I politici scoprono il piacere della tavola di Filippo Ceccarelli
I politici scoprono il piacere della tavola il palazzo I politici scoprono il piacere della tavola OTO ricordo di moderna aristocrazia gastronomica, conviviale e istituzionale. Si vede il presidente della Repubblica, curiosamente inginocchiato come un calciatore, seppur con giubbetto da relax; c'è il (non ancora, in quel giorno di primavera) presidente del Consiglio, in camicia; c'è il capo del sindacato, in bretelle; ci sono la ministra degli Affari sociali, un consigliere del Quirinale, la figlia del Capo dello Stato, tre mogli, un paio di bambini e un cane, per la verità nascosto. Ma soprattutto, con loro, ci sono ben quattro cuochi, tre indossano grembiule e caratteristico Cappello e uno è in borghese: l'ormai ubiquo «maestro» Vissani, che D'Alema ha recato a Scalfaro per fargli sperimentare inusitate delizie (stampino di riso alla tinca, guazzetto di asparagi selvatici e lardone). Sorride soddisfatta l'intera compagnia, dopo il pasto, in posa sul prato davanti alla foresteria presidenziale di Castelporziano. Atmosfera da scampagnata: mirabilmente distesa, inconsapevolmente aperta ai più svariati commenti. Del convito aveva dato conto per primo Bruno Vespa (efr La corsa), il 2 novembre, limitandolo tuttavia a Scalfaro e D'Alema. Non si sa per quali vie misteriose, o attraverso quali cucine l'istantanea sia giunta al Borghese, che l'ha pubblicata con l'or- Soglio del cacciatore che esiisce una preda. Quel che è certo è che nella dominante civiltà dell'immagine quella foto non ha solo il potere di annullare qualsiasi confine tra pubblico e privato; ma essendo in qualche modo collegata a un'attività primaria come il mangiare, e a un dato riguarda il piacere del palato come l'assaggiare, trasmette anche un messaggio molto forte. In altre parole, soffermandosi su quel gruppo di potenti appena alzatisi da tavola e sicuramente appagati dal loro privilegiatissimo pranzetto, è difficile non pensare a qualcosa che comunque ha a che fare I con il potere. Ma che cosa? Ecco il punto. Il settima¬ nale di Vittorio Feltri l'ha buttata tutta in politica. In quel pasto Scalfaro, D'Alema, Cofferati, la Turco, Marianna e il consigliere quirinalizio Sapio avrebbero deciso di far fuori Prodi, non a caso assente. A tal fine il cibo, nel caso specifico le straordinarie pietanze cucinate solo per loro dallo staff vissaniano, sarebbe del tutto secondario. Tesi discutibile. Che bisogno c'era dopo tutto di andarsene fino a Castelporziario con mogli, cuochi, figli, cani e foto-ricordo? Oltretutto, dopo quell'ipotetica congiura gastronomica, precisamente la sera del 23 luglio risulta che D'Alema condusse proprio Prodi (e Veltroni, Parisi, Micheli e Minniti e signore) in gita culinaria al ristorante umbro di Vissani. In quella circostanza si seppe anche che il locale era chiuso per lavori: ma venne fatto aprire - pure ai 25 uomini di scorta, che mangiarono in una sala a parte. Questa imperiosa volontà conviviale, insieme alla qualità esclusiva (dal latino «exclaudo», chiudere fuori, godersela da soli) delle indimenticabili lasagne all'arancia, del soufflé all'albicocca e dei prestigiosi commensali contribuiscono forse a illuminare anche la foto di Castelporziano, nella sua immediata mescolanza di potere e soddisfazione. Nel senso che sempre più il cibo - come era un tempo segnala e determina un rango nella nomenklatura, comunica un'esigenza di distinzione del gusto, segnala l'appartenenza a una ristrettissima oligarchia conviviale. Chi governa, chi comanda, vuole anche mangiare bene. E di solito ci riesce. Filippo Ceccarelli
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