«E ora voglio tornare in Italia»

«E ora voglio tornare in Italia» INTERVISTA «E ora voglio tornare in Italia» Diego: a Napoli, e dalla porta principale LO SFOGO DEL PIBE DE ORO TORINO AESTRO, come stai? Vieni con me a cena da Ilio». L'invito di Diego arriva via cellulare intorno a mezzanotte, quando finalmente riesco a contattarlo dopo due viaggi infruttuosi a Caselle e poi alla procura torinese. Il telefonino risolve ogni cosa. Siamo amici, c'è rispetto reciproco tra lui, ex numero uno del calcio mondiale, e il giornalista che l'ha raccontato in centinaia di articoli su tutti i campi di mezzo pianeta. Mi invitò a Buenos Aires, al suo matrimonio faraonico. Un privilegio riservato a pochi, un'esperienza unica, indimenticabile. Era al culmine della gloria. Poi il mondo gli è crollato addosso. Ora Maradona è sulla macchina che ha dribblato una piccola folla di fedelissimi in via Milano, a fianco del Municipio dove ha parlato per un paio d'ore con Guariniello, e sta dirigendosi al ristorante «Due Mondi)), sede abituale di Moggi, Lippi e dei giocatori della Juventus. Quasi una nemesi questo ritorno in Italia dopo sette anni e mezzo, proprio a Torino, la città che poteva essere teatro delle sue gesta in bianconero e non lo fu. Un giorno ci confidò che il mancato trasferimento alla Juventus era il suo grande rimpianto. Un matrimonio impossibile per Maradona, ma tanta stima e ammirazione per la Signora degli scudetti. L'avevo visto l'ultima volta a Boston, segnare un gran gol alla Grecia. Per chi conosceva le sue traversie, quel gesto di tecnica pura rappresentò una sorta di miracolo. Poi l'accusa di doping, la nuova squalifica, il sogno mondiale che finì nel modo peggiore. Ora lo riabbraccio in mezzo a via Saluzzo, bloccata dalle auto del suo seguito con a bordo Claudia, la moglie, l'avvocato Vincenzo Siniscalchi, il manager Guillermo Coppola e altri amici fidati. Al ristorante c'è un pezzo della Napoli torinese, juventina e torinista. Ciro Ferrara con la moglie, Massimo Crippa, Gigi Pavarese. Più tardi arriverà anche Moggi, il direttore generale del Napoli che vinse scudetto e Coppa Uefa, con la moglie. Siedo davanti a Diego nella saletta dei vip. Appesa al muro c'è una foto che ritrae Pelè e Sivori, due numeri uno prima di una sfida tra Santos e Juventus del torneo Italia '61. Poi Maradona arrivò a Napoli e il popolò cantò «Maradona è meglio e Pelè». E Sivori era stato un Maradona ante litteram e l'aveva preceduto in maglia azzurra, con il magico numero 10 sulle spalle. Dieguito guarda la foto e fa: «In mezzo a quei due, sai che divertimento». All'epoca aveva un anno. Ora ne ha 38. E' affamato. «L'ultimo pasto l'ho fatto in Argentina», dice. Ha l'aria stanchissima ma felice di ritrovare gente alla quale è affezionato. Ricambiato. Claudia mostra con orgoglio alla moglie di Ferrara le foto delle figlie, Dalmita (che da un paio d'anni recita e canta in tv in una tramissione per ragazzi) e Yannina. Sono cresciute. Anche Diego è orgoglioso della sua famiglia. Il viaggio è stato pe¬ sante. Da quando ha smesso di giocare è ingrassato di una decina di chili. E Claudia lo sfotte: «Li metti tutti sulla pancia come tuo papà». Ilio, il padrone-chef del ristorante, è pronto ad accontentare ogni desiderio dell'ex pibe de oro che ordina fettuccine, con un'abbondate grattata di tartufi, branzino e vino bianco. C'è allegria. Scorrono i vecchi tempi del Napoli, i trionfi. Diego prende in giro amabilmente i piedi ruvidi di Crippa. E Ferrara gli ricorda il gol di sinistro che ha segnato a Venezia: «Un gol-qualificazione alla Maradona». E Diego: «Non l'ho visto in tv, ma ricordo il rigore che segnasti all'Olimpico, nella vittoriosa finale di Coppa dei Campioni all'Ajax. Il pallone entrò in porta. Un... miracolo. Sai cosa ti dico? Tra un anno allenerò il Napoli e tu sarai il mio vice». Poi Diego si fa serio quando si parla con Moggi e Ferrara di Istanbul, della tensione e dei problemi ambientali che la Juventus dovrà affrontare se martedì andrà davvero in Turchia. E l'argomento apre il botta-risposta tra me e Diego. Discutiamo dell'interrogatorio in procura. Dice che il pm Guariniello gli ha fatto un'ottima impressione e si augura venga fatta piena luce sulle controanalisi che determinarono la squalifica e i suoi guai. E, se non ci sarà risarcimento, tutto questo determini almeno una riabilitazione della sua immagine. E su Zeman, Diego entra