Da focolare rassicurante a stanza dello schermo

Da focolare rassicurante a stanza dello schermo Da focolare rassicurante a stanza dello schermo QUARANTANNI della nostra storia, quattro decenni della nostra vita: un pezzo di secolo, un ponte tra l'Ottocento ed il Duemila e tutto è cambiato. La camera da letto è sempre quella, il salotto buono, più o meno, non è mutato, ma la cucina ha visto la rivoluzione di usi e costumi, il travolgere della memoria e dei ricordi. La cucina, gli augusti fornelli del castello di Fratta cantato da Ippolito Nievo, rimane nel nostro passato di studenti, una memoria affievolita dagli anni. Padre Davide Maria Turoldo, un pugno di anni prima di morire, ci ha tramandato, nei suoi ricordi contadini friulani, le stesse emozioni che Ermanno Olmi ci ha trasmesso con il suo «Albero degli Zoccoli»: la cucina come testimonianza di povertà, con l'aringa che pendeva in mezzo alla stanza ed a cui genitori figli e nonni sfregavano la fetta di polenta, unico profumato diversivo ad un menu ingannatore della fame, ad un menu rituale che, tre volte al giorno, proponeva il pasticcio di granturco accostato, al più, al vino o al latte. La cucina era, anche, rassicurante focolare, cuore della memoria, arco tra le generazioni: nell'unica stanza riscaldata della casa (e questo fino a 20 anni fa, anche meno, nella campagna italiana, perfino quella del ricco Nord) i nonni cantavano le fiabe ai nipotini con il nasino all'insù. La cucina, allora, voleva anche dire viatico del riposo: la brace della stufa, ancora incandescente, finiva nel «prete», il ligneo attrezzo che, infilato nel letto, porta¬ va anche nel sonno un rassicurante tepore. La cucina era diuturno sfrigolio, quotidiano tranquillizzante vapore di cibo e bevanda... Oggi, in cucina, troneggia la televisione, una delle tante tv di casa che spezzano le conversazioni, troncano i ricordi, rompono le relazioni: non si mangia, ci si nutre con gli occhi e l'orecchio incollato allo schermo. Lo sfrigolio dei soffritti, il rumore del sobbollire, pacioso ed invitante, sono ammazzati dal turbo ronzio del forno a microonde: laggiù, in un angolo, congelatori sempre più grandi sovrastano il frigorifero dove l'italiano medio cela le ultime cose fresche (ma magari allevate in serra o in acqua coltura). Io adoro la cucina, nonostante tutto questo (e quella di casa mia, nella mia triste Bresso, alle porte Nord di Milano, non è molto dissimile); io mangio sempre in cucina, piccola, raccolta, semplice ma intima, dove tre volte al giorno (tranne che quando vado in giro per ristoranti) mi godo il tepore di una moglie e di due figli che, in cucina, raccontano drammi, passioni, delusioni e speranze. E' in cucina che faccio l'unico gesto gastronomico che riservo a me, mancato cuoco di casa, il rito dell'espresso: «sedente», «bollente» e, invece che tra la gente, con il mio piccolo clan. Mentre sorseggio il mio espresso, magari, un paio di volte l'anno, in questi inverni padani, il vapore della «cassoeula», l'afrore umido del «bollito» opacizzano la piccola finestra. Edoardo Raspell

Persone citate: Bresso, Davide Maria Turoldo, Edoardo Raspell, Ermanno Olmi, Fratta, Ippolito Nievo, Padre Davide

Luoghi citati: Milano