L'altra faccia dell'America è un predicatore assassino di Lietta Tornabuoni

L'altra faccia dell'America è un predicatore assassino L'«Apostolo» di Duvall e altri due film raccontano un Paese vitale, violento, colorato L'altra faccia dell'America è un predicatore assassino TORINO. Tre gran personaggi (un predicatore assassino, una donna sola, un giovane attore latino) nella rassegna Americana 2: nove film tutti interessanti, scelti benissimo. «The Apostle» (L'apostolo), scritto, diretto e interpretato da Robert Duvall, già presentato a Cannes e ad altri festival, è il piii noto ed ha una sua piccola leggenda di sventure e mutilazioni: si sa che era molto più lungo delle attuali due ore, che la gente a cui Fattore-regista vendette il film l'ha tagliato e manipolato, che la versione originale è sparita con blando dolore da parte dell'autore, superbo e autodistruttivo. Pazienza: anche così va benissimo. Senza essere un film straordinario, è un ritratto forte e carico d'energia non soltanto d'un predicatore, ma d'una espressione di religiosità arcaica americana, urlante ed eccitata, corale e fisica, danzata e musicale, nella quale si fronteggiano il predicatore che grida preghiere a Dio quasi sfidandolo, con l'euforia agitata e l'isteria d'un cantante in concerto o d'un campione sportivo, e i fedeli plagiati, passivi, contenti. Robert. Duvall recita molto bene il personaggio: vestiti bianchi, cravatte di raso rosa e occhiali da sole, capacità di seduzione, scatti di violenza omicida, tenace fede proclamata sino alla fine quando viene arrestato per aver ucciso a mazzate l'amante della moglie. In «Sue» di Amos Kollek (51 anni, nato a Gerusalemme, soldato, laureato in psicologia, nuovo regista alla moda nei festival intemazionali), il ritratto d'una donna sola è affidato alla stupenda Anna Thomson: un'attrice non giovane, artificiale (labbra dilatate, faccia tirata, grande petto gonfiato), elegantissima e vulnerabile, dalla pelle candida radiosa, vestita alla maniera di Audrey Hepbum, adorata dal cinema neo-underground. La donna bella, fragile e patetica che non sa parlare con gli altri («Non sono granché per la conversazione, comunico solo con il sesso») e che allarma gli interlocutori con la sua diversità (faccia da Madonna, gesti delicati da aristocratica decaduta, occhi tristi, sigaretta accesa, voce soft) è senza lavoro, rimane presto senza casa, non sa vivere l'amore né sa farlo a pagamento: sempre più infelice e debole, incompresa e pallida, finisce abbandonata sulla panchina d'un giardino, nel freddo dell'inverno. Il film è molto bello. Il personaggio, con la sua eleganza un poco logora e troppo composta, pare il siinbolo di tutti coloro che si ritrovano esclusi e stranieri nella società americana violenta, vitale. E l'attrice è meravigliosa. Un giovane attore latino visto nel serial «Miami Vice», apparso in tanti film di Spike Lee e interprete anche del prossimo «Summer of Sam», John Leguizamo, ha raccontato la sua vita in un monologo di un'ora e mezza vivacissimo e patetico andato in scena al Cort Theater di New York, «Freak» (Mostro), filmato in palcoscenico e trasmesso dalla televisione a pagamento Hbo, firmato (magari per cortesia) da uno Spike Lee irriconoscibile. «John Leguizamo's Freak», autobiografia sarcastica, esordisce con un invito del protagonista: «Applaudite alla grande, se vi prudono le mutande». Racconta l'infanzia: «I miei genitori lavoravano 80 ore al giorno per 17 giorni alla settimana»; «Nel nostro quartiere c'erano tutti i colori uniti di Benetton»; «Eravamo così poveri che facevamo il barbecue sul fornellino elettrico»; «Mia nonna, devota del Diavolo, credeva che "L'esorcista" fosse un documentario». Loda la vicenda di «Sansonite e Dalida». Rievoca la prima masturbazione: «Lo stavo pulendo, ed è partito un colpo». Leguizamo balla benissimo, si muove con grande elastica energia, è instancabile, divertente nel ricostruire l'esistenza penosa a New York d'una famiglia di latini tra alcolismo, promiscuità, droghe, disoccupazione, botte: il finale sulla figura del padre si vorrebbe commovente, peccato. Lietta Tornabuoni Robert Duvall in una scena dell'«Apostolo» il film che ha scritto, diretto e interpretato E' il ritratto forte di un predicatore folle e trascinante

Luoghi citati: America, Cannes, Gerusalemme, New York, Torino