«Con il pallone insegno la vita»

«Con il pallone insegno la vita» L'allenatore della Fiorentina: io amo le persone normali non i fenomeni «Con il pallone insegno la vita» Trapattoni: sono un socialista vicino alla gente DA VENTICINQUE ANNI IN PANCHINA FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Tanto per dire la prima impressione: vasto cielo grigio in alto (che poi sarebbe la vita) e sotto il rettangolo verde del campo (che poi sarebbe il calcio) e al centro del calcio e della vita lui, Giovanni Trapattoni, tuta blu, capelli argento, sguardo azzurro, pallone bianco in braccio. Ha 59 anni. Per 12 è stato mediano rossonero. Per 25 allenatore: 13 anni alla Juvc, 5 all'Inter, 3 al Milan, 3 al Bayern Monaco e sei mesi a Cagliari. Venti trofei incassati tra scudetti e coppe. Più tutto il resto, soldi, ma specialmente onore. Dirà: «La vita è stata gentile con me». Cammina laggiù, con tutti i diavoli viola che gli corrono intorno, soffiando come puledri, inseguendosi a coppie - tre salti, vino scatto: «Respirareée!», «Via di nuovo! Veloci!» - e Batistuta, in l'orma d'angolo, che trotterella controcorrente tra i sassi bianchi dei palloni. Trapattoni dà un colpetto all'aria e il carillon si ferma istantaneo. Ventidue ingranaggi appena oliati: elastici, allegri, spalla a spalla. Altro colpetto: gli arrivano tutti intorno. Lui parla piano: ((Adesso giocate dieci minuti. Voglio passaggi veloci. Poi cinque minuti di tiri, e un gol a testa prima che nevichi rosso». Eseguono. Lui respira a bordo campo, si gode la sinfonia. Come ascoltasse Mozart (((A casa è la mia vacanza»). Poi guarda lo squadrone filare via quando tramonta l'ultimo cross e il pomeriggio. Gli passano davanti al naso, spingendosi verso la doccia - scolaresca miliardaria, va bene, ma in fondo ragazzi - tutti di umore liscio e risate scintillanti. Come se tutto il ruvido della Fiorentina - squadra bizzosa, di città irritabile, con tifo guerriero fosse stato limato via, in quattro mesi di lavoro e 21 punti di classifica, da questo filosofo di terra venuto su a nebbia e sgobbo («A 14 anni facevo il tipografo e senza Milan sarei rimasto quello») negli anni duri del Dopoguerra, poi in sella alla bicicletta con cui imboccò il Miracolo italiano e il proprio. Parliamo del suo miracolo, Trapattoni. «Eh, il miracolo... Io sono come mi vede. Giuro. E glielo dico senza enfasi, perchè l'enfasi mi piace zero, anche so il calcio ne strabocca». Lei per l'appunto è l'eccezione. «Sono nato così. Mio padre faceva l'operaio, eravamo 5 fratelli, poi c'è stato il pallone, i soldi, quello che vuole lei, ma le radici ti restano dentro. E se sei bravo le trasmetti». Lei è bravo, no? «Ho passato 25 anni negli spogliatoi. Ho visto crescere centinaia di ragazzi. Molti li ho aiutati. Quasi tutti hanno aiutato me. Ogni tanto mi telefonano ex giocatori che non vedo da 20 anni. E' la cosa più bella: vuol dire che mi ricordano come persona». Persona che insegna vita, o allenatore che insegna calcio? «Le due cose cose, spesso, sono la stessa cosa. Armonia, altruismo, senso del gruppo, generosità, sofferenza, gioia... Sono il calcio o sono la vita?». Il calcio è più bruciante. «Giusto, ma non troppo. Il calcio ti mette sotto pressione perchè è una gara. Ogni domenica hai il responso: vinci, perdi, pareggi. Ogni domenica hai la classifica: sei primo o sei ultimo. Ogni domenica hai i tifosi: sei un eroe oppure una nullità». Invece lei come la vede? «La vedo che per metà è tutto vero. Per l'altra metà bisogna avere la tosta e l'anima. La vita conta di più. I valori contano di più. Se capisci questo puoi anche non vincere, ma di sicuro non perdi». Con la Fiorentina lei sta vincendo. «Bè a agosto, quando ho accettato, non mi aspettavo questo risultato. Sta funzionando il gruppo». Nessun allenatore, in Italia, ha vinto quanto lei. «Glielo ho detto, sono stato fortunato anche perchè ho allenato squadre di grande livello, a cominciare dalla Juve». Non faccia il modesto. «Sono una persona normale, tutto qui. Io amo le persone normali, anche se capisco che poi il pubblico cerca solo fenomeni o stelle o campionissimi per identificarsi... lo combatto questa roba qui». Però fa parte delle regole. «Lo so benissùno. Qui ormai girano centinaia di miliardi, sponsor, tv, manager...». Se ne rammarica? «No, guardo tutto con molto realismo. Il mio primo ingaggio, anno 1954, era di 150 mila lire. Il calcio di allora si è moltiplicato mille volte e adesso rischi di più che i ragazzi vadano sotto stress, che vengano pompati e fatti belli come certe arance che poi le apri e non ci trovi più il succo». Lei