Vivere un giorno da curdo

Vivere un giorno da curdo il caso. Alla Villette di Parigi una mostra virtuale ricostruisce i cammini verso l'esilio dei sans-papiers Vivere un giorno da curdo Simulato il calvario dei profughi PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Sporco curdo!». Un militalo iracheno mi si avvicina brandendo il kalashnikov, mentre l'ausiliaria - pistola in pugno scandisce: «E cosi volevi andartene? Vigliacco. Gente come te fa sellilo». Arretro di qualche passo. Ed eccomi spalle al muro: impossibili; ruggire. «Passaporto» ordina lui con una strafottenza feroce. Lo estraggo di tasca, porgendolo ai miei aguzzini. La fototessera è la mia, però scopro di chiamarmi Tarik Barzaiù, «nato a Soulemaniyeh, 27 anni». Ghignano, i due angeli custodi, nel vedermi impallidire. Provo a scivolare lungo la parete, senza perderli d'occhio. «Bravo, vai in cella da solo». Mi volto e scorgo la porticina a pochi centimetri, già socchiusa, che attende. Mi ci sbattono dentro. Sento il chiavistello girare dall'esterno. C'è una panca, mi siedo. Scritte sul muro, sporcizia, un neon livido. Lunga attesa. Boi lo spioncino si apre. «Vogliamo vedere la tua faccia di merda. Sbrigati! Bisognerebbe ammazzarli, i traditori come te». Ricapitoliamo. Mi sono alzato, e sembrava una mattina come le altre. Barba, radio, thè, metrò, i giornali che aspettano in ufficio. E invece mi scopro curdo. Come Kafka - nella Metamorfosi - si ritrovò insetto. Il tipo del fucile mitragliatore mi considera un pidocchio dell'Iraq saddamiano, e si vede. La sua compagna fruga con ostentazione il mio zainetto. - E la scatola verde? «Caramelle all'eucalyptus per il mal di gola». «Ah, il signorino è delicato». Ne ho abbastanza. Ma qui chi decide non sono io. Dunque avanti. La mattina sarà intensa. Kvaso dalle grinfie della polizia politica, che mi rimprovera la militanza curda, non voglio tornare alla macchia: le troppe guerre fratricide lasciano ima sola chance, l'esilio. Scappo dalla frontiera turca, l'unica agibile, traversando un campo minato. Vorrei proseguire verso la Ger- mania, il Kurdistan europeo. Ma qualcosa s'inceppa. E la misteriosa organizzazione che gestisce l'espatrio, mi dirotta verso la Francia. Passo il confine solo, lungo un sentiero scosceso. Qualche chilometro, e incapperò nell'inevitabile pattuglia di gendarmi. Infatti. Biascico qualche parola in tedesco, perché non so il francese. Commissariato, prefettura, centro per clandestini. Il tlic, una doima, inizia a sfottermi. «Curdo perseguitato? Arieccoci. Valla a raccontare altrove». Mi trovano addosso tre passaporti. - Come la mettiamo? Compilo moduli non stop. Mio padre? «E' di Bassora, classe '22». Moglie? «Una». Nome? «Fatima». Mi si notifica la sentenza: asilo respinto. - Posso formulare un ricorso? «Prego». Ma ha da essere tassativamente nella lingua del Paese che mi respinge. Qualcuno mi aiuterà. Purtroppo invano. Mi si notifica l'espulsione. Faccio in tempo a ricevere una lette- ra da mia madre: «Caro figliuolo, che Allah ti benedica. Ma dimmi, perché sei finito in Francia?». Se 10 sapessi. In ogni caso, è troppo tardi. Mi hanno portato a Roissy, 11 volo per Ankara imbarca i primi passeggeri. Verrò preso in consegna dai «servizi» turchi. Che mi restituiranno al mittente: Baghdad. E' solo la mezza, ma avrei voglia di coricarmi. Recupero alla cassa borsa e cappello, compatendo i visitatori in coda per l'ingresso. Alzo gli occhi verso il tabellone. Mi spiega che ho usurpato mia storia vera. Tarik l'Iracheno oggi languisce nelle carce¬ ri di regime. Ma in opzione c'è anche Pavel, ebreo russo. O Luis, omosessuale colombiano. E Vesna, dodicenne bosniaca, Ali il Somalo, l'algerina Leila... Dodici destini reali da scegliere all'ingresso per condividerne l'itinarario (e le angosce) di aspiranti esuli. Parigi ne accoglierà 4. Segno che l'happy end non è, salvo eccezioni, appannaggio della V Repubblica. Mostra, happening, teatro interattivo? Alla Villette, «Un voyage pas comme les autres» spinge il pubblico (pochi alla volta, per carità) nelle braccia di un'esistenza altrui, tormentosa e attuale come le migrazioni. Gli attori sono una ventina. Bravi e implacabili nel declinare in ogni nuance (da boia a funzionario) l'establishment liberticida originario e quello democratico - ma non meno ottuso - d'approdo. Ti si dà un vago copione. In definitiva, tuttavia, finisci con il recitare a soggetto. C'è chi tace. Ma dinnanzi alle umiliazioni, come non reagire? Allora improvvisi un lessico gestuale, l'urlo o - succede - il pianto. Si ammanettano i duri, non le anime sensibili, per evitare che lo psicodramma lasci grevi tracce. Un décor spoglio ma efficace accompagna il percorso. Tende Onu vere nel campo profughi in miniatura (le Nazioni Unite sponsorizzano l'iniziativa), dormitori promiscui ove regnano sussurri e grida, un angolo d'Adriatico per i boat people albanesi... I molteplici gruppi di assistenza ai sans-papiers - tra cui ricordiamo la Cimade (volontariato ecumenico) - volevano organizzare una contro-expo. Anziché visionare miserie che in fondo sfiorano tangenzialmente l'homo europaeus, ripercorrerle dall'interno propiziando l'immedesimazione. Bella scommessa. Christophe Labas-Lafitte l'ha vinta. Coordinare una simile iniziativa non era semplice. Ma l'approccio si rivela felice. Nella troupe figurano rifugiati come Ben Daoud e Saiki Zoubida (Algeria), calatisi nei panni dei loro persecutori grazie a una beffarda nemesi teatrale. Ma la seconda piange quando le chiedi notizie sulla famiglia. E il primo afferma: «E' come lavorare nel mio incubo». Sul Libro che raccoglie le testimonianze sul dopovisita, numerose lodi, e qualche critica. Si può giocare da grandi al rifugiato come, bambini, ci baloccavamo con il piccolo chimico? Enrico Benedetto In «Un viaggio diverso dagli altri» il pubblico si cala in esistenze altrui. Venti attori, esiliati veri nella parte degli aguzzini *«s*. «'!»» »«»•«:.\;:r C'/t» «»••»•-- Rifili - ili li Grattacieli e capanne: la bidonville di una città del Terzo Mondo, ultima tappa prima della fuga Le foto sono di Capucine Kling Sopra un campo profughi dell'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati; a destra il passaporto che viene rilasciato all'inizio della mostra

Persone citate: Barba, Christophe Labas-lafitte, Daoud, Enrico Benedetto, Kafka, Kling, Tarik Barzaiù, Vesna, Zoubida