Con le ruspe a caccia dei tre cadaveri

Con le ruspe a caccia dei tre cadaveri Appena fuori Parma, il luogo dove Ferdinando ha sepolto i familiari: «Però non ricordo fosse così» Con le ruspe a caccia dei tre cadaveri Ma ilfiume ha cambiato la discarica scelta come tomba PARMA DAL NOSTRO INVIATO «Non mi ricordo, che questo posto fosse così», dice, quando sono le otto di mattina, Ferdinando Carretta, a fianco i carabinieri, davanti la discarica di Viarolo, appena fuori Parma, sulla strada che porta a Cremona. «Non mi sembra», conferma al magistrato che ha voluto il sopralluogo, dopo la confessione nella notte, nel posto che Ferdinando Carretta dice di aver usato per occultare il cadavere di suo padre Giuseppe, della madre Marta Chezzi e del fratello Nicola. «Che ho ammazzato io, a colpi di pistola. Un gesto di follia, ma non ce la facevo più», fa mettere a verbale, poche pagine, quando su Parma è ancora buio, quando non sembra ancora vero che un incubo durato nove anni, con ima famiglia scomparsa, possa finire nel modo più banale, un triplice omicidio confessato dal figlio maggiore. E la storia finisce qui, in questa ex discarica deposito di ghiaia e con il frantoio per la sabbia già in funzione, dove adesso si vede per aria l'elicottero dei carabinieri. Non ci sono escavatrici al lavoro, non ci sono uomini in divisa con le pale, non c'è niente che faccia immaginare una ricerca febbrile dei resti della famiglia Carretta. ((Alcune cose potrebbero essere cambiate in questi anni. Stiamo facendo delle verifiche...», non si sbilancia Francesco Saverio Brancaccio, il magistrato che coordina le indagini. Sulla sua scrivania c'è la confessione di Ferdinando Carretta e la mappa disegnata da lui stesso, pochi segni per indicare il luogo dove sotto appena un metro di rifiuti, giura di aver abbandonato i cadaveri quella notte. Ma la discarica non è più la stessa. E' chiusa dal '90, sopra ci sono tonnellate di rifiuti inerti e pure la ghiaia. Il Taro, quando è straripato, si è portato via un bel pezzo di terra. Di questa discarica che andava dal ponte sul fiume fino a Viarolo, dallo stradone per Cremona fino alla Al che si vede in lontananza, non c'è più nulla. Così come diventa impossibile pensare di recuperare quella Walther 6 e 35, che Ferdinando giura di aver usato contro la famiglia e poi buttato nel canale, vicino alla Certosa. Il canale viene dragato ogiù anno, la corrente è fortissima, porta lontano qualsiasi cosa. E allora di questa confessione che arriva nella notte, nella caserma dei carabinieri di via delle Fonderie, rimane solo il racconto che Ferdinando Carretta mette a verbale per tre ore. A partire da mezzanotte quando il gip Vittorio Zanichelli gli chiede di parlare della sua famiglia. Per arrivare alle 3 e 20 quando l'avvocato Filippo Dinacci annuncia: «Il mio assistito ha confessato. Aveva un peso psicologico che lo opprimeva». «Si è liberato da un peso», conferma Francesco Saverio Brancaccio. ((Adesso facciamo tutte le verifiche, non voglio dire altro, abbiamo finito alle 4 del mattino», si trincera dietro la stanchezza di ima notte il magistrato. E se c'è un dubbio, se la logica sembra spiegare poco quello che è successo quella notte del 4 agosto '89, se nel racconto del giovane c'è qualche falla, non è questo il momento di avere dei ripensamenti, almeno ufficialmente. A parte Gianfranco Petricca, comandante dei carabinieri qui a Parma, che magari solo per accademia preferisce lasciare aperta ogni ipotesi: «Stiamo lavorando, ma nessuno allo stato può escludere che i Carretta siano ancora vivi». «Ho ammazzato prima mio padre, gli ho sparato nel tinello mentre stava preparando i bagagli per andare in ferie», racconta Ferdinando Carretta. E in sequenza rivive il momento in cui arriva la madre urlando e spara anche a lei. Poi l'attesa per l'arrivo di Nicola, il fratello, che rientra poco dopo le venti di quel 4 agosto '89, «ammazzato perché era così legato a mio padre». I cadaveri, racconta Ferdinando di averli avvolti in fogli di cellophane. E poi di averli caricati sulla Croma del padre, a sedili abbassati, sopra appena una coperta. Un solo viaggio, verso la discarica, nella notte. Ma non nel posto che aveva prescelto. Lì c'è una coppietta, è una sera d'estate. Meglio non rischiare, meglio andare più giù, lungo questi chi¬ lometri e chilometri di spazzatura a cielo aperto. «Ci ha detto di essere uscito di casa alle tre del mattino, dopo aver ripulito tutto», racconta uno di quelli che ha raccolto la confessione. Ma alle telecamere di Chi l'ha visto? Ferdinando Carretta racconta di essere andato la notte dopo, il giorno dopo. Rischiando a tenere i cadaveri in casa? E perché nessuno ha sentito gli spari di quella pistola, anche se di piccolo calibro? Particolari tutti da verificare. Così come è da verificare la testimonianza di alcuni vicini, che ricordano le finestre aperte nella casa di via Rimini, quella notte, con Ferdinando affacciato. I cadaveri finiscono nella discarica, la pistola nel canale. L'otto agosto l'ultimo viaggio con il camper di famiglia, in via Are- tusa a Milano. Sul sedile, una copia della Gazzetta di Parma. L'unico vero depistaggio prima della fuga, per prendere tempo. Per levare di mezzo quel camper che doveva essere oramai in Nord Africa, per le vacanze di una famiglia che non c'era già più. L'ultimo atto prima della fuga verso Londra in treno, in aereo in Canada e negli Usa e poi ancora a Londra, dove Ferdinando Carretta è rimasto indisturbato per 9 anni. Chiuso nel carcere di Parma, in questa costruzione di cemento con gli alberi attorno, cella singola, isolamento assoluto, adesso arriveranno i periti che dovranno stabilire se è sano di mente. E da questa mattina, nell'ex discarica di Viarolo, inizieranno le ricerche con le ruspe. Fabio Potetti Rinchiuso in una cella di isolamento, sarà sottoposto a perizia per stabilire se è pazzo «Chissà cosa è passato nella testaccia di Ferdinando. Ma è sempre stato strano quel ragazzo» «Credo che sarà imbarazzante rivederlo ma sono anche curiosa di sapere perché lo ha fatto e anche come» La discarica di Viarolo, alle porte di Parma, dove sono stati sepolti i tre cadaveri. A sinistra: Ferdinando a Londra e, sotto, rgenitori* «**