BALBO-DE PINEDO: DUELLO NEI CIELI DEL DUCE

BALBO-DE PINEDO: DUELLO NEI CIELI DEL DUCE LUOGHI COMUNl ^ ^^_vv personam;! fl |fl k mkmokif, BALBO-DE PINEDO: DUELLO NEI CIELI DEL DUCE // re di squadriglia contro Ferve solitario VEVANO la stessa passione per il volo, la stessa capacità di organizzare grandi imprese, la stessa durezza di carattere, ma in quasi tutto il resto Francesco De Pinedo e Italo Balbo erano differenti, la pensavano in maniera opposta senza possibilità di conciliazione. Balbo (classe 1896), romagnolo robusto e pesante, diceva: «Faremo prima un'aviazione sportiva poi disciplinata, poi militarmente efficiente...». Aeronautica sportiva significava per lui massimo incremento a raid e crociere di massa, opera di divulgazione e propaganda specialmente tra i giovani, ma poi, al più presto, doveva seguire necessariamente la trasformazione in disciplina, la rinuncia all'individualismo, diventare militarmente tutti efficienti. Non a caso il 28 marzo 1928, parlando alla Camera dei deputati per celebrare il quinto anniversario della fondazione della Regia aeronautica, Balbo espose il suo vero pensiero: «Penso che oggi si debbano cercare obiettivi per la gara dell'ardimento, della volontà e della perizia dei nostri volatori, non tanto in raids individuali, ma in crociere collettive di più squadriglie, con non meno di ottanta aeroplani destinati a volare insieme per arricchire il nostro personale navigante non soltanto di esperienze preziose di cielo e di clima, ma di una pratica necessaria per il volo di massa...». Il discorso del giovane capo dell'aviazione era una specie di dichiarazione di guerra a De Pinedo (classe 1890), pioniere dell'aviazione, eroe della conquista delle solitarie vie del cielo, ma scrupolosamente a titolo strettamente personale. Discendente da famiglia patrizia napoletana, in buoni rapporti con la casa regnante, era passato dalla Regia Marina alla Regia Aeronautica appena costituitasi come arma a sé per compiere grandi cose e continuava a compierne di straordinarie. Ma non era molto disposto ad accettare la teoria delle crociere di massa propagandata fervidamente da Balbo. Gli scontri erano inevitabili e Mussolini pareva divertirsi malignamente e metter l'uno contro l'altro, per giocare, alla fine, la parte dell'arbitro con la convinzione di esser sempre lui il pilota migliore, anzi l'unico. Per non litigare subito con Balbo, De Pinedo concordava i suoi raids individuali direttamente con Mussolini, e questo, ovviamente, non era gradito a Balbo, anche se poi a spuntarla era quasi sempre lui. I colpi di testa di De Pinedo costituivano, comunque, preoccupazioni e arrabbiature per Balio che propugnava un'aviazione più disciplinata, e più fascista. L'egotismo di De Pinedo era eccessivo, per Balbo, e poco si accordava con il regime. Se Ta¬ viazione doveva esaltare in tutto il mondo la grandezza del fascismo, come si poteva a dar retta a quel borioso monarchico che lavorava solo per la gloria propria, e magari dei Savoia? Quando il napoletano e il romagnolo collaborarono insieme per la buona riuscita della Crociera del Mediterraneo, furono giornate splendide ma accidentate. Ormai i due rivali sapevano di non potersi più aiutare ma solo combattere. E la vittoria di Balbo appariva ineluttabile. Anche De Pinedo lo sapeva, ma continuava a combattere per principio. Un tempo si era illuso di poter diven- tare quasi per forza di cose naturalmente il capo della Regia Aeronautica e pareva averne tutti i diritti. Ma per orgoglio, per non abbassarsi a trattare con un plebeo, mancò alla prova, non del rischio, ma della classe. Troppo a lungo si fidò della certezza dei meriti che si riconosceva e della disponibilità degli altri a riconoscerglieli. Era stato allevato per vincere, non a perdere. Del resto era troppo