Decalogo per essere «in»
Decalogo per essere «in» Il più snob dei segreti è essere soltanto se stessi Decalogo per essere «in» Il New York Times ha elencato i nuovi status symbol negli Usa ABOSTON I brutti vecchi tempi il prestigio era qualcosa che non preoccupava molto chi lo aveva. O ce l'avevi o no. Allora l'America aveva pochi modi per ottenerlo: potevi averlo per nascita, potevi diventare ricco, potevi acquisire potere, o potevi essere famoso, per buoni o cattivi motivi: Al Capone aveva tanto prestigio quanto Charles Lindbergh. Ma come appresi dal poeta Auden, cui avevo detto che tizio e caio era probabilmente il poeta numero due o tre dell'Ungheria, i poeti non si classificano: sono diversi l'uno dall'altro. E così è nella società. Tuttavia, periodicamente, giornali come il «New York Times» o riviste come «Esquire» e «The New Yorker», sentono la necessità di stilare per noi dei prontuari, ideati per fissare delle regole sull'acquisizione del prestigio. Se siete una coppia omosessuale, trovatevi un bambino o non andate a mangiar fuori, perché il vostro prestigio è troppo occupato per permetter- vi di vedere i vostri amici. Nell'America di oggi, l'unica cosa che non vi darà prestigio è la virtù. La virtù è per i fessi. Il «New York Times», che recentemente ha fatto un numero monografico sull'argomento, non ci ha messo santi. Il fatto è che questa è una società relativistica, riempita con ciò che i tedeschi chiamano Vasenmenschen: vasi vuoti in cui si versa l'opinione pubblica per poi agire di conseguenza. Ed è una democrazia: tutti devono avere un qualche prestigio, e se non ce l'hai, qualcuno te ne fornirà un pezzetto, qualcosa per farti sentire in pace con te stesso. Naturalmente il «Times» è un giornale sociologico e riflette l'ossessione per le classi, per chi è superiore a chi, tipica del¬ la società senza classi. Di questi tempi, per avere prestigio servono due prefissi: puoi essere una superstar o avere megasoldi. E nessuna delle due cose ti porterà davvero da nessuna parte, perché è proprio nella natura del prestigio super e mega il volere qualcosa che non hai. Ancora meglio è avere qualcosa che non puoi avere. Come disse il famoso Groucho Marx, «Non m'iscriverei mai ad un club che mi accetta come socio». Questi desideri irrealizzabili sono il pane quotidiano delle classi blateranti: teste pensanti, giornalisti, ospiti di talkshow e simili. Che naturalmente hanno di per sé un prestigio effimero. Ma poi, non è effimero ogni prestigio? E molto non dipende dalle associazioni, dalla pre¬ senza, dall'essere semplicemente in giro nei posti giusti? Chi oggi invidi, domani è svanito. E la grande gioia delle persone intelligenti è pescare gli esperti di prestigio in qualche terribile errore, come quando pensano che qualcosa è «in», mentre è desolatamente «out». «I nuovi ricchi americani», dice Alan Wolfe in The Good Gray Lady, «preferiscono Monet al colore dei soldi». Monet? Per carità di Dio! Gli stessi maniaci del prestigio «preferiscono passare un fine settimana a Parigi piuttosto che sulla costa del Jersey». Buon Dio! Chi vuole essere un flaneur assieme ad altri Jlaneurs? Noi snob innati sappiamo che solo quel che noi facciamo è davvero intelligente. Io, per esempio, penso sia ultra-chic essere me. E per di più io so cosa sia chic: è mega, super-chic non prestare alcuna attenzione a ciò che il «Times» o il «New Yorker» pensano sia chic. Perché essi non lo sono. Keith Botsford
Persone citate: Al Capone, Alan Wolfe, Auden, Charles Lindbergh, Gray, Groucho Marx, Keith Botsford, Monet
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