Al bivio dei geni brevettati

Al bivio dei geni brevettati PRO & CONTRO Al bivio dei geni brevettati Fin dove è lecito «usare la vita»?. EJ giusto brevettare la vita? Ecco una delle domande che meglio dimostrano la difficoltà del rapporto tra scienza, industria e società. Da tempo ricorre con frequenza crescente e spesso suscita visioni di ricercatori che in combutta con imprenditori e avvocati tramano per sfruttare la vita e per sottrarla ad un suo sviluppo naturale, magari pilotato da una guida trascendente, o manipolato da un orologiaio cieco: in ogni caso non controllato dall'uomo, e con risultati visti nel complesso come buoni. Se poi quella cinica bramosia di profitto esclusivo, talvolta legata al concetto di brevetto, viene estesa ai geni, allora l'inconscia ribellione dell'uomo della strada assume toni da crociata: vi si vede un'offesa alle radici più profonde e sacre della vita, specie della nostra. «Brevettare la vita» presuppone l'usarla e, se si ritiene il brevetto un mezzo per regolare l'uso delle innovazioni che l'uomo riesce ad inventare, significa anche razionalizzarlo. Non ha senso condannare la razionalizzazione e approvare l'uso. Quindi la domanda giusta è: «Usare la vita?». E la risposta non può essere che affermativa. Senza l'uso della vita, la vita non esisterebbe, e neppure l'uomo. Brevettare la vita deve significare permettere a chi, in ernesto campo, inventi qualcosa utile, di disporre di un certo tempo (di norma 20 anni) per cercare di ricavarne un giusto ritorno economico (o meglio, per evitare che altri sfruttino il suo ritrovato a loro vantaggio). La prassi è vecchia di secoli, e funziona ancora. In questa prospettiva pare difficile contestare le richieste di brevetti sulla vita. Macelliamo milioni di animali al giorno. Se qualcuno inventasse una procedura per migliorare la qualità della carne, perché non si dovrebbe riconoscergli una qualche l'orma di proprietà intellettuale, ad esempio un brevetto? Operando sul vivente, le difficoltà, più che morali, sono tecniche: di un microorganismo, controllare l'uso è possibile; meno d'una pianta (le varietà sterili sono peraltro sempre più diffuse). L'antico diritto del contadiiio all'uso gratuito dei semi delle piante che a suo tempo aveva comprato e coltivato conserva valore quasi solo simbolico. E comunque oggi le piante hanno uno speciale statuto protettivo. Qui non si vuole difendere ad oltranza il brevetto. Il lato negativo del brevetto è che spesso, specie di recente, si tenta di ampliarne la portata, ad esempio a «scoperte» che rispetto alle «invenzioni» non devono rispondere a requisiti d'utilità commerciale ma di rilevanza scientifica. Se si fa ricorso ai brevetti per scoperte, s'invade il campo della ricerca di base: ne soffre il libero scambio d'idee, informazioni e dati, che l'alimenta. Ma ricordiamo anche che i brevetti hanno una durata limitata: nulla vieta di ridurla ancora se al detentore dà vantaggi eccessivi visti i suoi investimenti. Nel campo dei brevetti questi confuti sono emersi con particolare violenza nel settore dei geni e dei geni umani in particolare. Mentre la vita è un concetto semplice da capire intuitivamente ma non da definire scientificamente, nel caso dei geni abbiamo precise strutture e formule chimiche: sono molecole composte da varie sequenze di basi A, C, G e T, che formano tratti di Dna, con proprietà speciali: se queste ci sono (o, meglio, sono note), abbiamo dei geni. Non tutte le sequenze di Dna sono geni: nei mammiferi almeno il 90% del Dna non lo sono. Per cui anche la domanda «è giusto brevettare i geni?» è un po' retorica: non si vede infatti una base razionale per una risposta negativa. Non v'è ragione d'attribuire uno statuto speciale ai geni rispetto ai, si perdoni il gioco di parole, reni. Si brevettano le proteme, che sono molecole prodotte dall'attività dei geni. Ben vengano i brevetti, o altra forma di protezione dell'investimento di capitali e neuroni per chi li abbia usati con intelligenza: anche nel settore dei geni. Ma attenzione! Neppure le scoperte/invenzioni sui geni, per essere brevettabili, possono eludere i tradizionali criteri di novità, utilità, non ov¬ vietà, riproducibilità. La polemica qui è scoppiata perché da