URSS le bugie della fotografia

URSS le bugie della fotografia La storia sovietica come fiaba: queste erano le immagini imposte dal regime per nascondere le ferite e magnificare le conquiste URSS le bugie della fotografia EPARIGI ETTANTAQUATTRO anni di storia sovietica diventano pura fiaba, se si guardano le fotografie che il comunismo ammetteva quando era al potere. Diventano un immenso villaggio Potemkin, edificato per occultare non solo i fatti del comunismo ma il senso del tempo, della storia che passa e lascia pur sempre tracce, cicatrici che sfigurano le lisce superfici della finzione fiabesca. E' l'impressione che si ha di fronte alla raccolta di foto sovietiche esposte in questi giorni a Parigi, per una esposizione allestita al Pavillon des Arts vicino al Contro Pompidou. Nessuna traccia di storia che passa, guardando il corteo di immagini. Nessuna traccia di tempo ma piuttosto un'abolizione radicale, definitiva, dell'idea stessa di tempo. Tale era d'altronde la messianica promessa della favola: l'abolizione del passato, l'indifferenza ferocemente serena al presente, l'irruzione immediata nel futuro. Era promessa la storia infine depurata dai conflitti, finita. Sicché questo ci resta, della seconda esperienza totalitaria del secolo: queste immagini di un avvenire fittizio, che avveniva solo nelle menti. Ripensare il comunismo è fare la storia di un futuro. E' studiare il passato, miserabile, di un'idea di avvenire. I fotografi dell'era sovietica sono di grande aiuto, per chiunque voglia intraprendere un'archeologia del futuro immaginato dalle nienti totalitarie o integraliste. Di questo vasto assassinio del tempo i fotografi sovietici furono complici, per costrizione o volontà. Tradirono un mestiere che si propone di ritrarre la realtà, che in tanto è differente dalla pittura in quanto rispecchia il mondo effettivo, e non lo reinventa per descriverlo più bello o più edificante. L'uso della metafora o dell'allegoria si tramuta facilmente in Kitsch, nell'arte fotografica: in immagine ordinata dal totalitario per imbellire il reale, per rinchiuderlo nel ghetto del futuro, per renderlo liscio e adoperarlo come strumento di propaganda, di pubblicità. L'uso politico dell'utopia Kitsch fu fondamentale in ambedue i totalitarismi, nazifascista e comunista. In ambedue vediamo non la figura dell'uomo ma l'uomo trasfigurato che abita già i suoi perfetti, esoterici mondi immaginari. Il tragico fascino della fiaba popolare - del Volksmàrchen - unito al disgusto per tutto ciò che è politico, sociale, bassamente umano, non è solo il tratto del nazismo e della cultura tedesca, come sembrò a Thomas Mann in una lettera su Wagner del '49. E' la molla segreta dei totalitarismi di ieri, degli integralismi di oggi. Il visitatore della piccola esposizione parigina intuirà presto il crimine che si nasconde dietro simili immagini: il crimine di collaborazione al Kitsch, di cui si macchiarono fotografi, cineasti, e poi poeti, pittori del realismo socialista. I fotografi ricevevano istruzioni chiare dal regime, sin dal colpo di Stato bolscevico del '17. Ritraete esclusivamente le nostre riuscite - diceva l'ordine riprendete i prodigi tecnologici, gli edifici monumentali, i villaggi di colorata cartapesta nelle campagne, nelle città! Inventatevi tutto un mondo, raccontate la fiaba di milioni e milioni di uomini che finiscono con l'essere felici, forti nella loro armonia, dediti con la stessa intensità alle gare sportive come alla quotidiana lotta contro il nemico di classe! Nel linguaggio comunista il mondo era sempre «tutto un mondo». E l'umanità era sempre una muta: era «milioni e milioni di uomini e donne». Chi non si conformava alle direttive era escluso, o