Il fascino di Brecht: lirico puro, uomo cinico

Il fascino di Brecht: lirico puro, uomo cinico DALLA PRIMA PAGINA Il fascino di Brecht: lirico puro, uomo cinico di quella casa, ma con Peter Suhrkamp, il suo fondatore, era entrato in rapporti stretti a Vienna nel 1933, cioè dall'inizio dell' esilio che per lui sarebbe durato dall'indomani dell'incendio del Reichstag sino al 1948. Ma, a parte l'amicizia personale con il suo editore, sta di fatto che Brecht è per i tedeschi, e giustamente, uno dei più grandi loro «contemporanei», proprio nel senso in cui Kott usa l'aggettivo per Shakespeare. Nulla da obiettare, dunque, alla mastodontica impresa francofortese. Resta comunque sempre aperto il problema se di uno scrittore, anche della statura di Bertolt, si deve pubblicare tutto, proprio tutto. Non si può evidentemente generalizzare: né prendere esempio dal nostro Paese, dove le cosiddette Edizioni Nazionali dei grandi classici hanno la prerogativa d'essere avviate nella massima pompa (quasi sempre, con un comitato scientifico imponente, che accoppia per ragioni di pluralismo accademico superdotti e superincolti) per non esser poi ultimate, se non per seculorum secula. Bisogna, credo, giudicare caso per caso. In quello di Brecht sta, a mio avviso, a favore della tesi della completezza il particolare tipo d'esistenza di cui s'è appena detto. Brecht, dall'età di trentacinque anni alla cinquantina, fu «ovunque peregrino»: Vienna, Praga, Zurigo, Svendborg in Danimarca, Mosca, New York, Parigi: poi la Svezia, la Finlandia e di qui, via Mosca, gli Stati Uniti, dove visse sei anni, in condizioni certo non agevoli. Questa particolare vita errabonda giustifica la ricostruzione di un'opera che per ragioni evidenti finiva per essere dai continui spostamenti franta e frammentata. Ci sono poi ragioni intrinseche, legate a particolari settori della creatività brechtiana, che è opportuno, per i critici ma soprattutto per i lettori, rivisitare con particolare agio. Cinque volumi dell'edizione Suhrkamp, dal quindicesimo al ventesimo, sono riservati alle poesie, le Gedichte. Ora, se una scoperta s'è fatta, negli ultimi dieci anni, è che Brecht è un grandissimo poeta. Parlo proprio del lirico puro, non dell'autore dei peraltro assai suggestivi songs dalle opere teatrali. Ed è un poeta che cresce per pienezza e delicatezza espressiva verso gli anni maturi: le poesie del rientro in patria, quelle estreme della malattia hanno l'asciutta essenzialità e la trascinante forza emotiva propria degli antichi lirici greci. Non a caso, a Torino, nella casa editrice che dal 1951, grazie a Emilio Castellani, Cesare Cases e Franco Fortini, ha Brecht in esclusiva nel proprio catalogo, voglio dire la già ricordata Einaudi, si sta ripartendo proprio dalle poesie. Ai primi del 1999 uscirà nella Nuova Universale un volume di liriche, dal 1913 (cioè da un Brecht quindicenne) al 1933, a cura di Luigi Forte, con le vecchie versioni interamente riviste ed altre, nuove, di giovani traduttrici, Olga Cerato e Paola Barbon. Ma le lettere, occorrerà pubblicare in Italia anche le lettere? Sempre a mio giudizio, almeno un'ampia e motivata scelta, sì. Brecht era un uomo molto diverso da quello che certa agiografia laicomarxiana ha voluto per troppi anni farci credere. Era molto astuto, era tatticamente e nel senso buono del termine un cinico, qualche volta, specialmente con le donne, un gran egoista. Molti personaggi del suo teatro si capiscono meglio se si riflette a questi lati «oscuri» della sua personalità. Gli epistolari la dicono lunga sui segreti dello scrivente: provate a leggere quello di Manzoni e me ne direte qualcosa. Perché non concedersi la stessa indiscrezione anche con Brecht? Guido Davico Bonino Bertolt Brecht: sono approdati sul tavolo del leggendario amministratore delegato della Suhrkamp, Sigfried Unseld, i volumi 28, 29 e 30 della edizione critica delle «Opere complete»