America, l'anno di Paperone

America, l'anno di Paperone ANALISI In dicembre si batterà un record: il più lungo periodo di espansione dal dopoguerra (93 mesi) America, l'anno di Paperone Mie stelle i consumi, l'occupazione, la Borsa VIAGGIO NEL GRANDE LWASHINGTON A sera prima di Thanksgiving Sherry and Lehman, i vinai più cari di New York, sono stati presi d'assalto. Le Gaviar Russe, sofisticato magazzino di prelibatezze, ha esaurito le scorte di Beluga. Le Bernardin, ristorante fra i più cari del mondo, ha bruciato in una sola notte la scorta di ostriche freschissime fatte arrivare dal Maine. Mai una Festa del ringraziamento è stata così opulenta nella storia recente degli Stati Uniti. L'America è tornata grande ed ottimista. C'è in giro la frizzante aria del boom e i consumatori, fiduciosi, spendono e spandono. Wall Street gira al massimo: due anni fa l'indice Dow Jones era a 6500 punti, ora è a 9300 e ha recuperato i cali di settembre e ottobre dovuti alla crisi della economie asiatiche e russa e al divampare del Monicagate. La disoccupazione è scesa al 4,6%, un tasso invidiabile per le economie europee che navigano tutte oltre il 10%. Il prodotto nazionale lordo, il totale delle merci e dei servizi prodotti nel territorio degli Stati Uniti, è aumentato del 3,9% nel periodo lugliosettembre, mezzo punto in più della stima. L'inflazione ha toccato il livello più basso degli ultimi 35 anni ed è scesa allo 0,8%. E tutto ciò nonostante la ripresa dei consumi privati, cresciuti da luglio a settembre del 4,1% anche grazie a tre successive riduzioni dei tassi di interesse. In dicembre, se l'andamento dell'economia continuerà con questi ritmi e con queste cifre (evento probabile secondo tutti gli indicatori) l'America batterà un record: il più lungo periodo di espansione dal dopoguerra, 93 mesi di ascesa e di prosperità, a partire dal 1991, in piena epoca George Bush, sino agli anni divertenti di Bill Clinton. Anche se non mancano le Cassandre (da John Kenneth Galbraith, studioso del grande crollo di Wall Street del 1929, all'Economist che ha suggerito di non credere troppo nella crescita inarrestabile, alla grande Merchant Bank J. P. Morgan, che prevede un crollo degli inestimenti dal 9 al 5% nel primo quadrimestre del 1999) i consumatori proclamano la loro fiducia nel sistema, fiducia aumentata del 5,6% in novembre, secondo un'indagine condotta dall'Us Conference Board. Spiega Lynn Franco, uno degli autori della ricerca: «Le condizioni favorevoli dell'economia e la quasi certezza che le cose andranno ancora meglio sono alla base di questa sorprendente propensione al consumo». Secondo Lynn Franco gli americani nelle prossime festività natalizie spenderanno 500 dollari a testa contro i 465 del 1997. In tutto 500 miliardi di dollari (di cui 2,3 miliardi con la spesa pigra via Internet, più del doppio rispetto allo scorso anno). Gli americani non scialeranno solo in merci effimere ma investiranno nei beni durevoli (auto, elettronica, computer) e nella casa, visto che i mutui sono ormai scesi al 5%. «Gli americani spendono, e a volte anche di più di quel che guadagnano - spiega Lynn Franco - perché è diminuita la disoccupazione (5 milioni di nuovi posti di lavoro in più dal 1991 ad oggi), sono calati i tassi di interesse e quindi sono dilatati i crediti al consumo». Lo stesso aumento del prodotto nazionale lordo è dovuto per tre quarti alla maggior capacità di spesa dei consumatori. Se ne sono av¬ vantaggiate, ad esempio, le industrie automobilistiche. Agli europei che guardano con un poco di invidia al boom gli osservatori rispondono: «Il modello americano è capace di creare più ricchezza e più posti di lavoro perché procura meno vincoli alle imprese, ha un'enorme flessibilità e offre meno protezione ai dipendenti». Secondo il mensile Fortune l'irrompere dell'informatica nell'attività produttiva e l'aumento progressivo della qualità del