più parti, ad esempio dall'Istituto nazionale della Sanità Usa (Nih), si era depositata richiesta di brevetto per sequenze di Dna, di cui non solo non si poteva certificare che fossero geni, ma si ignorava persino l'utilità commerciale, data, ma non concessa, una loro qualche utilità fisiologica. A queste richieste seppure con titubanza, alla fine è stata negata, come giusto, la brevettabilità. Negli Stati Uniti, in Giappone e in Europa si tende a concedere brevetti a sequenze di Dna corrispondenti a geni a funzione nota e commercialmente sfruttabile, ad esemepio i geni che codificano l'interferone gamma o per la caseina A. Migliaia di geni sono già stati brevettati. Qui l'ufficio brevetti forse ha errato per eccesso di difesa: infatti oggi se si trovano geni codificanti proteine come quelle appena citate, se ne può brevettare il gene (che è una scoperta), oltre al prodotto, al processo di preparazione, all'uso (che sono invenzioni). Queste successive linee di difesa di una proprietà intellettuale, che spesso riguarda un unico prodotto finito, presentano validità logica e utilità pratica diverse, ma ridondanti. La linea alla quale si può rinuciare senza o con poco danno è la prima, quella che protegge il gene. Un gene codificante una proteina non è un prodotto finito, è un progetto, non è commerciabile e può, se liberamente studiato, generare nuove conoscenze e quindi nuovi usi. Brevettarlo significa contrastare questi potenziali sviluppi. Ben diversa è la situazione di quei geni, o sequenze di Dna cha hanno utilità in sé, che sono prodotti finiti commerciabili in quanto tali, non come progetti. In questa categoria rientrano sequenze regolatrici di attività geniche (per gli addetti: replicatori, promotori, ribozimi, antisenso...), sonde geniche per uso diagnostico e così via. A questi geni, verificato il rispetto dei criteri generali di brevettabilità, deve essere riconosciuto il diritto d'essere esaminati da competenti uffici brevettuali. Chi obietta che così si compromette la ricaduta tecnologica, ricordi che gli anticorpi monoclonali non vennero brevettati: a Kohler e Milstein che li scoprirono nel '76, venne qualche rimpianto, ma ebbero il Nobel; alla ricerca, anche a quella applicata, ne derivò un fortissimo stimolo; l'immagine della scienza ne trasse miglioramento; e vantaggio il pubblico. Il Cern non brevetta le sue scoperte nel campo della fisica e dell'informatica. Veniamo così ai geni «umani», il reale oggetto di molti timori. Siamo in attesa che, tra le tante scoperte che promette, il Progetto Genoma ci consenta anche di individuare geni veramente specifici dell'uomo: sarebbero quelli che ci differenziano dagli altri primati, che quindi dovrebbero esserne privi. Questi ipotetici geni realmente umani potrebbero arrivare al migliaio, su un totale di circa centomila: tanta è la differenza stimata, invero con criteri un po' rozzi, tra i genomi. Qualcuno parla di «geni dell'anima». Ma esistono davvero geni unicamente umani? Quanto sono distinti da quelli degli altri primati? Non è forse meglio parlare di genomi umani? Pare infatti che le differenze siano questione di quantità di certi prodotti e funzioni geniche e di loro connessioni, più che di qualità di specifici geni. Se è così, sarà molto interessante saperne di più, ma forse verrà meno quella sacralità che qualcuno vorrebbe presente nei geni umani. La vita non è sacra, i geni non sono sacri... Nulla di sacro quindi in natura? Certo ogni singolo individuo della specie Homo sapiens sapiens (in realtà d'ogni specie vivente a moderata complessità) possiede un genoma unico e irripetibile, che gli conferisce uno statuto speciale, ma che dà un carattere di inviolabilità e sacralità solo all'uomo, unico ad esserne consapevole tra gli esseri viventi. Ad esempio gli dà il diritto di non essere venduto, né in tota né in parte, e quindi, per tornare al nostro assunto, di non essere brevettabile. Vittorio Sgaramella Università della Calabria «Consentiamo a chi inventa qualcosa di utile nelle biotecnologie di trarne un giusto compenso» Clonazione Animali modificati geneticamente per ricerca medica

Persone citate: Kohler, Milstein, Vittorio Sgaramella

Luoghi citati: Calabria, Europa, Giappone, Stati Uniti