Un nuovo nemico per Ankara; Schroeder

Un nuovo nemico per Ankara; Schroeder Il Pkk rivendica l'abbattimento di un elicottero militare (17 morti). La Turchia: è un incidente Un nuovo nemico per Ankara; Schroeder «Egoista», «scandaloso» ISTANBUL DAL NOSTRO INVIATO Quando, ieri notte, la voce robusta di Ocalan è arrivata fin dentro la Turchia, fin dentro le case di questo Paese che lo racconta come un Satana, sanguinario e mostruoso anche più di Satana, il furore del governo turco è diventato incontenibile. Era come una beffa, una violenza insopportabile. Ma allora, era stata proprio inutile, la campagna montata in questi giorni contro il Terrorista? La politica non ha imparato ancora l'obbligo di convivere con la rivoluzione mediatica, con i telefonini che s'infilano dovunque, con la libertà senza frontiere delle televisioni satellitari (la Cnn è una bestia che soltanto la Casa Bianca e Saddam sanno tenere al guinzaglio). E ieri notte, dallo schermo di quella Med-tv che trasmette da Londra, il dialogo di Ocalan con l'intervistatore suonava fermo, sprezzante. «Noi abbiamo offerto il negoziato, la trattativa. Ma se fossimo costretti a mostrare la nostra potenza militare, le conseguenze per chi vuole questa scelta sarebbero disastrose». Perfino minacciava, il Terrorista. Per il governo turco le parole del leader del Pkk alla tv curda sono pareo l'ultima testimonianza di un dossier che sembra offrire ormai poche alternative. Ed è stato come quando si sente un brontolio sordo che annuncia il terremoto. Se, prima, «il caso Ocalan» restava comunque limitato ai problemi di una difficile estradizione, in queste ultime ore lo scenario dell'affaire diplomatico è andato mutando: un sisma potrebbe anche non essere lontano, la crisi turca ha ricevuto uno scossone tale che la carta geopolitica di questa regione potrebbe uscirne ridisegnata. Le vecchie alleanze traballano, nulla è più come prima. «Attenzione - ha minacciato ieri, aspro, Yilniaz -, attenzione a tutti i Paesi del mondo, che non cerchino di mettere alla prova la risolutezza della Turchia. Nessuno può permettersi di sottovalutare la nostra fermezza». Yilmaz parlava al mondo, ma i suoi occhi, e quel dito accusatorio, miravano alla vecclùa Europa. Un pezzo di storia potrebbe anche chiudersi. E' vero che Yilmaz è un premier senza più poltrona, e le sue parole possono pure essere lette come un messaggio rivolto all'interno del Paese; ma, le fronti aggrottate, i visi cupi, ieri la rabbia di Ankara erano un fatto concreto, quando è stato conosciuto a fondo il risultato delle conversazioni tra D'Alema e Schroeder; era una reazione che traspariva nelle parole d'ogni uomo politico. «E' uno scandalo», diceva il ministro Deniskurdu. E il ministro Gunel: «C'è un rischio reale di crisi con l'intera Europa». Questa che era mia crisi turcoitaliana è insomma diventata assai più di un imbroglio manovrato dai servizi segreti di quattro o cinque Paesi. «La dichiarazione del cancelliere Schroeder è infe- lice, la Germania fa prevalere l'egoismo su ogni altra valutazione», ha detto ancora, con amarezza evidente, Yilmaz, che fino a oggi non aveva pronunciato una sola parola critica verso i tedeschi. «Per noi, la politicizzazione del caso curdo è inaccettabile. Noi respingiamo il progetto di europeizzazione delle soluzioni». La realtà è che la Turchia oggi appare isolata di fronte al mondo, e reagisce a questa sensazione d'isolamento ritrovando - a distanza di 75 anni dalla nascita della Repubblica di Ataturk - le stesse emozioni, gli stessi tormenti rabbiosi, che in quel tempo lontano la facevano sentire perseguitata e incompresa dalle potenze europee. Londra, Parigi, Roma, che avevano appena smembrato l'Impero Ottomano, erano il nemico che si opponeva al sogno nazionale di una Turchia moderna, forte di un'ambizione militare sperimentata sul terreno; oggi Roma e Bonn e l'intera Unione comunitaria, vengono viste come il riapparire, di nuovo, eh quelle mai dimenticate incomprensioni europee, di quella ostilità che arrivò fino a una guerra. E, di nuovo, la crisi si apre sul nervo sensibilissimo dell unità nazionale. Quando Yilmaz ha sentito D'Alema e Schroeder dire che stanno lavorando «per una soluzione pacifica del problema curdo», per lui e per molti turchi è stato come ritrovare vecchi fantasmi. E i vecchi fantasmi non muoiono mai. Da un «abbandono» dell'Europa la Turchia potrebbe trovare un'alternativa concreta, interessante, in quell'area commerciale integrata che la legherebbe ai suoi vicini del Medio Oriente e dell'Asia Centrale, e anzi con un gratificante ruolo di leadership. Il partito «europeo» e il partito «turchista» lottano tra di loro da anni; i militari - che poi sono il vero unico potere, in questo Paese - non si può dire che abbiano un fortissimo interesse a fondersi in un'Europa che gli toglierebbe gran parte del loro ruolo. E allora, il «chi manovra chi» diventa un intrigo inestricabile, un gioco di luci e ombre che nemmeno le vecchie mura di Costan¬ tinopoli riescono a raccontare in modo credibile. In questo gioco ambiguo entra anche la caduta di un elicottero ad Hakkari, nel Kurdistan, con 17 soldati morti. In Kurdistan c'è la guerra, e 50 mila uomini alla caccia del Pkk. «E' un incidente in fase di atterraggio», ha detto lo Stato Maggiore. «Lo abbiamo abbattuto noi», dice il Pkk. Chi mente? E se a mentire sono i generali, chi davvero ha lanciato quel missile? Ieri notte, dal televisore la voce di Ocalan diceva: «Mi sono preparato a una morte gloriosa, se fosse necessario». Sono i misteri dell'Oriente. Mimmo Candito Corteo di turchi a Berlino davanti all'ambasciata italiana. Il cartello dice: «L'assassino va processato» Il primo ministro turco Mesut Yilmaz ieri ha per la prima volta criticato apertamente la Germania per la decisione di non chiedere l'estradizione del leader curdo Abdullah Ocalan (nella foto in basso)