«Ho vinto le dune della morte»

«Ho vinto le dune della morte» LA STORIA OLTRE LA VIA DELLA SETA Esploratrice milanese attraversa per la prima volta in solitaria il deserto cinese del Taklimakan «Ho vinto le dune della morte» «Il mio record mondiale, 550 km a piedi» UN paio di scarpe verde militare, di tela e di gomma, da tremila lire, estraneo alle mode, comprato nell'ultima oasi prima del Grande Nulla. Carla Perrotti, esploratrice milanese di 51 anni, ha un moto di gratitudine. «Se non fosse stato per quelle scarpe, avrei dovuto rinunciare... E' vero, la tecnologia non è tutto». Nel pesante zaino giallo aveva il satellitare, il sistema di orientamento Gps, i cibi disidratati, ma senza le autoctone scarpette cinesi oggi non celebrerebbe il record: è il primo essere umano ad aver attraversato a piedi, in solitaria, l'area più desolata del secondo deserto del mondo, il terribile Taklimakan. L'ha scelto perché evoca immediatamente l'avventura: a Nord e a Sud, per secoli, l'hanno sfiorato le carovane della Via della Seta, ma nessuna si spinse mai all'interno e solo in tempi recenti qualche convoglio, ben attrezzato di mezzi e scorte, l'ha percorso. «In lingua yuguri significa il deserto della morte irreversibile», racconta Carla Perrotti e, infatti, là si muore e si svanisce. Come Yu Chunshun, cinese quarantenne che sognava la grande impresa dell'attraversamento e di cui si sono perse le tracce. «E' stato commovente che all'arrivo, nella cittadina di Luo Tuan sia venuto suo padre. Voleva abbracciarmi». A rendere il Taklimakan così maledetto sono le dimensioni, oltre 330 mila.chilometri quadrati (più dell'Italia) e l'assenza di oasi nella sua sterminata zona centrale: «E per questo ha sempre suscitato terrore». Tanto che a Pechino, alla conferenza stampa, «centinaia di persone, incredule, hanno fatto la fila per chiedermi l'autografo e stringermi la mano. Erano ammirati e felici: li inorgogliva che ad aver avuto successo fosse stata una donna, non importa se straniera». Il piede piagato era finalmente guarito. «Aveva cominciato a farmi male qualche giorno dopo la partenza, a causa degli scarponcini, troppo tecnici, non sempre adatti alla varietà del terreno, che a volte è fangoso, a volte duro, a volte soffice, a volte accidentato». Dopo 150 chilometri Carla Perrotti era «Avevo un La saun pcomprate «Il miostate le no12 ore e lascendev già a mal partito e di fronte ne aveva ancora 400, da macinare in tutto in 24 giorni. «Nell'ultima oasi, a Daheyan, ho comprato le provvidenziali scarpe di tela e di gomma: c'erano tre casette di fango e la gente è corsa fuori a toccarmi. Mi ero portata dietro qualche banconota, quasi come un portafortuna. Chi avrebbe immaginato che l'equivalente di tremila lire italiane sarebbe stato decisivo?». «Dovevo stare attenta a controllare la mente. Quando si è soli, soprattutto di notte, è facile crollare di colpo». Le notti sono state l'incubo ricorrente di Carla Perrotti. «La temperatura scendeva a 10, 12 sotto zero e nella mia piccola tenda l'aria si condensava e ghiacciava. Al mattino, poi, tutta l'attrezzatura era bagnata e bisognava farla asciugare prima di riprendere la marcia». Così, dal 26 ottobre al 18 novembre, dalla sperduta Seghez alla sperduta Luo Tuan, in un'area che continua ad allargarsi come gli altri de¬ serti del pianeta: la sua desolazione è contagiosa. «L'altro problema era l'acqua. Nella prima e nella terza parte del mio percorso riuscivo a recuperarla da pozze e pozzanghere. Certo che anche dopo averla disinfettata sapeva sempre di terra. Per fortuna, ne ho consumata meno del previsto, per il gran freddo». Nel tratto centrale, invece, in un paesaggio segnato da altissime dune di sabbia, non ce ji'era traccia. «Dato che non avrei potuto portarne abbastanza con me, una squadra aveva piazzato quattro punti di rifornimento, che ho individuato con il mio Gps. Sempre al primo colpo, anche se il sistema satellitare non è preciso al metro». «Mi sono trovata a galleggiare in un oceano di sabbia, percorso da continui cavalloni, che costringono a snervanti saliscendi. Nel Sahara, invece, le •dune sono più ampie.e non ci si stanca così: spesso ci si può passare in mezzo». La media eya 20 chilometri al giorno, con tino zaino da 20 chili sulle spalle. «E a me che sono piccola, con i miei 55 chili, sembrava davvero enorme». Due settimane di arrampicate e scivolate, «in alto qualche uccello e a terra ragnetti. Non avevo molto tempo a disposizione, perché là le notti sono interminabili. In questa stagione durano 12 ore. Dovevo economizzare le batterie della torcia e potevo leggere per poco "D'Amore e Ombra" di Isabel Allende. Mi ha aiutata. Ho avuto la riprova che si va avanti con la testa, non con i muscoli». Nel deserto avviene una metamorfosi mentale. «I ritmi cambiano: t'accorgi che diventi egoista, che ci si concentra su se stessi. Quando in ballo c'è la sopravvivenza, s'impara a spiarsi, a decifrare ogni segnale che invia il corpo. Che cosa significa quel dolore alla gamba? E' l'indolenzimento alla mano? E' solo dopo che scopri che stai entrando in armonia con l'ambiente. Allora godi di ciò che fai. Fissavo il paesaggio, la sera, i colori della sabbia cangianti. Un ricordo? Era il 4 novembre, il mio onomastico, e splendeva la luna piena. Allora, invece di dormire, mi sono messa a fare riprese. Ho sfiorato la felicità». Carla Perrotti, sposata, un figlio, parla nella sua casa milanese, ma è come tornata nel Taklimakan. «Ha ragione Bruce Chatwin: il camminare produce i pensieri. Secondo me, il segreto sta nel selezionarli, per liberarsi. Devono essere lievi: immagini, volti, canzoni. E quando, invece di scivolare via, uno si fissa, ci si deve imporre: "Questo no, adesso lo cancello"». Succede soltanto nel deserto e perciò Carla Perrotti, atleta del «Sector No Limits team», continua ad attraversali, da navigatrice solitaria delle dune. «Questo era il quarto, dopo il Tenére, in Niger, il Salar de Uyuni, sulle Ande boliviane, e il Kalahari, tra Botswana e Sud Africa». Eppure un pensiero dominante il Taklimakan l'ha fatto sbocciare, nonostante l'impegno delle ginnastiche ce rebrali: «E' arrivato il momento che mi prepari a un altro deser to. Quello dell'Australia». Gabriele Beccaria «Avevo un piede piagato La salvezza è stato un paio di scarpe comprate per 3000 lire» «Il mio incubo sono state le notti: duravano 12 ore e la temperatura scendeva a meno 10» L'esploratrice Carla Perrotti durante la traversata a piedi in solitaria del Taklimakan Un'impresa durata 24 giorni in condizioni difficilissime «Spesso l'unica acqua disponibile era quella delle pozze»

Luoghi citati: Australia, Botswana, Italia, Niger, Pechino, Sud Africa