rinchiuso. Nel '35 è incarcerato il fotografo Grinberg, accusato di «pornografia» perché ritrae non il reale comunista, ma il reale senza aggettivi. Nel '49 è la volta di Max Penson, che per vent'anni ha fotografato l'Uzbekistan sovietico e che ora perde il lavoro. Una notte, Max Penson brucia nel giardino migliaia di negativi di personaggi che le purghe staliniane avevano cancellato dalla storia. Altri fotografi ritoccano le foto, per paura che le immagini siano usate come prove per condannarlo. I fotografi son costretti ad adeguarsi, e così nascono gli idoli che raffigurano le passioni fondatrici del comunismo: la passione per il progresso tecni- co-industriale, per l'unanimismo, per la vita intesa come lotta. E la passione per le varie forme di affollamento: funerali, competizioni giovanilistiche sportive, processi spettacolo, sfilate del primo maggio e soprattutto del 9 maggio - festa archetipica per l'ideologia sovietica, che rievoca la vittoria nella Seconda guerra mondiale contro la Germania nazista. Le foto devono esser trafficate, per trasformare la realtà in mito. E' quello che successe con la presa del Palazzo d'Inverno, di cui non esistono che alcune tristi foto su stanze facilmente assaltate, e barbaramente saccheggiate. Per illustrare nei manuali scolastici la gloriosa giornata del 25 ottobre '17, si ricorrerà dunque a un trucco. Si utilizzerà una foto scattata nel '27 da Alexandre Sigaev durante le riprese del film Ottobre di Eisenstein. Per decenni la Rivoluzione sarà mondialmente commemorata sulla base di questa istantanea bugiarda, rapita al cinematografo. Accanto all'idolo della guerra antinazista c'è anche l'idolo della Macchina, nel pantheon comunista: l'icona del prodigio tecnico, dell'utensile industriale dotato di autonoma bellezza e trasformato in cifra di un progresso e di una modernità futurista già esaltata dal fascismo, di cui i comunisti si sentono gli autentici depositari. Ecco dunque le foto-icone che ritraggono gli altifomi, le enormi dighe (tutto è enorme, nell'iconografia comunista), le lampade elettriche che illuminano campi di grano, l'aratro che allieta il kolchoz, e il primo rapido con la stella rossa sul muso della locomotiva nel '39, e il primo semaforo sulla via Arbat a Mosca nel '31, e la prima metropolitana nel '34. Nella foto scattata da Arkadi Chaikhet nel '31, un komsomol pilota roman¬ ticamente la ruota di una macchina, quasi fosse un veliero. La bellezza dell'adolescente, la fascistoide energia dei suoi muscoli: è il Kitsch esibito per censurare il disastroso incontro tra l'uomo e la tecnica, che l'abitante del secolo ha scoperto grazie ai Tempi Moderni di Chaplin. 1 Tempi Moderni sono la promessa d?l comunismo, e dal loro grembo nascono i progetti costruttivisti di Stalin, destinati a cambiare la geografia, la natura delle na1|| zioni. Risale a quegli anni la costruzione dell'immenso canale Beloinor, tra Baltico e Mar Bianco, o del canale Fergana nell'Uzbekistan. Le foto sono scattate da due fotografi illustri: Alexandre Rodchenko e Max Alpert, rispettivamente nel '33 e nel '39. Si vede una moltitudine di alacri operai incappucciati, ma una verità è taciuta: i grandi progetti di Stalin sono sistematicamente realizzati da prigionieri dei Gulag, in condizioni spaventose di gelo, di sottoalimentazione. Nella costruzione del canale sono impiegati in permanenza 280.000 zek provenienti dai campi, e ogni giorno ne muoiono 700 per fatica, freddo, fame, barbarie dei guardiani. E' l'olocausto umano che il comunismo ritiene di potersi permettere pur di realizzare i suoi programmi enormi, e insensati. 