver messo in piedi una commissione italo-francese sul tema dell'occupazione, ieri il nostro presidente del Consiglio ha concordato con il primo ministro inglese l'istituzione di una commissione su una politica estera e della difesa comune per l'Europa. Grazie a tutto questo D'Alema può dire che «l'Italia ha un ruolo da protagonista nella costruzione europea non solo perché è membro dell'unione, ma anche perché ha una serie di rapporti bilaterali». Tante commissioni, però, non lo hanno aiutato finora a risolvere la vicenda Ocalan. Augusto Minzolini Nella foto grande D'Alema e Blair davanti al 10 di Downing Street A sinistra Ocalan A destra Dini con Primakov «Basta rispettare le leggi 0 si riesce a istituire una corte internazionale oppure quando sarà il momento si deciderà tra l'asilo e l'espulsione»