PAMPALONI: IO, CRITICO SECONDO COSCIENZA

PAMPALONI: IO, CRITICO SECONDO COSCIENZA IL PERSONAGGIO PAMPALONI: IO, CRITICO SECONDO COSCIENZA Gli ottantanni di un testimone della letteratura BAGNO A RIPOLI (Firenze) A critica è il critico, come sapeva Contini». Geno Pampaloni compie ottant'anni fedele alle amicizie e a una certa idea del lavoro culturale. Un cronista - non gli dispiacerà questo usbergo così toscano, così riecheggiante il Due, Trecento - della letteratura, un artigiano che provando e riprovando ha sbalzato trame, caratteri, ispirazioni. «Se ho un orgoglio? L'essere riuscito a conquistare una sicura autorità nella critica italiana. Un rammarico? Non essere riuscito a comporre un'autentica pagina di poesia». La camera è ornata di libri. Geno («Il cuore di Agenore, il nome di mio padre») indossa una sobria eleganza - il foulard, la giacca di maglia -, gli occhi sono una memoria insieme trepida e sicura. E' il signore di una casa che avrebbe incantato i crepuscolari - lui neanche troppo incline a Gozzano. «La villetta - è un frammento autobiografico - dava su una vecchia via di Bagno a Pòpoli dal bellissimo nome: via di Ritòrtoli, che sembrava sommessamente ammiccare agli av messamente ammiccare agli avventurosi tornanti della vita che lo avevano condotto sin lì. In realtà il cubo ottocentesco della casa toscana era schierato, in disparte, sulla piazza del comune; il che conferiva un'aria un po' padronale, ma discreta, stagionata». A Firenze, l'ultima meta, PampaIoni tornò negli Anni Sessanta. Vi arrivò da Roma, da Grosseto, dalla Maremma, da una Firenze d'antan, da Pisa, da Torino, da Ivrea. Roma, dove nacque («Mia madre, maestra, insegnava là»). Grosseto, «geometria posata sulla pianura», dove il padre commerciava in cereali, lo scenario dell'«età cieca e felice degli entusiasmi, dei disperati amori e della bicicletta». Ebbe occasione di lamentare: «Soltanto per disavvertenza Gabriele D'Annunzio non l'ha inclusa tra le Città del sUen-, zio». O forse restare nell'ombra è il suo destino (1'«estatura» di Bign,-. Ciardi, il lasciar d'estate - gli uffici pubblici erano soliti trasferirsi - la città sfiatata dalla calura. «L'estatura - ragguagliò il testimone della Vita agra - finì per decreto regio, ma parecchi continuarono a farla in privato, su a Scansano, e Grosseto restava zona di trasferimento per punizione, come successe a Demetrio Pianelli»), Roma, Grosseto, la Maremma e Firenze. Dove, all'Università, Geno Pampaloni fu allievo di Attilio Momigliano. Amico infrangibile di quell'epoca, Gianfranco Folena, il maiuscolo filologo. Ma la laurea la conseguì alla Normale di Pisa: «Cambiai ateneo quando Momigliano, in seguito alle leggi razziali, venne allontanato dalla cattedra. Il primo atto politico che ricordo di aver compiuto. Con Luigi Russo discussi una tesi su "La poesia giovanile di Gabriele d'Annunzio", archiviato il progetto di un lavoro su Melchiorre Cesarotti, famoso per la versione delle poesie di Ossian. Una nota di colore? Scossi dal torpore il controrelatore Armando Carimi con lo svolazzo finale: "Mentre del Carducci si può dire che fu carducciano dopo essere stato Carducci, del D'Annunzio poeta si deve dire che fu dannunziano prima di essere D'Annunzio"». I poeti (restiamo nel Novecento) di Pampaloni: «D'Annunzio, ovvero la Versilia, Clemente Rebora, Montale, Ungaretti, meglio Ungaretti di Montale. Montale è avaro, Ungaretti è sanguigno». E gli scrittori? ((Ancora D'Annunzio, Svevo, Moravia». E tra i viventi? «Mi faccia dei nomi». I nomi si