La rabbia divide il paese

La rabbia divide il paese La rabbia divide il paese Gli zingari accusano la famiglia lavorone FROSINONE DAL NOSTRO INVIATO E' una mazzata sul paese, la notizia che altri ragazzi sono coinvolti nella morte di Mauro, che c'è un testimone nei documenti della procura, che Denis resta in carcere. Di colpo sparisce la voglia di provocare, di difendersi, di reagire. La famiglia nomade dei Bogdan attacca le roulotte alle auto e va via. «Ma non scappo - dice il padre di Denis, Bruno -. Solo che ho paura delle teste calde a restare qui. Andiamo a vivere nell'appartamento che ci ha dato il Comune». Pochi minuti prima che arrivasse il signor Bruno, era scoppiata la rabbia. Le donne della famiglia zingara avevano preso a inveire contro la madre dell'ucciso: «Ha latto arrestare lei Denis - urlavano - perché non vuole testimoniare a suo favore. Mauro era abbandona¬ to dalla madre. Spesso lo facevamo mangiare noi per non farlo morire di fame. Ha preso 50 milioni per le interviste in tv. Adesso lei si arricchisce e non ha più bisogno di noi». A sera, un vento gelido spazza il rione Gescal. Ma non è il freddo a far rabbrividire gli abitanti e far tenere in casa i ragazzini. E' lo choc. Si aggira stralunata la sorella di Claudio. Aspetta il fidanzatino che le ha telefonato con tono duro «per avere un chiarimento». Ha capito che viene a mollarla. Si preoccupa delle cassette di musica che si sono prestati. Ma il suo pensiero è altrove. In casa c'è la madre che si lamenta. Povera donna schiantata e malata. Era in ospedale mentre i carabiiùeri le portavano via il figlio e perquisivano la casa. Ora piange e non ha la forza di parlare. Nella piazza di Piedimonte è come se si aspettassero questa tempesta. Le voci già correvano. Il parroco, don Libero, cerca una speranza a cui aggrapparsi. Dice con un filo di voce: «Ma ò proprio così? Non c'è una altra possibilità? Il fatto è tragico. Ma se gli assassini sono tra noi è ancora peggio». Spariti tutti gli altri protagonisti. La ragnatela di parentele e di solidarietà che s'era messa in moto in questi giorm pare davvero essersi frantumata. Bruno Bogdan, che fino all'ora di pranzo ha sperato di veder libero il figlio, è un uomo distrutto. Ma coraggioso. Sistemate lo roulotte e le figlie, va al bar del paese a prendersi una birra. Attraversa il gruppo degli avventori e si versa da bere con gesto meccanico. «E' un reato infamante - mormora - tra noi zingari, mio figlio sarebbe condannato e non basterebbe l'esilio, lo ho sacrificato la mia vita per loro, i miei figli. Non vado a letto se non sono tutti rientrati. Nei giorni scorsi gli ho chiesto: "Avete frequentato qualcimo sbagliato?". Mi hanno detto di stare tranquillo. E io mi fido dei miei figli. Comunque non scappo. Io ho fiducia nella legge. Chiedo a tutti di non dare conclusioni, ma di aspettare i giudici. Aspettiamo di vedere lo carte». C'è da organizzare la difesa, ora. Da aspettare con animo saldo gli sviluppi. Sila Bogdan, la madre di Denis, è anche lei una donna coraggiosa. Ma malata. Un foulard le copro il capo per nascondere gli effetti della chemioterapia. «Mio figlio non c'entra», dice. In questi giorni ha atteso per ore dai carabinieri o in procura. Ogni volta le dicevano di andare via, che suo figlio sarebbe tornato più tardi. E lei si incamminava verso le roulotte a capo chino. Davvero non capiva cosa potesse entrarci suo figlio. «Ma se gli voleva bene, a Mauro, e l'aveva salvato ciucila volta che si era dato fuoco!», ripeteva anche ieri. Ma il dubbio atroce di non capire i propri tigli è entrato anche nel campo zingaro. [fra. gri.l

Persone citate: Bruno Bogdan, Piedimonte, Sila Bogdan

Luoghi citati: Frosinone