management hanno favorito il grande balzo in avanti da Bonald Reagan a George Bush a Bill Clinton. Dopo la rivoluzione liberista e liberatrice di tutte le energie economiche iniziata da Ronald Reagan l'economia americana, al di là di qualche periodo di stasi all'inizio degli Anni Novanta, non ha fatto che progredire, uguagliando e superando le altre stagioni del benessere. Prima l'età post bellica di Harry Truman e Dwight Eisenhower, uno dei periodi più felici di tutta la storia degli Stati Uniti, quando la ricostruzione mondiale scatenò una prosperità mai vista. Poi l'epoca della guerra del Vietnam, resa affluente dalle spese dello Stato nell'apparato militar-industriale. A vigilare sull'economia americana vi è dal 1987 lo stesso uomo, Alan Greenspan, 73 anni, presidente della Federai Reserve, la Banca centrale. Successore di Paul Volker, legato ai repubblicani, sostenitore del reaganismo, amico personale di Richard Nixon e di George Bush, Greenspan fu lasciato al suo posto anche dalla nuova amministrazione demo¬ cratica di Bill Clinton. E' stato Greenspan ha governare il più lungo periodo di prosperità della storia americana con pochi ma solidi principi. Primo fra tutti la lotta all'inflazione, la sua bestia nera. Da qui la riluttanza a ridurre i tassi di interesse, ritoccati in autunno solo dopo aver raggiunto la certezza di aver domato l'inflazione e garantito la stabilità dei prezzi (1,5% previsto nel 1998). Oggi però l'attenzione di Greenspan ò concentrata anche su altri aspetti dell'economia capaci di difendere il ciclo di prosperità, di allungarlo, di smentire le previsioni delle Cassandre keynesiane: l'influenza determinante della tecnologia dei computer sull'economia e l'intreccio fra tecnologia e mercati. Secondo il superottimista Greenspan il bello deve ancora venire, visto che le conseguenze della rivoluzione informatica non si sono fatte del tutto sentire, e che ci vogliono decenni prima che le nuove tecnologie rivoluzionino i livelli di produttività e siano completamente assorbite e sfruttate dal business. E' questa la teoria espressa da Paul David e Nathan Ro- senberg due economisti di Stanford molto apprezzati da Greenspan. Per David e Rosenberg il 2000 sarà il grande, insuperabile secolo americano, e sin da questo momento se ne vedono le consistenti avvisaglie. Ne sembra convinto il presidente Clinton. Anche se i repubblicani non lo vogliono ammettere, la politica neoreaganiana di Clinton, ostinato sostenitore della guerra al deficit di bilancio, della deregulation e della riduzione del carico fiscale, ha contribuito alla stabilità dell'economia e al suo sviluppo. Clinton, a differenza del suo predecessore democratico Harry Truman, non ha paura del boom, del pallone aerostatico che porta in allo le speranze ma che può anche sgonfiarsi di colpo. «Ci vuole un programma di lotta all'inflazione che ci tolga l'incubo del boom e del crollo», spiegò Truman nel suo discorsoo sullo stato dell'unione nel 1948. E' quello che Greenspan e Clinton hanno sempre pensato. Ma con una differenza rispetto a Truman: il loro intento ò di far continuare il boom e di consolidarlo. «Per fare più grande l'America», dice sempre il Presidente, che, grazie al buon andamento dell'economia, a Greenspan e al ministro del Tesoro Robert Rubin, ò riuscito a far dimenticare agli elettori, soddisfatti e rimborsati, il Monicagate. Carlo Rossella Dopo il Thanksgiving Day più opulento e spendaccione della storia recente si prevede che per Natale la gente spenderà quasi cinquanta dollari a testa in più dell'anno scorso Il miracolo ha un tutore, il presidente della Federai Reserve Greenspan, che copre l'incarico dall'87: reaganiano, ma confermato da Clinton iiii Sopra un'immagine dell'America opulenta. A fianco Alan Greenspan governatore della Federai Reserve la Banca centrale americana lì ministro del Tesoro Robert Rubin e a destra il presidente Clinton