in tackle: «Per me Zeman ha parlato troppo. Non doveva fare nomi. Mancano le prove. La creatina la si prendeva anche noi, ma non è questo il problema. Ho detto al magistrato che se Zeman perde quattro partite di seguito non si preoccupa più di tanto della salute dei suoi giocatori. E penso che, al¬ la fine, tutto si ridimensionerà». Trovarsi a Torino, per Diego ha anche un significato politico: «Manco da oltre sette anni ma l'Italia non è diversa e mi fa male dirlo. Con questo non voglio risolvere i problemi degli italiani, né posso risolvere quelli dell'Argentina. Quando giocavo, dicevano che Napoli era l'Africa. L'hanno sempre discriminata. Questo non lo dico io, come argentino, ma un italiano: Bossi voleva dividere l'Italia, Adesso mi faccio forte di questa inchiesta sul doping perché, forse, toglierà la maschera di ipocrita a qualcuno. Noi calciatori siamo i più forti, la parte più sana di questo sport che resta il più popolare e il più amato. Siamo noi quelli che rischiano la faccia. E a Napoli voglio tornare dalla porta principale dopo essere uscito dalla finestra». Dice «noi», come se non avesse mai smesso. Segue il calcio come spettatore. Anzi si definisce un degustatore. Ed è deluso delle nuove generazioni: «Non esiste la fantasia. Tranne quella di Baggio, il migliore, uno dei più onesti con il calcio. Ronaldo ha la fortuna di giocare al fianco di Robi. Lo prenda ad esempio. Ammiro Ronaldo, è un bravo ragazzo, ma deve essere più un giocatore del popolo. E' giusto che guadagni una montagna di denaro ma gli chiedo, come ex e come appassionato, di dedicarsi di più alla gente e meno al business. In Francia gli hanno chiesto di "ammazzare" il Mondiale ma lui, come me nell'82, non ci è riuscito. E, come ho fatto io nell'86, potrà prendersi la rivincita nella prossima Coppa del Mondo, in Giappone e Corea del Sud, anche se sarà un torneo tecnicamente falsato come quello negli Usa». E' presidente del sindacato calciatori, da lui fondato, e si rammarica che non siano stati fatti grossi passi in avanti: «Siamo un po' fermi. E sono offeso perché la Fifa ha interpellato Platini e.Matthaeus ignorandomi. Non mi aspetto molto da Blatter e Pelè. Ma molto da Platini, Matthaeus e Beckenbauer perché impongano le loro idee ai dirigenti Fifa. E, con il tempo, tutti i giocatori si renderanno conto del valore del sindacato e di quanto ho fatto per loro». La linea non è più quella di un atleta. Era rotondetto anche quando lo chiamavano il Fenomeno, eppure, anche se si allenava quando voleva, dipingeva giocate come un Michelangelo del pallone, incantando le folle, facendo innamorare Napoli. Perdutamente. Quanto manca il calcio a Maradona? Con sincerità confessa che gli manca moltissimo: «Ma non voglio cercare il calcio dopo avergli dato tanto, tantissimo. Ora è il calcio che deve cercare me». La cliiacchierata è interrotta dai commensah, dagli aneddoti, dal passato che ritorna. Chiedo a Diego se sogna di sedersi sulla panchina della Nazionale. Fa una smorfia e un gesto di diniego con la mano: «Mai. Preferisco allenare una squadra di club. Sono d'accordo con Trapattoni quando dice che i giocatori vanno seguiti ogni giorno. E io sarei di quelli che non li caricherebbero di responsabilità enormi ogni volta che scendono in campo. Non ho ancora il patentino, debbo fare il corso. E i tempi non sono maturi, ma prima o poi guiderò il Boca Juniors». Ma Moggi gli dice che, un giorno, potrebbero anche tornare insieme. E' un'idea, un incoraggiamento a un uomo che ha lottato e sta lottando per uscire dal problema della droga. Sono le 2,20 del mattino. Nonostante i due caffè, per non crollare, Diego deve andare a riposare. Lo aspetta un'altra intensa giornata, a Roma, ospite della Carrà (pare che il cachet per Maradona sia di poco superiore ai 200 milioni, tutto compreso). Un ultimo abbraccio, un arrivederci a chissà quando. Fuori dal ristorante c'è un capannello, si accendono le luci dei riflettori, le cineprese riprendono il re. Il re è vivo, il suo calcio resterà immortale. Bruno Bernardi Zemanha sbagliato, ha parlato senza le prove Guidare la Nazionale? Come il Trap, preferirei allenare in un club jij fi fi L'ho detto al giudice: noi calciatori siamo la parte più sana di questo sport e quella che rischia la faccia Sopra: Maradona all'arrivo in procura, accompagnato dalla moglie Claudia. Accanto: l'ex calciatore al ristorante con Ciro Ferrara