Il premier: «Qui ci vorrebbe una corte internazionale» di Augusto Minzolini

Il premier: «Qui ci vorrebbe una corte internazionale» Il premier: «Qui ci vorrebbe una corte internazionale» OFFENSIVA DIPLOMATICA MADRID DAL NOSTRO INVIATO Alla fine non gli rimane che definire «provinciali» tutti quelli che in Italia partecipano alle polemiche sul caso Ocalan, cioè almeno i 4 quinti del Parlamento e buona parte del governo. Il Massimo D'Alema che arriva a Madrid è diverso da quello parigino di due giorni fa. Lì era al settimo cielo per la solidarietà che gli era arrivata dagli altri partners europei, per la posizione più elastiche assunta dagli americani, nella capitale spagnola, invece, gli sono ripiombate addosso le polemiche italiane, quel folklore - espressione che il premier aborrisce - che caratterizza il nostro Paese quando affronta le questioni internazionali. Polemiche che si portano dietro una una ricca anedottica: c'è il deputato di Rifondazione Ramon Mantovani che accompagna Ocalan a Roma sull'aereo russo («va a vedere - ci scherza su il premier - che siamo alle prese con uno scherzo di Bertinotti»); c'è il rebus che divide l'Italia tra chi sostiene che i servizi segreti hanno fatto il loro dovere e chi no. Ed ancora, lo scontro tra chi non vuole sentire neppure parlare di asilo politico per Ocalan, come il ministro degli Esteri Dini, e chi, invece, lo reclama (Cossutta, Cossiga). Appunto, quelli che D'Alema considera provinciali, quelli che lo costringono a barcamenarsi nel presente e a sperare nel futuro. Così il premier al cospetto di Aznar non dice «sì» all'asilo politico, ma neppure no. «E' del tutto inappropriato - osserva D'Alema - aprire un dibattito politico su questo argomento. C'è una commissione che dovrà decidere con calma, tenendo conto delle leggi. C'è da aspettare il 22 dicembra, data entro la quale la Germania dovrà chiedere l'estradizione oppure no. Concedere ora ad Ocalan l'asilo politico sarebbe di fatto un diniego rispetto ad una domanda di estradizione. Dopo il 22 dicembre sarà espulsione o asilo». Anche sui servizi segreti D'Alema, almeno in pubblico, visto che in privato sta valutando l'operato e le responsabilità dei vertici, parla un linguaggio più prudente di quello di Dini e Scognamiglio - altri provinciali - che si lamentano «ad alta voce» di non essere stati informati dell'arrivo in Italia di Ocalan. «La dietrologia non mi interessa. Ho detto in Parlamento che era estremamente probabile e imminente l'arrivo di Ocalan in base ad informazioni ricevute dalle autorità turche. Tant'è che il governo aveva messo in allarme tutti gli apparati di sicurezza e i servizi. Ocalan è ar- rivato in Italia e lo abbiamo arrestato. E' la prima volta che viene arrestato in un Paese europeo e gli americani ci hanno ringraziato. Invece, in Italia qualcuno ci rimprovera di non averlo schiaffato sul primo aereo. Il governo insomma ha fatto il suo dovere. Non c'entra niente il governo precedente, quello di Prodi, e neppure il ministro della Giustizia Diliberto. Ecco perché lancio un appello: siamo un grande Paese che si è preso le sue responsabilità, ha agito in modo coraggioso nel rispetto dei trattati intemazionali. Smettiamola di litigare». Cosa che è più facile a dirsi che a farsi. Intanto perché l'epilogo dell'intera vicenda è ancora nebuloso. Sull'idea che la Germania debba riprendersi Ocalan il premier italiano ha la comprensione di Jospm, degli Usa e di Aznar, che ieri ha riproposto la necessità di uno «spazio giuri¬ dico europeo», cioè regole che rendano automatiche in Europa anche l'estradizione. Malgrado questo, però, il governo tedesco continua ad essere titubante. Il primo a saperlo è D'Alema che non si aspetta grandi sorprese dall'incontro di oggi con Schroeder a Bonn. Per cui a D'Alema non rimane che prepararsi al peggio, cioè cercare altre soluzioni che gli tolgano la patata bollente Ocalan dalle mani. Anche a Madrid arrivano gli echi delle elecubrazioni, delle trattative che si stanno svolgendo tra i Paesi interessati: un tribunale internazionale che si muova sulle norme che già sono previste nella legislazione europea; la possibilità di far valere un accordo che già intercorre tra gli 11 Paesi che riguarda la possibilità di far svolgere in un Paese terzo un processo «scomodo». E, ovviamente, in queste dissertazioni a Madrid la vicenda di Ocalan ha finito per confondersi con la richiesta di estradizione di Pinochct avanzata dai magistrati spagnoli. «Affermare il principio ha osservato D'Alema - che chi è accusato di crimini nella direzione di uno Stato, o per il terrorismo va processato, è positivo. Ma bisogna trovare gli strumenti. E la corte penale internazionale è imo strumento essenziale». Rimane, però, la speranza che alla fine la Germania si assuma le sue responsabilità. E, purtroppo per lui, D'Alema deve affrontare questa situazione complessa quanto delicata, facendo fronte alla solita confu¬ sione italiana: i ministri polemizzano con i servizi; gli apparati di sicurezza con il governo; l'opposizione continua a reclamare dùnissioni di questo e di quel membro del governo. E come se non bastasse ci si è messo anche il solito Cossiga a complicare la vita del premier: alla vigilia del viaggio in cui D'Alema è andato a chiedere ad Aznar la solidarietà della Spagna per il caso Ocalan e l'appoggio alla candidatura di Prodi per la presidenza della Commissione europea, l'ex-capo dello Stato è tornato ad agitare la questione basca. Per togliersi dall'imbarazzo ieri D'Alema è dovuto ricorrere al solito sarcasmo: «Cossiga è un buon amico, una delle persone più vivaci della politica italiana. Ma non ha un mandato del governo né lo pretende. La questione basca riguarda la Spagna che è un Paese democratico. Personalmente ho detto in Parlamento che Blair e Aznar affrontano i problemi dei nazionalismi e i conflitti terroristici democraticamente, senza repressione». Augusto Minzolini Il presidente del Consiglio: è inutile fare discussioni da provinciali, aspettiamo invece che la commissione decida secondo le leggi Il premier D'Alema, a destra il primo ministro (dimissionario) turco Yilmaz