un campione come lo riconosce? «Un campione lo vedi per la testa che ha, non per i piedi». Alcuni hanno la grazia, però. «Sicuro. Gascoigne aveva la grazia, ma non ha combinato granché. Maradona aveva più grazia di tutti, ma aveva meno testa di tutti». Il più grande chi è stato? «Pelò, con i suoi 1200 gol. Schiaffino. Puskas. Sivori. E poi Platini,' die faceva una cosa e intanto ne pensava due...». Ronaldo? «E' uno che vola tra le nuvole. Meraviglioso». Lei marcò Pelò, maggio 1963, Italia-Brasile, per 26 minuti e Pelè non toccò palla. «Vero. Dissero che Pelò aveva il ginocchio gonfio, vero anche questo... Ma io feci una bellissima partita e por me contò quello». Mi dica il suo anno più bello. «Tanti: il 1957, prima pallila con il Milan in coppa Italia, 3 a 1 con il Monza. L'anno in cui arrivò Nereo Rocco. L'anno in cui vinsi, da allenatore, lo scudetto con la Juvc, 197C-77, noi a 51 punti e il Toro a 50, e poi...». Ne dica uno solo. ((Allora scelgo il 1960, Olimpiadi a Roma, io in squadra... E quel pomeriggio libero, a Grotta ferrata, in cui incontrai Paola che divenne mia moglie». Moglie, poi due figli, poi i nipoti. «E' stata la mia vita...». Ci sono stati anche i soldi, la fama. «Soldi tantissimi, è vero, più di quanto mi sarei mai aspettato. In quanto alla l'ama, bè, non mi sono mai montato...». L'anno più brutto? «Heysel, 1985, quei 39 morti. Giocammo senza renderci conto dell'immensità del massacro. Giocammo perchè ci dissero di farlo, per la sicurezza dei 40 mila sugli spalti. Fu dopo che capimmo l'orrore». Il suo collega Zeman ha fatto bene a parlare di doping? «Benissimo, non bene...». Possibile che nessuno all'in fuori di lui... «Sinceramente: quando sono stato convocato dal giudice Guariniello a Torino, mi sentivo un deficiente al limbo, lo quelle cose non le so... Tutte le società hanno medici specialisti e sarà un vantaggio per tutti sapere cosa è ammesso e cosa e o o, li o o o e .. er a no. Spero che l'inchiesta ce lo dirà, un giorno o l'altro. Spero. Ma non ne sono così sicuro». Perchè no? «Perchè qui in Italia non si arriva mai a un punto fermo... L'Italia è una Paese che ha avuto, non so, 60 governi in 50 anni, giusto?... Prenda un Paese come; la Germania... Lì se stabiliscono che questa sedia è una sedia non ne parlano più. Noi ci mettiamo intorno alla sedia e cominciamo a discutere...». Che fa, è diventato crucco? «No, per carità. Ma ho vissuto 3 anni a Monaco e riconosco che hanno delle belle qualità». Le nostre? «Brillantezza, cielo, mari', sole, anima...». Però7 «Inaffidabili, direi... Tanta aria... Per dire che una sedia è una sedia ci facciamo il dibattito parlamentare». Lei ha mai fatto politica? «Proprio no. Ilo una mia idea», Sarebbe? «Un socialismo equilibrato, ecco, non so neanche come chiamarlo, un'idea vicina alla povera gente. Anche perchè la ricchezza non conta niente... Tant'è che ho conosciuto un sacco di ricchi imbecilli». Mi dica un ricco non imbecille. ((Angelo Rizzoli, il vecchio. Era una grande persona». Lei è credente? «Si. E vado puri; in chiesa». Guidasse ancora la Juve, lei ci andrebbe a giocare a Istanbul? «Non lo so... 1 giocatori hanno paura e (anno benissimo... Spero che la Uefa prenda una buona decisione»: Per esempio gocare in campo neutro? «Quella sarebbe la soluzione migliore». Le piace Firenze? «Guardi io sono uno strano nomadi!... Cambio città, ma neanche me ne accorgo. Ho vissuto a Milano, Torino, Monaco, ora a Firenze... In realtà io sto in campo e poi a casa. Però sì, Firenze è bella, no?». Prima o poi allenerà la Nazionale? «Vede io ho bisogno di lavorare tutti i giorni, di avere i ragazzi sotto mano, di creare l'armonia. Con la Nazionale lavori a tempi lentissimi, non li puoi plasmare...». Perciò non fa per lei? «Magari succederà fra molti anni, a fine carriera. Anche se io un'idea ce l'avrei». Sarebbe a dire? «Che mi piacerebbe finire dove ho cominciato, in qualche giovanile. Ecco: allenare i ragazzini, crescerli, insegnargli qualcosa. Ragazzetti di 14, 15 anni, vederli, correre, vederli giocare. Comi; tacevo io un sacco di tempo fa». Pino Corrias IL CAMPIONE «Lo vedi per la testa che ha, non peri piedi. Gascoigne aveva grazia ma non ha combinato granché. E Maradona aveva meno testa di tutti» I SOLDI «Ne ho avuti più di quanto mi sarei mai aspettato: il mio primo ingaggio fu di 150 mila lire. Ma la ricchezza conta poco» .0 • f^jftfìL. Ww>- Giovanni Trapattoni, allenatore della Fiorentina. Al centro è con la moglie Paola. A sinistra: nella versione calciatore, durante un ritiro con il Milan, con il quale ha giocato 12 anni In basso: Maradona e Zeman