succedono, l'investitura non viene mai, al massimo il professore concede una stima «sospesa». Salvo, d'improvviso, accendersi: «Anna Maria Ortese! Sì, è scomparsa da poco, però, ecco, è come se l'eco del suo commiato non mi fosse ancora giunta». Critico, Geno Pampaloni, lo è nel solco di due «maggiori»: Emilio Cecchi e Giacomo Debenedetti. «Cecchi andavo a trovarlo a Roma, in corso Italia. Una curiosità: per salire in ascensore occorreva una monetina. Debenedetti era un po' diabolico, e sottile, quasi inafferrabile, quasi etereo: mangiava poco, pochissimo». Che cosa la unisce a loro? «La critica del gusto, il gusto che prevale, sempre, sull'ideologia». L'esercizio critico - osservò ripercorrendo la parabola cecchiana, nella parabola cecchiana rispecchiandosi - «come una forma di quell'equilibrio tra indagine "laica" e reverenza alla poesia, tra il disincantato, ragionato smascherare e il religioso "riconoscere"». Critico senza cattedra universitaria, Pampaloni («Non vi ho mai ambito»). Una sapienza disseminata nelle case editrici (come la Vallecchi - «Fra le scoperte, La coda della cometa di Italo Cremona» - e la De Agostini, per cui ha curato un'edizione dei Promessi sposi, «capolavoro di fede e ironia»). Un magistero profuso su riviste e quotidiani: dal Telegrafo di Ansaldo («Una volta arrivò Ciano: "Attenda - gli disse il direttore - devo prima terminare la conversazione con questo giovane"») a Italia libera, l'organo del Partito d'Azione («Vi aderii perché partito di intellettuali e perché di un rigorismo intonato alla mia vena moralista»). Da Belfagor a La Fiera letteraria. Dal Mondo di Pannunzio ti'«aristocrazia» del Mondo, sospeso fra Croce e Salvemini: «Un debito speciale lo riconosco verso Croce: era, è, naturalmente un classico») a La via del Piemonte, foglio di «Comunità», il movimento olivettiano. Dal Corriere della Sera (con Alfio Russo, con Giovanni Spadolini* al Giornale di Montanelli, lasciato - «sono fedele alle amicizie» - quando Montanelli fondò la Voce, a La Stampa. La Stampa, il Piemonte. Un fiotto di volti e di scommesse. In primis, la «saga» olivettiana, il tempo di «Comunità», dal '48 al '58: «Un 'test" inaugurò il sodalizio con Adriano Olivetti. Mi domandò: "Qual è il contrario del peccato?". Di solito gli veniva spiegato: "La virtù". Io lo conquistai rispondendo: "La grazia". Olivetti, l'editore ideale di Giacomo Noventa, altra luce della mia esistenza: i saccenti 10 confinavano tra i dialettali, bocciandolo, io non esitai a coglierne la statura». Da Ivrea, dalla cerulea Dora, a Torino («capitale più matta che severa»). «Con Cesare Pavese, personaggio drammatico: mi occupai presto delle sue poesie, lo trattavano (lo maltrattavano) come un realista della poesia... Ci si vedeva in osteria, si beveva Barbera... E Antonicelli elegantissimo. E Calvino, 11 più grande dei minori. E Giovanni Arpino, moralista spavaldo, fantasioso...». E' il «rischio delle memorie» (la memoria come atto febbrile, demiurgico, non rimpianto, non vano indulgere al passato) la sfida che l'ottuagenario Pampaloni onora. Sul tavolino, come livre de chevet, le Confessioni di Nievo, la verità che le suggella: «La felicità è nella coscienza; tenetevelo a mente». Bruno Quaranta «Il gusto che prevale sempre sull'ideologìa: ecco il mio stile» I libri di ima vita, la laurea alla Normale, l'esempio di Cecchi e Debenedetti, l'utopia di Adriano Olivetti Geno Pampaloni ha compiuto il 25 novembre 80 anni. Tra le sue opere, l'autobiografia «Fedele alle amicizie», pubblicata da Garzanti