ADESSO SI LIQUIDA ANCHE IL RISORGIMENTO di Sergio Romano

ADESSO SI LIQUIDA ANCHE IL RISORGIMENTO I ADESSO SI LIQUIDA ANCHE IL RISORGIMENTO La storia dltalia rivista da Romano in corso nel mondo dei media - così almeno a me pare - una specie di guerra di successione per stabilire chi possa sostituire Renzo De Felice come referente obbligato del pensiero «revisionista» e come dogma storiografico rispetto a cui valutare le cose e chiamare a schierarsi. Gli allievi diretti sembrano essersi ritirati dalla contesa e avere scelto posizioni e ruoli più defilati rispetto all'arena dei media dove ogni giorno la storia del Novecento (e non solo) viene riscritta: tranne forse Francesco Perfetti, che ha fatto rinascere la rivista della scuola, spostandone l'asse ancora più a destra, riuscendo a farne tirature inusitate che consentono l'accesso alla vetrina e al pubblico delle edicole e ottenendo a ogni numero in uscita lanci inconsueti dalle redazioni amiche. Avrei detto, sino a poco fa, che Ernesto Galli della Loggia fosse il meglio posizionato - grazie alla sua doppia condizione di univer¬ sitario e di autorevole opinio nista - per assumere la leadership della successione defeliciana. Deve però essere accaduto qualche cosa negli ultimi mesi. Quella che agli occhi miei, come di altri, è un merito di Galli della Loggia, di avere impiantato una vasta e capillare collana dedicata a «L'identità italiana», aprendola lui stesso con l'omonimo volume, può forse averne fatto scendere le quotazioni presso tutti coloro ai quali {'«identità italiana» interessa solo per dire che non esiste, non è mai esistita, o per lo meno vacilla, è piena di piaghe, ha le croste. Gli andava meglio, qualche anno fa, La morte dellapatria, che teneva luttuosamente bordone al Rosso e nero di De Felice, nello sradicare dall'ordine del possibile - in odio a comunisti e azionisti - ogni rinascita alternativa dell'Italia dopo il naufragio dell'Italia fascista e, quindi, la Repubblica e la Costituzione. Adesso - dopo il lancio della collana del Mulino e il «libro-manifesto» a sua firma - qualcuno (Marcello Veneziani sul Giornale) va apostrofando Galli addirittura come «arcitaliano». E così, in questo momento il revisionismo più catastrofico e rovinoso sembrerebbe appuntare le proprie speranze piuttosto sul nome di Sergio Romano, che va avanti come un treno nel fare strame di miti, speranze, illusioni e passati. Ultima a venire affossata la visione antifascista di Franco e della guerra di Spagna. Anzi, non più ultima, perché non si sono ancora taciuti i rumori di questa campagna di guerra, e già suonano le avvisaglie di altre dismissioni e invìi di vecchie barbe in soffitta. Questa volta, a esser smontato tocca al Risorgimento: veramente nel suo libro Romano definisce logora dal 1945 (per il sormontare dei partiti «antirisorgimentali») ed esaurita dal 1976 ogni spinta propulsiva non proprio del Risorgimento, ma dell'«ideologia risorgimentale»; ma si sa come vanno poi queste cose, i giornali semplificano, i titoli amplificano e ciò che residua e fa testo è appunto questa generale aria di liquidazione. Eppure a Romano non sembrano ascrivibili propensioni leghiste. Più verosimile appa- re l'altra spinta «antitaliana» che entra in funzione in questi casi, cioè quella sovrannazionale e «mondialista», che nell'ex ambasciatore assume le fredde e pragmatiche vesti della geopolitica e della constatazione realistica. Quelle che gli permettono tante volte, come analista, di affermare con schiettezza verità crudeli che altrove sono attutite dalla pretesa di non far male o dalle convenienze. Così - in questa Storia d'Italia dal Risorgimento ai nostri giorni - quando parla dell'adesione alla Nato, come necessaria «dipendenza» in un «rapporto subalterno con l'alleato maggiore» (pp. 333-34). O provocazioni in stile, come quando sostiene che viene da Garibaldi se nel Dna italiano sta inscritto il gesto e il fascino del gesto; e di questi gesti e attese suggestionate di gesti ne allinea poi implacabilmente una serie, da quelli del D'Annunzio fiumano alla «derisoria» marcia su Roma, dalla regale autoambulanza per il Duce defenestrato alla Repubblica, sociale per giunta, montata su in pochi giorni come al «teatro d'opera» (pp. 22-23). E' una destra - come si vede - che il suo lucido mentore vuole impietosa persino con se stessa, esigua di riferimenti e si può dire senza padri: asettica, disinfestata da qualsivoglia infezione ideologica, spoglia di illusioni e di memorie. Molti quindi sono gli spunti interessanti e le angolature visive innovatrici che attendono il lettore di questo come di altri libri di Sergio Romano. Era nato in francese, nel '77, si è accresciuto ed è stato aggiornato per via, torna fuori adesso che il suo distaccato nichilismo può trovare un habitat e un mercato; il volume risente per forza di questa nascita plurima, è diverso il passo con cui vengono affrontati i vari momenti e lo spazio che vi è dedicato; noi però ci guarderemo dal levare il dito ammonitore perché l'autore non ha letto questo o non tiene conto di quello: è lui stesso a suggerire di non prendere troppo sul serio la sua bibliografia (p. 465). Così pure non ci fa velo, nel leggerlo e scriverne, il fatto che Romano non sia uno studioso universitario. E' successo altre volte, alla cultura universitaria, di arrivare tardi sui problemi. La prima storia del Risorgimento l'hanno scritta cent'anni fa ambasciatori come lui, politici, militari, ogni sorta di reduci impegnati a far politica con altri mezzi. Fra le tre o quattro storie che contano della prima guerra mondiale c'è quella del generale Bencivenga (la sta ristampando, e fa bene, l'editore Gaspari di Udine). Per non dire di tutto ciò che dobbiamo su guerre e dopoguerre alle ricorrenti ondate di diari e memorie di tanti non addetti ai lavori. Anzi, dunque: uno dei motivi d'interesse di questi libri di storia è di non essere stati scritti dai professori di storia. Il non-specialismo li accredita, rassicurando i lettori. L'autore, poi, è in questo caso ben più agguerrito ed esperto di un semplice compilatore e altro pregio - non indulge come usano fare costoro all'aneddotica, non personalizza e non romanza la storia con la scusa della appetibilità narrativa. Algido l'autore, algida la sua pagina. E però scrive bene e, a differenza di De Felice, si capisce sempre al primo colpo quello che scrive. Tutto il pubblico del «maggioritario» secco, già di destra e di centro, bisognoso di desertificazioni e di ripartenze, potrebbe trovarvi controassicurazioni e quadri interpretativi. Mario Isnenghi STORIA D'ITALIA DAL RISORGIMENTO Al NOSTRI GIORNI Sergio Romano Longanesi pp. 490 L 32.000 Lex ambasciatore fa opera di desertificazione afferma verità crudeli smonta miti e memorie con realismo geopolitico A destra: l'incontro di Garibaldi con Vittorio Emanuele II Sotto: Sergio Romano

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