fine per apparire un vero eroe nazionale. Concesse a Balbo di manovrare contro di lui la grossonalità della massa. La sua idea della solitudine in cielo, di coraggio senza remore di sublimazione attraverso il pericolo non erano doni apprezzabili dalla massa affamata di crociere e crociate, pronta ai grandi pasti, a divorare la quantità, non la qualità. Contro un Balbo uno, nessuno e centomila a De Pinedo non servì la severa formazione professionale ricevuta all'Accademia navale. Quando Balbo, che nel 1927 era stato avanzato al grado di capitano di complemento degli Alpini, fu trasferito dai ruoli dell'esercito a quelli dell'aviazione e promosso generale di squadra aerea di complemento, tutto crollò per De Pinedo. La forma è sempre stata venerata in Marina ma in questo caso, purtroppo, risultava violata. E De Pinedo poteva evitare di amareggiarsi a quello scempio delle norme compiuto con un atto politico. A lui che aveva dovuto faticare tutte le tappe di una dura carriera, toccò sperimentare anche la volubilità della politica. Possedeva tutti i dati necessari, i favolosi voli da primato, il talento insuperabile di organizzatore ma quell'atto politico, quella prova di forza del regime erano irreparabili. E si volgevano contro De Pinedo in quanto esponente di una classe che ormai poteva poco resistere ai progetti di gloria del fascismo. Non essendo né stupidi né fanatici Balbo e De Pinedo fecero qualche sofrzo per superare le loro divergenze e da queste istanze di pace nacque la crociera del Mediterraneo orientale. Grande successo propagandistico. Ma, quanto a riconciliazione tra Balbo e De Pinedo, fu un vero e proprio disastro, la dimostrazione di un invincibile antagonismo. Balbo aveva, infatti, affidato il comando dello stormo al colonnello Pellegrini che volava insieme a De Pinedo. Pellegrini era capogabinetto del ministero dell'Aeronautica. Non era un mistero che De Pinedo, organizzatore della crociera, avrebbe voluto comandarla: Pellegrini gli fu preferito perché, come venne spiegato a De Pinedo: uno stormo non poteva essere comandato da un generale di brigata, ma da un colonnello. Ci furono episodi burrascosi, Pellegrini dava ordine di rimandare una partenza e De Pinedo voleva partire. Esasperato dalla crociera dei dispetti De Pinedo tirò fuori tutto il suo malumore e, alla fine, sbottò affermando che a lui quelle esibizioni non gli eranc mai piaciute. Insomma, si mise lui stesso fuori gioco. Progettava una grande rivincita, tornando ai suoi raids, di riuscire a offuscare la vittoria di Balbo ma non fu fortunato. Il 2 settembre 1933 mentre era in decollo con pieno carico di carburante al Roosevelt Field per un tentativo di primato sulla rotta New York-Baghdad con uno monomotore monoposto Bellanca si schiantò a fondo pista morendo nel rogo. Si racconta che, abbandonando l'Aeronautica Militare, avesse consigliato a Balbo di stare attento perché chi di spada ferisce, di spada perisce. E, magari, sarà una chiacchiera infondata. Quello che è certo è però che Balbo rispettò la previsione vera o fasulla, e morì tra le fiamme del suo aereo a Tobruch. Oreste del Buono Giorgio Boatti Il plebeo e il patrizio in rotta di collisione nel disegno della nuora aviazione fascista: vinse il primo, ma tragica fu la fine per entrambi, morti nel rom dei loro aerei Da leggere: Francesco De Pinedo Un volo di 55.000 chilometri Mondadori, Milano I926 Italo Balbo Da Roma a Odessa Fratelli Treves, Milano Giuseppe D'Avanzo Ali e poltrone Ciarrapico, Roma, I976 Cesare Falessi Tutti insieme sul Mediterraneo in Ali Italiane voi. Il Rizzoli. 1978-1979 Renzo De Felice Mussolini - il duce, gli anni del consenso 1929-1933 Einaudi. Torino, I97A Francesco De Pinedo e Italo Balbo

Luoghi citati: Baghdad, Milano, New York, Odessa Fratelli Treves, Roma, Torino