11 Belomorkanal si rivelerà insufficientemente profondo a lavori ultimati, e non servirà mai a nulla. Lo stesso successe per la Strada dei Morti: la linea ferroviaria che doveva costeggiare il Circolo artico e collegare Vorkuta e Norilsk ai fiumi Ob e Enisej. Ancora una volta sono utilizzati centinaia di migliaia di prigionieri, per un'impresa gigantesca e fallimentare: 700 chilometri di ferrovia sono invasi oggi dalla tundra, e dal fantasma dei morti offerti in olocausto. Anche il canale di Fergana si rivelerà malefi- co, per l'offesa arrecata al mate di Arai e all'equilibrio ecologico dell'Asia centrale. Ma la sofferenza dell'uomo uni. diventa realtà, nelle fotografie che narrano l'Urss. Nel mondo apparente dell'integralismo tota litario non prendi; corpo la perso na, ma la figura metaforica dei l'uomo funzionale, ri-creato. Na scono in tal modo le figure dell'e roe comunista: lo stacanovista, il metallurgico, l'astronauta, il col cosiano grato per la collettivi;. u zione oltre che per le carestie bile. Nascono i ritraiti ili famiglii modello, comi! nella seni- ili Ma* Alpert, intitolata «2<1 ore di vuu della famiglia Philippov», nel '31 L'immaginaria famiglia vince la fame, l'analfabetismo, e le pulsioni borghesemente egoiste dell'interesse economico. 1 Philippov non conoscono altra pulsioni' che quella etica. Solo di tanto in tanto spuntano istantanee che evocano il reale, ma che diverranno pub bliche solo quando l'Urss si sdì scerà. Sono le fotografie scattate dal Kgb, dei detenuti nei Gulag. 1 familiari riceveranno solo nel '91 i ritratti di Ossip Mandelstam, poeta morto nel campo di concen tramento nel '38, di Zinoviev e iti Kamenev, capi della rivoluzione condannati a morte nel '36, di operai e disoccupati accusati di crimini controrivoluzionari e tru cidati tra gli Anni Ve nti e freniti La favola Kitsch si spezza di finitivamente il 26 aprile 1986, quando esplode il blocco nuiiit ro 4 della centrale atomica di Cernobil. Cernobil e l'ennesima macchina-iconostasi, figlia dei perverso connubio fra idolatria tecnologica e disprezzo dei biso gni di sicurezza della persona umana. Di fronte a simile cala strofe il fotografo non può più fare l'avvocato dell'immagina rio, ricomincia il mestiere di re porter che i comunisti avevano definito pornografico. Igor Ga vrilov fotografa il blocco dissestato della centrale, e i illiquida tori» mandati a ripulire la centrale con una protezione mini ma: una piccola benda su naso e bocca, che non terrà lontana la morte per irradiazione. Cala il sipario, la fiaba finisce, e cornili eia la descrizione dell'osceno lungamente occultato. Comincia con questa esplosione, con questa nemesi che si abbatte sui ba belici demiurghi che hanno voluto imitare il gesto divino della Creazione: creazione di un'umanità, di una terra, di un cielo interamente nuovi. Cernobil è l'occhio che si riapre, dilatato da un terrore più grande di tutti i terrori. Non c'è più posto per le favole, né per il comunismo, nel mondo che si è risvegliato per vedere l'immagine non più falsificabile di tanto disastro. Barbara Spinelli l'ideologia comunista inventava una realtà inesistente: lo rivela una mostra aperta a Parigi L'ordine era: ritraete soltanto i nostri successi Ed ecco il metallurgico lo stacanovista la fila dei colcosiani L'inganno finisce davanti alla tragedia diCernobil L'obiettivo non può più essere l'avvocato dell'immaginano Il reporter che il potere aveva definito un pornografo torna a fare il suo mestiere. Ed emerge un passato di disastri che non sono più falsificabili 1|| Nella foto grande l'immagine emblematica dello stakanovista In alto a sinistra un cantiere edile a Mosca Qui sopra il treno verso il futuro In alto a destra Bambini durante un'esercitazione di guerra Sotto: falce e martello il simbolo granitico di un regime durato 74 anni