Giudici-avvocati, veleni al giuramento

Giudici-avvocati, veleni al giuramento Scontro a Milano. Il presidente dell'ordine non saluta i magistrati, che lasciano l'aula Giudici-avvocati, veleni al giuramento Attacchi al Quirinale, la cerimonia rischia di saltare MILANO. Ora tutti minimizzano: il presidente della corte d'appello di Milano, Vincenzo Serianni, che parla di «un equivoco». E quello dell'ordine degli avvocati, Paolo Giuggioli, che invita i giornalisti «a non scrivere chissaché». Ma lo scontro, improvviso, violento, tra i due massimi responsabili delle componenti giudiziarie milanesi, avvenuto nel corso dell'udienza dedicata al giuramento di trecento giovani nuovi avvocati, non è stato un semplice incidente «diplomatico» e difficilmente si può nascondere. Soprattutto perché ha coinvolto anche il Presidente della Repubblica, chiamato in causa, e non con toni benevoli, dal rappresentante degli avvocati che lo ha aspramente criticato per le dichiarazioni con le quali Scalfaro aveva stigmatizzato lo sciopero della categoria contro la sentenza della Consulta sull'articolo 513, paragonando l'iniziativa a un atto di terrorismo. I latti. Nell'aula magna di palazzo di giustizia ieri mattina si teneva la cerimonia di giuramento dei giovani avviati alla professione legale. Una cerimonia che si svolge con i crismi dell'udienza giudiziaria, e prevede una formula di rito che i neo-awocati devono pronunciare davanti al presidente della Corte d'Appello per poter essere abilitati alla professione: «Giuro - recita la formula di adempiere fedelmente ai miei doveri professionali con lealtà, onore e diligenza per i fini della giustizia e per gli interessi della nazione». Nell'attesa dunque che in toga facesse il suo ingresso nell'aula la Corte, il presidente degli avvocati Giuggioli, come sempre, ha preso la parola per la prolusione: le difficoltà della professione forense, l'impegno sociale degli avvocati e infine, inevitabile in questi giorni di aspre contrappo¬ sizioni sulla giustizia, una stoccata al Presidente della Repubblica, cui ancora gli avvocati non hanno perdonato le esternazioni di due settimane fa sul 513. Giuggioli parla con foga, riferisce le posizioni discusse proprio la sera precedente nel corso di un assemblea di avvocati a Roma respinge la definizione di «terrorista» cui il presidnete Scalfaro ha paragonato i legali in sciopero. Ed è proprio in quel momento che nell'aula gremita di giovani avvo- cati e loro famigliari, fa il suo ingresso la Corte. Ma è un ingresso stonato. Perché i giudici, anziché essere accolti con la deferenza dovuta come prevede la liturgia laica delle udienze, sono costretti ad attraversare l'aula nell'indifferenza più assoluta. Nessuno si alza in piedi, né tantomeno il presidente degli avvocati milanesi interrompe il suo discorso. L'imbarazzo dei magistrati, che giunti per assistere a un giuramento di fedeltà alle istituzioni devono sentire invece un attacco al loro massimo rappresentante, è totale. Il presidente della corte d'appello Serianni si avvicina a Giuggioli e prendendolo per un braccio lo invita a fermarsi: «Se i discorsi sono questi ce ne andiamo, non ho tempo da perdere...». Giuggioli sembra infastidito. Visibilmente seccata il giudice Vanoni, si alza di scatto e sfilandosi platealmente la toga a voce alta dice: «Io qui non ci sto, me ne vado». Furibondo, Giuggioli al microfono grida: «Non m'ùiterrompete!». I giovani avvocati e i loro parenti applaudono. Poi si preoccupano: il giuramento rischia di saltare. Il presidente Serianni, definitivamente sconcertato, scende dal pretorio e seguito dagli altri magistrati abbandona l'aula. E' solo a quel punto che Giuggioli, terminando in poche parole il suo discorso, si getta letteralmente all'inseguimento della Corte. La cerimonia viene sospesa: per quasi un'ora Giuggioli rimane a colloquio ccn Seranni che alla fine acconsente a tornare. Il rientro della Corte è accolto da un silenzio glaciale, ma sono tutti in piedi come vuole il cerimoniale. Giuggioli chiede ufficialmente scusa: «Prima non mi ero accorto del vostro ingresso...». Incidente chiuso? Apparentemente sì. Fuori dall'aula i giovani avvocati si dividono sull'opportunità di un attacco a Scalfaro nel corso di una ceriminia istituzionale. I protagonisti però preferiscono glissare. Il presidente Serianni parla di un «equivoco» e non aggiunge altro. Giuggioli chiarisce: «Non facciamola più grossa di quello che è. E poi io non ho chiesto scusa per quanto ho detto ma per la forma con cui è stata accolta la Corte. Avrei dovuto interrompere il mio discorso e invitare la gente ad alzarsi. Di solito i giudici arrivano sempre in ritardo, questa volta sono arrivati con un minuto d'anticipo. Io stavo terminando il discorso e dal loro comportamento ho pensato che mi volessero far tacere, allora mi sono inalberato». Non può sciogliere le Camere E sulle riforme 180 giorni in salita COSA DICI LA COSTITUZIONI ART. SS 7/ Presidente della Repubblica è eletto per sette anni. ART 88 COSA DICI LA COSTITUZIONI ART. SS 7/ Presidente della Repubblica è eletto per sette anni. ART. 88 il Presidente della Repubblica puoi sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato: (La norma è- stata scritta nella Costituzione soprattutto per evitare che il Capo dello Sfato possa precostituire condizioni per una sua rielezione attraverso un nuovo Parlamento. Il divieto di sciogliere il Parlamento è l'unica limitazione delle prerogative del Capo dello Stato) COME SI CALCOLA Per individuare l'iniziodel semestre bianco si deve fare riferimento alla data del giuramento. Scalfaro fu eletto il 25 maggio '92 e giurò fedeltà alla Costituzione davanti al Parlamento in seduta comune il 28 Maggio. I PRECEOINTI Per due volte il «periodo bianco» durò meno di sei mesi. Sandro Pedini lasciò il Quirinale con dieci giorni di anticipo. Francesco Cossiga informò in diretta televisiva, il 25 aprile '92, che si sarebbe dimesso tre giorni dopo, il 28 aprile. Il suo mandato scadeva il 3 luglio. Il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro Nella foto qui sotto il presidente della Corte d'Appello Vincenzo Serianni

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